Giorgia e Marina: Amicizia, interessi comuni, tregua o incompatibilità?
Ho pubblicato i punti di vista di Flavia Perina, Lucia Annunziata, Emanuele Lauria e Francesco Manacorda, sul rapporto tra le due donne di potere dell’Italia di oggi. L’incidente è noto a Marina Berlusconi che attacca la Giustizia italiana in eredità col padre, Giorgia Meloni ha risposto senza gentilezza: «Non posso considerare Marina Berlusconi un soggetto della coalizione perché non è un soggetto politico». La polemica – se c’è stata, viene chiusa dalla Berlusconi con parole di «stima e rispetto» per Giorgia Meloni. Gli interventi che ho riportato sostengono tesi assai diverse tra loro, a ben vedere hanno un unico comune denominatore comune: riconoscono l’ingresso del le nuove donne di potere sul palcoscenico della società italiana attuale.
Io sbaglierò ma trovo la cosa di nullo interesse, a me pare soltanto un passaggio, una conferma del declino della società e della politica italiana con due rappresentanti della eredità della destra italiana quella “sociale/fascista” e quella di una classe dirigente che non gradisce il ruolo dello Stato portatore degli interessi generali (di conseguenza a tutela delle fasce deboli e dei cittadini comuni) in materia fiscale, sulla giustizia o sul Welfare. Le due deste che peraltro sono state quasi sempre alleate nella storia unitaria dell’Italia. Sono donne ma come molti maschi che hanno governato poco consapevoli dei problemi in cui si dibatte il Paese. (gian franco ferraris)
Giorgia e Marina, la strana tregua
di Flavia Perina
Servirà un po’ di tempo per capire se Marina Berlusconi, chiudendo la polemica sulla giustizia con parole di «stima e rispetto» per Giorgia Meloni, firma una capitolazione alla legge del più forte, di chi comanda in virtù del consenso popolare, o piuttosto esercita la capacità femminile di evitare battaglie perdenti. Per molto tempo ci siamo chiesti come avrebbero usato il potere le donne e come avrebbero gestito la cruciale categoria politica del conflitto e ancora non abbiamo una risposta. Per questo è difficile valutare con esattezza la conclusione dello spettacolo in quattro atti a cui abbiamo assistito questa settimana. Martedì la lettera di fuoco della presidente Fininvest contro i pm che continuano a «infangare» la memoria di suo padre, con la richiesta al governo di «qualche passo importante» per fermare la persecuzione. Mercoledì la risposta di ghiaccio di Giorgia Meloni: la signora Berlusconi «non è un soggetto politico». Ieri l’inaspettata ritirata di Marina con una nota dal tono assolutamente remissivo: ho parlato solo «come figlia», non ho nessuna intenzione di suggerire cose al governo. Subito dopo il placet della premier alla tregua: «Non c’è mai stato un caso».
In altri tempi, quando c’erano gli uomini al posto di Marina e Giorgia, un analogo scontro finì letteralmente ai materassi, con la pubblica lite che tutti ricordiamo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini culminata nel «Che fai mi cacci» e poi in una scissione e un voto di sfiducia che solo per l’abilità di ufficiale arruolatore di Denis Verdini non si concluse con la bocciatura parlamentare del Cavaliere. E pure dopo, agli esordi della maggioranza di Meloni, il modello molto maschile di Brancaleone alle Crociate rischiò di far saltare tutto sull’onda del pizzino berlusconiano contro la neo-premier «prepotente, arrogante, supponente» con relativa replica: «Manca un punto, non sono ricattabile».
La storia è sempre quella, e al centro dello scontro c’è come sempre la questione giustizia, con due differenze di peso. La prima l’abbiamo detta: il potere adesso è in mano alle signore, che hanno un altro modo di regolare i conti: più esplicito ma al tempo stesso più furbo (vedremo presto se la resa di Marina è davvero tale o se ci sarà un quinto atto). La seconda, determinante: Giorgia Meloni ora ha il coltello – cioè i numeri parlamentari, i ministri, il controllo delle cose, la sovrintendenza sulle ambizioni dei reduci forzisti – dalla parte del manico e chi si illudeva che agisse in continuità con il berlusconismo dovrebbe cominciare a esercitare il dubbio. Di quell’eredità le interessa una sola parte, cioè i voti, che peraltro si è già presa in larga parte.
E dunque la sensazione è che questa settimana di battaglia sulle parole di Carlo Nordio e sull’inchiesta toscana contro Marcello dell’Utri, gli editoriali di fuoco, le interviste schierate, le iniziative parlamentari, la richiesta di ispezione alla Procura di Firenze avanzata da FI, le interrogazioni, le intemerate televisive e soprattutto le molte voci del centrodestra che hanno trattato la lettera di Marina Berlusconi come l’input di una leader, siano la risacca di un mondo che ancora non ha capito che il berlusconismo è finito e che Giorgia Meloni gioca una partita sua, lontana dai riflessi pavloviani ai quali spesso risponde il Centrodestra. Lo schema dei Brancaleoni che partono lancia in resta in difesa di battaglie che ritengono “del Capo” per poi essere sconfessati dalla premier, talvolta con brutalità, sta diventando una costante della legislatura e racconta bene il deficit di aggiornamento di parlamentari, giornalisti, intellettuali amici.
Piccolo elenco. La reprimenda sul caso di Alfredo Cospito («Invito tutti, a partire dagli esponenti di Fratelli d’Italia, a riportare i toni al livello di un confronto franco ma rispettoso») mentre l’intera maggioranza si dedicava da giorni al linciaggio dei parlamentari Pd che avevano visitato l’anarchico in carcere. La pubblica smentita alla linea La Russa sulla denuncia per stupro di suo figlio Leonardo Apache («Non sarei intervenuta nel merito della vicenda, tendo a solidarizzare per natura con una ragazza che denuncia»), pure quella pronunciata dopo una valanga di interviste e commenti del mondo di destra schierati in difesa del presidente del Senato. Il Niet, durissimo, a Carlo Nordio sul concorso esterno in associazione mafiosa, scandito con la massima solennità a Palermo e utilizzato anche come una drastica sconfessione delle decine di voci della coalizione strillavano da giorni sull’inconsistenza di quel reato e sull’opportunità di rivederlo. E infine il declassamento a soggetto “esterno” della primogenita del Cavaliere, con il rifiuto di offrire una sponda ai molti che avevano già messo l’elmetto per trasformare le parole di Marina in azione politica.
L’ultimo strappo è senza dubbio il più consistente, e dovrebbe risultare illuminante anche per quella parte della destra restia ad abbandonare il vecchio canone, forse convinta che poco sia cambiato o forse ancora poco consapevole delle responsabilità che toccano a un partito di maggioranza relativa, assai diverse da quelle di una minoranza del quattro o cinque per cento. Marina Berlusconi probabilmente se ne è resa conto e per il momento ha scelto la tregua, prima o poi dovranno accorgersene pure gli altri.
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Annunziata: Giorgia&Marina, le incompatibili
di Lucia Annunziata
Non era difficile immaginare che la lettera di Marina Berlusconi avrebbe costituito uno scossone alla finta pace che la memoria di Silvio Berlusconi sembrava aver portato dentro la coalizione al governo. Più imprevedibile è stata, invece, la risposta data mercoledì dalla premier. Quello fra le due è stato uno scambio crudo, senza orpelli, dritto al cuore di due questioni. Uno scambio in cui vari limiti della politica e delle relazioni pubbliche sono stati travolti.
Il principale dei quali è quello della scelta delle parole.
La missiva di Marina Berlusconi sceglie queste parole con esattezza chirurgica, tagliando via giri di frasi e usi di metafora con cui si ammorbidisce il dissenso fra amici. «Non doveva finire con Silvio Berlusconi la guerra dei trent’anni?» è l’inizio della lettera, una domanda fatta di puro distillato senso, formata solo da quattro (ma potentissime) immagini: il nome di Silvio Berlusconi, la sua morte, la guerra, e trent’anni. Quattro pietre, dopo il cui lancio non era nemmeno necessario procedere. Qualunque italiano aveva capito: in quelle immagini evocate se ne affollavano tante altre, foto in bianco e nero di tribunali, interrogatori, magistrati, manifestazioni. Il film della vita politica e personale di un leader, Silvio Berlusconi, e di un Paese, il nostro.
Siamo di fronte insomma a un vero e proprio scontro politico – siamo ben lontani dal semplice dissenso di opinioni, di affetti, e persino di posizionamenti politici. Partendo dalla Giustizia infatti queste due potentissime donne attaccano la legittimazione l’una dell’altra, negandosi reciprocamente il ruolo di cui sono investite.
Meloni nega l’innegabile: certo Marina Berlusconi non è un soggetto politico, ma forse Chigi dimentica che oggi nelle sue mani c’è la forza reale della coalizione che la stessa Meloni guida – il ruolo di un’azienda che «ha costruito una nuova narrativa dell’Italia» (proprio quello in cui la premier crede così appassionatamente per la comunicazione della nuova coalizione) e che continua ad essere centrale in questo ruolo. Meloni inoltre pare scordare che nelle mani di Marina ci sono i cento milioni di debito che quella coalizione è costata a Silvio Berlusconi. Non è certo eletta, Marina ma il suo peso nella società attraverso i suoi media, e in quello nella vita dell’attuale governo è certo più determinante di quello di Chigi. Quanto basterebbe a rovinare l’equilibrio del governo? Un nuovo socio nelle aziende della famiglia? Un taglio alla benevolenza con cui i Berlusconi continuano a sostenere quello che è ormai un piccolo partito? È sicura la premier che non è un soggetto politico una tale forza?
D’altra parte, sia pur con maggior garbo, è altrettanto chiaro che l’erede di Berlusconi ha anche lei fatto un’operazione di delegittimazione di Giorgia Meloni. La sua lettera non nomina mai la premier, né si ha traccia di alcuna “cortesia istituzionale” nei confronti della premier: un atto così politico non avrebbe dovuto essere almeno anticipato a Chigi? Marina Berlusconi ha completamente ignorato la premier, trattandola come un rango minore.
Siamo così di fronte a due opposte delegittimazioni, in nome di due diritti che sono l’anima della dinamica politica in democrazia: il diritto dinastico di Marina e il diritto elettivo di Giorgia.
Forse nessuna delle due intendeva arrivare a questo punto, e tuttavia il risultato finale è una crisi che appare ora molto difficile da far rientrare. Lo scontro è tale da non essere già più cancellabile con facilità né dalla memoria della coalizione politica, né dalle sensibilità delle persone/ famiglie che vi sono rimaste coinvolte.
Eppure c’è in tutto questo anche qualcosa di molto innovativo. L’asprezza, l’essenzialità di questo affronto reciproco è molto tipico delle nuove donne di potere, che hanno adottato una nuova postura di combattimento di quasi crudele fermezza. Arrivando così, consapevoli o meno che siano, a spaccare con una operazione verità il mondo ipocrita del dibattito pubblico come lo conosciamo.
Estratto dell’articolo di Emanuele Lauria e Francesco Manacorda per “la Repubblica”
IL BACIO TRA GIORGIA MELONI E MARINA BERLUSCONI
Il caso, a sentire entrambe, non c’è mai stato. «Ci abbiamo riso su», dice Giorgia Meloni provando a seppellire ogni polemica con Marina Berlusconi. Ma la settimana che si chiude è destinata a lasciare un segno nei rapporti fra le due gemelle diverse, fra i volti femminili che, su piani differenti, rappresentano il centrodestra di governo.
C’è una frattura che permane: sulla giustizia. E se vogliamo un messaggio che la presidente Fininvest lascia a Palazzo Chigi: niente sconti a una magistratura “politicizzata”. È il lascito del patriarca di Arcore. Meloni, però, tira il freno. Per evitare nuovi strappi con i pm.
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GIORGIA MELONI MARINA BERLUSCONI – MEME BY EDOARDO BARALDI
Diversissime, eppure in fondo un po’ uguali, non foss’altro che nella speculare immagine di giovane donna di potere – in politica e finanza – e nella caratteristica di gettarsi a testa bassa contro qualsiasi ostacolo. C’è perche questa volta, a testa bassa, hanno finito per cozzare l’una contro l’altra.
Per carità, tutto tranquillissimo, si assicura da via Paleocapa – dismessa Arcore è ormai questo edificio milanese il vero Palazzo Chigi dell’impero Fininvest – Giorgia e Marina si sono sentite anche ieri, come fanno spesso e volentieri, specie via whatsapp, e la cordialità tra le due è rimasta immutata. Del resto, è una relazione solida e fondata su interessi forti, la loro.
MARINA BERLUSCONI ALL’USCITA DELLA SEDE FININVEST DI VIA PALEOCAPA DOPO L’ASSEMBLEA DEI SOCI 1
Forse addirittura cementata da un patto che, a fine febbraio e con il Cavaliere ancora in vita, avrebbe determinato il cambio di rotta di Forza Italia: all’improvviso, e proprio all’indomani delle imbarazzanti (per Meloni) dichiarazioni di Silvio Berlusconi contro Zelensky, il governo ritirò la costituzione di parte civile nei processi contro l’ex premier.
La vulgata – che però proprio in Fininvest smentiscono – fu quella di una telefonata inferocita di Meloni a Marina Berlusconi, da cui discese l’accordo che portò Fi a più miti consigli nei confronti dell’esecutivo (con il siluramento dei “falchi” Ronzulli e Cattaneo)
[…] Ed è un’intesa che va avanti ma a fatica, il cui esecutore politico è il vicepremier, e neosegretario di Forza Italia Antonio Tajani. Prima ancora di Marta Fascina, l’ex compagna di Berlusconi, in disparte dal giorno del lutto e che oggi viene descritta come disorientata di fronte al doppio tema della successione economica e di quella politica.
Il punto di maggior frizione fra le due leader è, inevitabilmente, la giustizia. Basta ricostruire quel che è successo: giovedì della scorsa settimana la notizia, anticipata da Repubblica, della perquisizione a Marcello Dell’Utri nell’indagine della procura di Firenze sulle stragi del ‘93 e connessi sospetti sulla volontà della mafia di favorire Berlusconi.
L’indomani, sulla chat dei deputati di Fi, c’è un messaggio del capogruppo Paolo Barelli (vicino a Tajani) che invita a non esternare sull’argomento, a mantenere un profilo basso. Ma solo mezz’ora dopo il collega azzurro Paolo Pittalis, in una diversa chat («garantisti in Parlamento»), annuncia un’interrogazione per chiedere un’ispezione presso la procura fiorentina. Insomma, emergono subito due linee; e quella più morbida vede protagonista Tajani, che deve tener conto della prudenza di Meloni.
[…] E se lunedì, in un’intervista, Tajani liquida l’interrogazione che prevede l’invio di ispettori («Non è un’iniziativa di partito») nello stesso giorno Marina dirama la lettera che denuncia la persecuzione giudiziaria nei confronti del papà scomparso. Meloni non la prende benissimo. Blocca sul nascere qualsiasi iniziativa del Guardasigilli Nordio e, nel timore di dover subire pressioni da FI che scavalchino Tajani, a Palermo rivendica la sua autonomia. Da qui, appunto, la brusca risposta su Marina che «non è un soggetto politico».
Ma adesso l’episodio, per comune accordo delle due, è da archiviare. L’intreccio tra politica e aziende che nemmeno la scomparsa di Silvio Berlusconi pare poter sciogliere, continuerà probabilmente con reciproca soddisfazione. Anche a livello familiare. Due settimane fa, in un’intervista, Andrea Giambruno, giornalista Mediaset e compagno della premier, costretto da mesi a difendersi dall’accusa di favoritismi («Mi danno del paracadutato o raccomandato ma ho dimostrato che di tv qualcosina capisco ») annunciava con comprensibile felicità il suo ritorno da Milano a Roma e ammetteva: «È un favore personale che l’azienda mi fa».
Parole che in casa Mediaset e Fininvest avrebbero preferito non leggere. E che in ogni caso non danno l’idea di un rapporto incrinato fra la famiglia Meloni e i figli di Berlusconi. Malgrado le incomprensioni.