di Alfredo Morganti – 22 novembre 2017
È convinzione comune che non sarà l’area di centrosinistra a ‘vincere’ le elezioni. Lo pensa l’opinione pubblica, lo dicono i giornali apertamente. Ne sono convinti anche nel PD, il cui Piano B è ‘al governo comunque’ magari come un’Armata Brancaleone dispersa in larghe intese berlusconiane. Siccome però devono trovare dei colpevoli della sconfitta, additano allo scopo gli ‘scissionisti’. Gli stessi che sarebbero irrilevanti, sono anche decisivi. Insomma l’ennesima veltronata ma-anchista. Il pontiere Fassino, inviato in missione suicida, deve solo dimostrare che il PD ha fatto di tutto per garantire l’unità. Le veline di stampa, da parte loro, e i retroscenisti mostrano un Renzi impegnato ad ‘aprire’, lo raffigurano ‘generoso’ anche in vista della futura premiership. Pochi ricordano il ‘rottamatore’, lo spaccone, l’uomo del 40%, quello che disse ‘ce ne faremo una ragione’ dinanzi alla scissione.
Nulla di tutto ciò, il loro, quello del PD, è solo un aut aut: o mangiate la solita minestra o vi buttate dalla finestra. In cambio vi diamo due spiccioli di scranni parlamentari, e magari un sottosegretariato in un governo Calenda-Salvini con Renzi Ministro degli Esteri e dei Tweet. L’intento è palmare, ed è solo quello di lasciare il cerino nelle mani della sinistra non renziana. Nessuna autocritica, anzi rivendicazione orgogliosa dei bonus, dell’art.18, del PIL che sale di pochino (difatti restiamo ultimi in Europa nella crescita) e delle tante ‘vittorie’ (in ultimo l’agenzia del farmaco, la Sicilia, Ostia, anche se la Champions League la vinsero già con il referendum del 4 dicembre). Perdenti di successo, insomma. Gente spaesata.
Pochi scavano le ragioni concrete della eventuale sconfitta renziana. Che non può dipendere dalla misera contingenza dettata dalle trattative per una coalizione ‘unitaria’. Da numeri e percentuali matematiche soltanto. A forza di associare la politica al calcio e di ridurla alla mera ricerca della ‘vittoria’ elettorale, si restringe il campo di analisi al solo terreno tattico delle urne. Quando invece gli elettori giudicano le scelte, le decisioni, le politiche assunte nei cinque anni di legislatura. E bocciano, quindi, quelle sbagliate. Renzi porta la polemica sul piano attuale della coalizione per evitare che ci si occupi precipuamente dei contenuti espressi dal suo governo. La forma al posto dei contenuti.
Fateci caso: non si parla mai o quasi delle scelte fatte dall’esecutivo in questi quattro anni da brivido, non si fa mai la ‘storia’ (e la ragione) effettiva dei pessimi sondaggi attuali, non c’è genealogia dei consensi, solo un presente continuo di pastette, proclami e accordi elettorali per la ‘vittoria’ del centrosinistra. E allora ben venga chi di questi anni fa una critica, e sposta l’attenzione sulle politiche, ancor prima che sulle condizioni formali della politica. Queste ultime sono l’effetto di un’alternativa di programma e di contenuti, solo allora si mostrano davvero consistenti. Un partito nuovo (così come una coalizione) non nasce per il mero desiderio di ‘vincere’ o per agonismo. Ma per proporre una svolta politica, e per dare ‘forza’ a settori di società che oggi non sono rappresentati, o si trovano nel disagio sociale, per risollevare quella parte di Paese che chiede giustizia sociale, equità, diritti, lavoro, cultura, democrazia.