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di Alessandro Gilioli – 29 maggio 2016
Domani sera, martedì, su Sky ci sarà il confronto televisivo dei candidati sindaci di Roma. È probabile, dato l’altissimo numero di incerti, che molti faranno la loro scelta nei giorni successivi.
È stata – ed è ancora – una campagna elettorale tosta, combattuta, se volete pure un po’ da pop-corn per chi non è troppo tifoso dell’uno o dell’altro. Pensate solo allo spettacolo di Berlusconi che cambia cavallo in corsa, alla lista di sinistra che esce dalla porta e rientra dalla finestra, a Giachetti che cerca di strapparsi di dosso l’immagine del peggior Pd worldwide, a Raggi che si incasina nei suoi rapporti con lo staff di Grillo, a Marchini che parte autoproclamandosi “libero dai partiti” e arriva come uomo di Forza Italia, per dirne solo alcune.
È stata anche, contrariamente a quello che dicono molti, una campagna in cui si è parlato della città – dall’Atac ai rifiuti, dalle partecipate al traffico – e molte proposte bollate come eccentriche in realtà sarebbero interessanti: il rischio non è che siano troppo visionarie, ma al contrario che vengano dimenticate tra due o tre settimane. Roma ha invece un gran bisogno di idee coraggiose e contromano, per uscire dalla sua palude.
Ieri Giachetti ha detto al Corriere che il “vento è cambiato”, un modo per far circolare presunte tendenze elettorali a suo favore in tempo di sondaggi proibiti.
È possibile; tuttavia ai molti che non hanno seguito troppo il festival delle dichiarazioni resta – per ora, almeno – il percepito da cui si è partiti a metà febbraio, cioè il “ne abbiamo provate tante“: negli ultimi anni centrosinistra e centrodestra hanno dato uno spettacolo talmente indecoroso che molti elettori sono disposti a rischiare con una semi sconosciuta, purché estranea a quella mangiatoia e a quelle pratiche. E ritengo a tutt’oggi probabile che questi molti siano maggioranza.
In altre parole: se Raggi vince, ciò non accadrà tanto per i meriti suoi e le proposte sue, ma perché è parere diffuso che i maleodoranti poteri incrostati e incrociati di questa città – economici, politici e soprattutto clientelari – vadano presi di petto, non più con l’accomodamento e la mediazione. Perché se provi a mediarci, stravincono loro.
Il principale bug di Ignazio Marino del resto era quello. Non che lui non volesse sradicarli, quei poteri maleodoranti: ma aveva sul groppo un partito, degli assessori, dei consiglieri e dei dirigenti che invece stavano dall’altra parte. Abbiamo visto com’è andata.
Di qui anche l’handicap di Giachetti. Che è persona perbene, ma si porta dietro una buona parte del peggio di questa città. Il Pd di Orfini, che ha mandato a casa Marino con un atto dal notaio perché si vergognava di sfiduciarlo in un un pubblico e motivato confronto in aula; la vecchia Dc che ora si chiama “corrente franceschiniana”, che anche a Roma sta riscuotendo la cambiale di quando Franceschini spostò i suoi deputati da Letta a Renzi, permettendo a quest’ultimo di entrare a Palazzo Chigi; e tutti gli intrecci che in questo Pd sono solidamente embedded, dalle partecipate in giù. Gli intrecci che hanno contribuito non poco a portare Roma laddove si trova, cioè nella melma.
Poi c’è la destra, che con Alemanno e il Pdl ha governato talmente male – e con tali dispendiose, incredibili clientele – da non essere più presentabile nemmeno se si nasconde sotto il sorriso a 32 denti del bel Marchini o dietro la presunta genuinità della pasionaria Meloni.
Il pasticcio su Bertolaso di un Berlusconi in evidente declino di lucidità ha fatto il resto.
E comunque, se il Pd si porta dietro metà dell’inciucio che ha divorato la città, la destra si porta dietro l’altra metà: la cui voracità è stata perfino maggiore, così come maggiore è stata l’incompetenza pratica, l’insipienza nell’amministrare.
È questo il combinato che ha lanciato e che continua a tenere alti i numeri di Raggi.
Ed è un combinato che sul piatto della bilancia pesa più di tutto il resto, più del praticantato allo studio Previti e più degli altri punti deboli di Raggi – il famoso rapporto con lo staff, ma soprattutto il rischio che in un corpo a corpo con i poteri forti di Roma tutto si paralizzi, per la gioia di Renzi che così potrebbe arrivare alle politiche del 2018 sbandierando l’insuccesso grillino.
Qui non si fa nessun endorsement, sia chiaro: ho fatto fatica a convincere me stesso, figuriamoci se ho la pretesa di convincere qualcun altro. Dico quello che voto solo per trasparenza, per non nascondere le mie scelte, che è cosa diversissima da un attivo e proselitistico endorsement. Si tratta ovviamente di una dichiarazione di voto del tutto personale.
Al primo turno userò il disgiunto, votando quella radicale come lista e Stefano Fassina come sindaco.
I radicali a Roma sono stati in consiglio negli ultimi tre anni, con un unico rappresentante che è l’attuale capolista Riccardo Magi.
In questi tre anni, pur essendo stato eletto con una lista in appoggio a Marino, Magi ha rotto le scatole a 360 gradi, comprese (soprattutto) le cose che faceva la maggioranza di Marino. Ha svolto insomma la funzione di watchdog: leggendo tutte le carte, controllando tutti gli atti, dandone (o cercandone) la massima trasparenza. Sono abbastanza persuaso che farà lo stesso al prossimo giro. Anche perché è talmente fuori di testa, il Magi, da non fare quasi altro nella vita che il rompiballe degli atti del Comune. Per questo come lista voto i radicali: come controllori che non guardano in faccia a nessuno. Credo che siano utili chiunque amministri. Ancor più in una città come Roma. Sono e resto lontano dai radicali su tante cose – specie dal punto di vista delle politiche economiche – e non credo che li voterei per governare. Li voto invece per controllare dal consiglio comunale qualsiasi maggioranza. Spero di non sbagliarmi.
Voto Stefano Fassina come sindaco al primo turno perché tra i candidati sindaci è quello a cui sono più vicino in termini di attenzione al sociale e alle diseguaglianze, su cui un sindaco qualcosa di buono può fare.
Il tema delle diseguaglianze eccessive – e dei loro danni a tutta la società, non solo a chi ne è direttamente vittima – è la issueprincipale del presente, purtroppo, in tutta Europa e non solo. Nessun altro candidato la pone al centro del suo programma come Fassina.
E questo è il motivo che mi fa superare tante perplessità. Come il fatto che Fassina sia stato viceministro nel governo Letta con Berlusconi in maggioranza, ma soprattutto che abbia un approccio cognitivo alla politica che non mi appartiene e che ritengo più adatto a un contesto novecentesco che non alla realtà liquida e post ideologica di oggi: ad esempio, quando era nel Pd Fassina votava ciò che aveva deciso il Pd (comprese le larghe intese) per lealtà a quell’antico “centralismo democratico” che per me ormai è un ferrovecchio, da subordinare al maggior valore della coerenza con le proprie idee.
Voterò con ogni probabilità Raggi, al ballottaggio, per i motivi che ho elencato all’inizio di questo post: mandare casa tutti i poteri incrostati che si spartiscono il sottogoverno, le clientele e le prebende di questa città da almeno un ventennio. Per vedere se lei riesce a fare ciò che non è riuscito a Marino, essendo – al contrario di lui – libera dalla zavorra del Pd.
Penso di poter rivendicare la mia libertà e onestà intellettuale, in questo voto, non avendo mancato di metterla in difficoltà, quando l’hointervistata (e non credo che dopo quell’intervista l’avvocato Raggi mi voglia bene, diciamo).
A proposito: i rapporti non limpidi con una leadership di partito informale non sono affatto una buona cosa e lo ribadisco (lo dico da quando il M5S è nato, pur avendo sempre guardato con curiosità e interesse molti aspetti del movimento). Sul citato piatto della bilancia, però, credo che questi rapporti non limpidi pesino meno delle relazioni assai più oscure del Pd con le lobby, con i poteri economici, con le incrostazioni politiche che hanno fatto cadere Marino.
Aggiungo per completezza che se per ipotesi Raggi non dovesse andare al secondo turno, tra Marchini o Meloni e Giachetti voterei quest’ultimo: perché al ballottaggio spesso funziona così, cioè che si sceglie il meno lontano anche se è lontano.
Queste le mie personali conclusioni, dopo aver seguito quello che ho potuto seguire e intervistato un po’ di candidati. Non nascondo che, non ultima tra le ragioni che mi hanno motivato a fare quelle interviste, c’erano proprio la curiosità personale la personale incertezza. Spero comunque di aver reso un servizio utile anche a chi mi legge, facendole. Per chi è interessato, nell’ordine con cui le ho pubblicate, qui Giachetti, qui Raggi e qui Fassina.
A proposito, questa mattina dovevo vedere anche Marchini ma all’ultimo mi ha bidonato, appuntamento forse rimandato o forse annullato: vi terrò informati in merito, sempre se interessa.