Gianni Cuperlo: “televisone, la fine dei salotti politici sempre uguali”

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Voi mi direte, ma fatti gli affari tuoi o anche “Ofelè fa el so mestè” (pasticciere, nel senso di ognuno, faccia il suo mestiere) e avreste non una, ma mille ragioni per dirmelo, quindi fissiamo la premessa qui.
Però nel segno di una libertà di giudizio e parere che dovrebbe sempre spettare a chiunque fruisca di un servizio, soprattutto se pubblico, mi arrogo il diritto di condividere con voi un banalissimo pensiero.
Bon, io penso che la stagione dei talk politici (quei programmi che progressivamente hanno occupato una buona parte dei palinsesti di reti pubbliche e private, dalla primissima mattina a sera inoltrata), dicevo quel modello di racconto della politica (e degli eventi che la cronaca riserva in relazione alla politica) abbia esaurito la sua spinta propulsiva. Un po’ come la Rivoluzione d’Ottobre e le società che ne sortirono.
Credo non sia solamente una questione di occupazione dello spazio, anche se (l’ho appena detto) la quantità dell’offerta, per quanto riconducibile a diverse affinità politico-culturali dei conduttori e delle conduttrici un certo tasso d’inflazione immagino lo generi.
Personalmente quel pluralismo, che si estende anche al linguaggio e alle modalità espressive, a me pare una risorsa in più. Se seguo un pezzo del programma di Mario Giordano so a cosa vado incontro, anche sotto il profilo della spettacolarizzazione del racconto. Molto diverso il taglio di una puntata di Corrado Formigli o di Giovanni Floris o di Bianca Berlinguer.
Parliamo di professionisti con anni di esperienze alle spalle, persone che sanno impaginare un programma, destreggiarsi tra gli ospiti e coglierne punti di forza o di fragilità.
No, il punto non è per forza in chi conduce. Direi che sta piuttosto in chi partecipa con un tratto di ritualità (e ripetitività) che il tempo ha trasformato in una vera categoria professionale di “ospiti e opinionisti da talk”.
Qui potreste dirmi “senti da che pulpito” nel senso che anche a me è capitato e forse capiterà di andarci e avreste ragione. Posso aggiungere che non succede con grande frequenza, ma onestamente vi debbo dire che ciò non è tanto l’esito di una mia scelta frutto di discrezione, piuttosto è il risultato degli scarsi inviti che ricevo (Vabbè, un altro mattone a vantaggio di Lercio!).
Comunque il punto non è il singolo caso, quello mio o di un altro.
Il punto è proprio che dopo anni e anni di questo “rito” televisivo e salottiero dove può capitarti di incrociare lo stesso volto, la stessa voce, in due o tre contenitori a poche ore di distanza (o persino in contemporanea, giuro che mi è accaduto di vederlo) è più che comprensibile che subentri in chi sta a casa un senso – come dire? – di saturazione.
Non per forza di ostilità o antipatia, ma una reazione più normale del tipo, “ma, caro amico (o amica) ti ho sentito ieri e pure ieri l’altro e ieri l’altro ancora dirmi cosa pensi del green pass, del super green pass, del super mega super green pass, ecco oggi quando ti ritrovo per la quarta o quinta volta a ripetermi lo stesso concetto, sai che c’è? Ma anche no” e così uno cambia canale o spegne e legge un libro.
Allora, in sintesi.
Io sarei per una sana rivoluzione del linguaggio e della creatività.
Mi piacerebbe che chi la televisione l’ha inventata e la sa fare (e ce ne sono) desse dopo molti anni libero sfogo alla fantasia e immaginasse un modo completamente nuovo e originale di portare, raccontare, rappresentare, la politica in quegli studi (o fuori da essi).
Che si smettesse col rito del salotto sempre uguale, con gli stessi ospiti senza un guizzo (mi offro personalmente di segnalare dieci giovani straordinari che potrebbero portare un contenuto mai sentito su materie di interesse sociale per milioni di persone!).
Insomma, mi piacerebbe che con un guizzo imprevisto e improvviso domani, lunedì o martedì, in tanti accendessimo la tivù e i volti amici dei conduttori (poi ognuno avrà le sue preferenze) ci entrassero in casa dicendo quella battuta dei Monty Python “E ora qualcosa di completamente diverso”.
Sapete che penso?
Che il primo o la prima che avesse la voglia e l’inventiva per farlo finirebbe nel guinness dei primati col record seguente: “A ottobre 2021 riuscì per la prima volta al mondo in una standing ovation dai salotti di casa”.
Yuri Red

Credo sia nell’Enrico IV di Shakespeare che il Re spiega al figlio, il cui principale interesse è frequentare le bettole, che un Re non si mischia col popolo, non si fa vedere troppo in pubblico, perché se le sue apparizioni sono centellinate rappresentano un evento, se invece si fa sempre vedere in mezzo al popolo diventa indistinguibile dal popolo. Ora, non dico che i politici debbano stare in una torre d’avorio, tutt’altro, ma debbono fare il loro lavoro negli spazi adeguati (prima di tutto in parlamento) e quando invece si fanno vedere in pubblico, dovrebbero farlo per ascoltare (ah, le vecchie e noiosissime riunioni di una volta alla presenza del compagno della federazione!), non per mettersi in mostra in TV, dove ad apparire non sono le idee, il ragionamento, ma solo la battuta sagace, il tizio che fa il simpatico. Per spezzare una lancia a favore di Lercio, mi verrebbe da dire che lei non è molto adatto ai tempi e modi televisivi, ma non è un difetto: l’analisi, il ragionamento, hanno bisogno di tempi e spazi che non sono molto compatibili con uno studio televisivo.
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