Gianni Cuperlo: Ricordo di Enrico Berlinguer 11 giugno 1984

per mafalda conti
Autore originale del testo: Gianni Cuperlo
Quelle braccia tese del Presidente.
Trentasette anni sono una vita. Fatti due calcoli sono stati trentasette anche gli anni che hanno separato l’Italia liberata del 25 Aprile dall’urlo di Marco Tardelli nella bolgia del Bernabeu, col Presidente Pertini alzare le braccia e sorridere a quel gruppo di italiani che sul campo le suonavano ai tedeschi in una finale senza storia. E Pertini se lo rammentava bene il 25 Aprile, sapeva la tragedia che lo aveva preceduto perché l’aveva vissuta. Due anni dopo quella gioia calcistica, un mese in meno a essere precisi, sarebbe stato ancora Pertini a voler accompagnare Berlinguer da Padova a Ciampino, e a poggiare le due braccia tese sulla bara del leader comunista che quattro giorni avanti aveva completato il suo comizio davanti a una folla di compagni e cittadini impauriti da quella voce strozzata, ma ancora inconsapevoli che quell’uomo amato se ne stava andando proprio lì, davanti a loro e mentre li spronava, come si usava fare allora, a impegnarsi strada per strada e casa per casa….
Oggi sono trentasette anni da quell’11 giugno e non ci sarebbe nulla da aggiungere alle tante cose dette, scritte, raccontate, in decenni durante i quali l’immagine di un politico capace di suscitare sentimenti e moti dell’anima non solo non si è dispersa, sfumata, ma ha rinnovato la sua forza anche tra quanti, e sono moltissimi, allora neppure c’erano e di quel nome, Enrico Berlinguer, hanno ereditato al più il ricordo, qualche immagine del tempo, alcune presenze televisive, sempre compassate e scandite da quell’accento sassarese che ne restituiva un’eleganza del dire, del porgere anche i concetti più severi o aspri verso gli avversari politici.
Una volta soltanto, a mia memoria, quel timbro di voce si caricò di qualcosa che non era però, nemmeno in quella occasione, un volume più alto a sovrapporsi all’altro. No, era una durezza del tono in sé, del modo di reagire verbalmente a un insulto violento, il politico aveva zittito un giornalista fascista convinto d’aver inchiodato il capo dei comunisti a chissà quale colpa. Quello, il fascista, aveva accusato i comunisti d’essere fuggiti sempre dinanzi alle loro responsabilità, e Berlinguer si era girato verso di lui, fissandolo a testa di traverso e gli disse che avrebbe evitato al posto suo di parlare di “fughe” perché i soli a essere sempre fuggiti di fronte ai partigiani erano stati i fascisti che erano stati “forti” solo quando si erano nascosti dietro i loro alleati nazisti. Più o meno così aveva reagito il segretario generale del Pci, con Tatò a vigilarlo con lo sguardo attento, forse solo in quell’istante preoccupato.
Mario Melloni (Fortebraccio) sulla prima pagina dell’Unità lo congedò nella maniera più sobria e mirabile. “E’ stato un uomo politico. Vi pare una banalità?”. Due righe così (vado a memoria) e fine, perché in quelle nove parole erano condensate una vita e una storia comune, collettiva, popolare. Repubblica, invece, calcò l’idea che se ne fosse andato anzitempo uno “straniero in patria” a marcare l’anomalia dello stile, l’integrità e austerità della figura. Insomma la convinzione che in quel corpo minuto vi fossero pochi caratteri tipici del nostro modo di essere, di parlare, di vivere. Antico retaggio questo di elevare la nobiltà d’animo dei migliori italiani a stortura del sentimento prevalente. Volendo si può risalire a Prezzolini, ma pure a Leopardi e Dante. Invece tutto sommato è bello pensare a Berlinguer come a un comunista italiano dove, come per altri, come per tanti, l’aggettivo non è stato dettaglio, sfumatura, ma sostanza, descrizione precisa di una peculiarità di quella forza che ha mescolato grandezze e limiti, successi e drammi, ma garantendo a questa nazione l’approdo stabile e irreversibile a una democrazia compiuta.
Alla fine di tutto, poi, ha contato l’uomo, lo stile, il linguaggio, e certo anche la sua alterità. Ha scritto Mario Tronti, qualche anno più tardi ricordandolo: “Si conoscono bene solo gli uomini che non sono niente di diverso da quello che appaiono. Per chi possiede un di più di vita interiore la comprensione è lenta, lunga, e soprattutto postuma”.
Trentasette anni dopo è giusto ricordare Berlinguer perché la politica può riempire degnamente una vita. Aveva ragione Fortebraccio: non era una banalità ieri, non lo è adesso per noi e per chi verrà dopo di noi.
Enrico Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922 / Padova, 11 giugno 1984)
PS. Mi fa persino pena scriverlo, ma oggi sento di farlo a prevenzione: vorrei dire al primo imbecille che dovesse commentare “non avete il diritto voi che avete tradito i suoi ideali neppure di nominarlo” e “vergognatevi…” e quel tipo di frasi fatte e scomposte, ecco, al primo che gli venisse di farlo…ma che ne so cosa gli si dovrebbe dire. Forse nulla perché non capirebbe. Spero non succeda, tutto qui.
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