di Alfredo Morganti – 26 febbraio 2019
Giachetti ha fatto lo spiegone. Ha detto che la rottamazione non significava affatto che si volesse fare piazza pulita delle persone, no. Era solo un’indicazione politica, ha specificato, e non un progetto di tabula rasa. Tanto è vero che Franceschini e Gentiloni “non sono stati impiccati ad alcun albero”, anzi, per loro si sono aperte le porte del governo. Voglio credere a Giachetti. Ma solo parzialmente: Bersani e D’Alema, per esempio, non hanno avuto lo stesso trattamento di Gentiloni, forse perché non erano sostenitori di Renzi. Ci è sembrato anzi (convinceteci del contrario) che la rottamazione fosse nata proprio per loro, non per altri. A un certo punto, difatti, una folla arrembante di renziani ha letteralmente iniziato a urlargli ‘fuori fuori’. Un palese invito ad andarsene dal partito. Un’esortazione “a impiccarsi”, nel linguaggio giachettiano.
D’altronde loro sono così. O con noi o contro di noi. O diventi renziano (anche per convenienza) oppure arrivederci e grazie. Come in un monolite mediatico. La vocazione maggioritaria vale anche all’interno e non fa prigionieri, al più collaborazionisti. La coerenza è comunque estrema e si applica anche a se stessi, come una ritorsione: se si vuol tornare indietro, dice Giachetti, tolgo il disturbo. “Tornare indietro” vuol dire tornare alla comunità di partito, alla ‘ditta’, al partito come architrave della democrazia parlamentare, alla partecipazione organizzata invece delle primarie, ai Congressi invece delle Leopolde, ai Segretari invece dei Leader, alla comunicazione come mezzo invece che come fine, alla Costituzione invece che alla Riforma della Costituzione. “Andare avanti”, invece, vuol dire procedere con sprezzo e dedizione verso la strada imboccata in questi anni. Ma “tornare indietro” non è davvero tornare indietro. E “andare avanti” non è esattamente andare avanti. Basta capirsi.