Gentile Presidente Draghi il “rischio” non è del governo ma del Paese. Intanto dal NYT uno squillo di trombone

per mafalda conti
Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Fonte: i gessetti di Sylos
Gentile Presidente Draghi il “rischio” non è del governo ma del Paese. Intanto dal NYT uno squillo di trombone.
Nella conferenza stampa di qualche giorno fa il presidente del consiglio Mario Draghi prima di annunciare le prossime riaperture ha testualmente detto: “con la decisione di oggi il governo ha preso un rischio ragionato …”. Volevo far notare al signor presidente che non è il governo a rischiare, ma è il Paese che rischia di subire una nuova recrudescenza (e sarebbe la terza) del virus con conseguente nuovo lockdown duro, proprio in estate. Per carità non voglio insinuare che la decisione sia stata presa, come hanno affermato certi giornali, solo per placare Salvini e la piazza, voglio senz’altro credere alla buona fede del governo e alla giustezza dei calcoli probabilistici che sono alla base della decisione. Come pure auspico vivamente che le previsioni siano giuste, perché anche il sottoscritto sta vivendo molto male le limitazioni di questi mesi, però chiedo un po’ di rispetto per la popolazione, che è quella che rischia veramente, e di chi, Dio non voglia, dovesse perdere la vita a seguito di queste riaperture qualora dovessero risultare intempestive.
Caro Presidente cosa rischia il governo? Che si debba dimettere in caso di previsioni sbagliate? Dubito che questo accadrebbe, ma anche se dovesse accadere le sue dimissioni, mi creda, varrebbero meno di zero al confronto di una eventuale ripresa della pandemia. Quindi la sua dichiarazione avrebbe dovuto essere “con la decisione presa il governo ha ritenuto di poter far correre al Paese un rischio ragionato …”.
Nei giorni scorsi sul New York Times è apparso un articolo che indicava Draghi come probabile prossimo leader e policy maker europeo, in considerazione del fatto che la Merkel non sarà più cancelliere e Macron rischia di non essere rieletto, e data ancora la competenza e il prestigio dell’italiano. Cosa dire? Fa specie constatare simile superficialità in un giornale così importante. Ovviamente l’articolo è stato citato da tutti i giornalisti fan di san Supermario, peccato che tutti ignorano una verità alquanto ovvia e cioè che la competenza e il prestigio, ammettendo che ci siano nel caso concreto anche in campo politico, è l’ultima cosa a contare nei rapporti di forza tra paesi e nelle istituzioni internazionali. All’Eliseo potrà andare un politico qualsiasi e, ne possiamo essere certi, conterà di più del presidente del consiglio italiano, chiunque fosse a sedere a Palazzo Chigi. Lo stesso per il cancelliere a Berlino.
Nel precedente “gessetto” ho ricordato come Keynes abbia dovuto soccombere a Bretton Wood di fronte al suo avversario americano, il quale era tale Harry Dexter White, un semplice funzionario del Tesoro Usa … Ecco quanto conta il prestigio e la competenza personali, e il fatto stesso di avere ragione, nei consessi internazionali se non sono sorretti da corrispondente forza politica del proprio paese. Pensate che nella cena di congedo finale della Conferenza, quando nella sala entrò l’americano non se lo filò nessuno, quando entrò Keynes si alzarono tutti in piedi come un sol uomo, eppure quasi tutti avevano votato a favore del primo e contro il secondo.
Veramente crediamo che i francesi, i tedeschi, gli olandesi e tutti gli altri si farebbero condurre politicamente da un italiano (chiunque egli fosse)? Resta da capire perché i giornali stranieri danno fiato al trombone solo sulle questioni italiane …
Cari amici, perché io batto spesso su questo tasto che definisco “trombonismo”? Perché lo reputo uno dei mali del nostro paese e che ne sta causando il declino. Il vedere periodicamente un “salvatore della patria”, un italiano che sistema tutto ovunque vada nel mondo, ecco questi sono atteggiamenti che inducono a una semplificazione della realtà, a non vedere le reali questioni da affrontare, e quindi, in fondo, a un lasciarsi andare che porta inevitabilmente al declino.
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