Genova: trovare l’uomo della provvidenza o decidere da che parte stare?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Luciovalerio Padovani
Fonte: COMMO
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di Luciovalerio Padovani – 17 marzo 2017

Intervento all’assemblea iscritti di Sinistra Italiana Genova

Premetto che, forse perchè condizionato della mia esperienza politica recente, credo poco all’uomo della provvidenza. A colui che per superiori virtù, superiore caratura personale, morale e politica riesce a far quadrare il cerchio e a far tornare i conti in una coalizione frammentata e litigiosa, priva di collante reale. Credo sicuramente un po’ di più al confronto tra programmi ma solo quando è serio, approfondito, realmente condiviso e non si limita agli slogan ad effetto (speriamo che Hannibal Lecter non si appassioni troppo al progetto di cooperativa di utenti per gestire il TPL, sennò ci tocca allearci anche con lui).

Insomma il discorso che prima viene il merito e poi le alleanze, va bene, almeno a livello di principio, ma non nascondiamoci dietro un dito, il problema oggi è tutto politico e riguarda una domanda di fondo: il centrosinistra è ancora un progetto che in termini di prospettiva possiamo fare nostro e che nella nostra strategia resta punto di riferimento oppure no? In altre parole, anche a costo di sembrare troppo politicista, giochiamo per difendere il perimetro del terzo polo o per costruire lo spazio per un quarto polo alternativo? Stiamo dalla parte della sinistra del NO (al referendum costituzionale) o con la sinistra del SI e del NI?

Vogliamo lavorare in logica di breve periodo rendendoci disponibili a cercare di tenere insieme una coalizione che ha come unico scopo quello di non far vincere l’avversario o vogliamo lavorare in un’ottica di lungo periodo per costruire, promuovere e rafforzare una seria alternativa di sinistra in città e nel paese? E evidente che si tratta di una scelta di campo difficile da fare, visto che ha serie ricadute sul futuro nostro e su quello della città.

E evidente che entrambe le scelte hanno un costo. Quando incontro cittadini, elettori, sostenitori, le reazioni sono radicalmente contrapposte: c’è chi dice “se vi candidate con il PD questa volta non vi voto, piuttosto mi astengo” e chi manifesta una forte preoccupazione “perchè a rompere il fronte, si finisce per consegnare la città alle destre”. Ci troviamo a fare i conti con una scelta che presuppone una grande responsabilità. E’ del resto abbastanza evidente a tutti che, se si sceglie la strada dell’alternativa, la possibilità che vada a finire “come alle regionali”, nelle circostanze attuali, è molto alta.

Certo, lo sappiamo bene, se “il centrosinistra è morto” non è certo morto per merito nostro, i killer del centrosinistra sono stati in serie: la crisi economica, le politiche rigoriste con cui è stata affrontata prima, il renzismo poi. Il quadro politico rispetto al 2012 (l’anno della primavera arancione e di Italia Bene Comune) è totalmente cambiato, il riformismo renziano su temi dirimenti (ambiente, istruzione, lavoro, sviluppo, fiscalità, sanità, welfare, pubblica amministrazione, privatizzazioni, democrazia isituzionale, riforma elettorale, politica estera e difesa, fino al recente decreto Minniti che riguarda sicurezza ed accoglienza) è distante anni luce dalle posizioni della sinistra.

Nel momento in cui, in nome del real politik e del voto utile, si decidesse di rimanere nel campo dell’alleanza con un partito democratico che adotta queste politiche, si presenterebbe per noi il problema di una “grave dissociazione”, tra enunciazioni di principio e concrete pratiche politiche, tra posizioni molto nette assunte sul piano nazionale (e durante la recente campagna per il referendum) e posizioni più concilianti, assunte eventualmente sul piano locale, fino alla condivisione della responsabilità di governo.

Certo, c’è chi sostiene che amministrare le città sia una cosa e governare il paese un’altra, ma quando si parla, insistentemente, della necessità di stabilire una “forte discontinuità” con il passato mi chiedo fino a che punto si può essere sul serio credibili. Visto che tutto si tiene, si finisce per allearsi (nuovamente) con chi in questi anni ha governato il paese scaricando la crisi ed i suoi costi sulle amministrazioni locali e sui servizi pubblici, facendo scelte tutte interne ad una logica in cui, come ha detto bene Paolo Cento, “alla fine prevalgono sempre e solo le compatibilità economiche e mai gli intressi reali dei cittadini”.

Fino a che punto questa ambiguità ce la possiamo permettere? Quanto a lungo può essere ancora tollerabile? Di certo risulta del tutto incomprensibile agli occhi dei cittadini più fragili, quelli più esposti agli effetti della crisi, il cui voto si è ormai spostato, da tempo, su altre forze o sull’astensionismo  e non premia più la sinistra (percepita alla fine anche lei  complice o quantomeno corresponsabile di queste politiche).

Dicevo all’inizio che non credo nel “sindaco della provvidenza” ma neppure nella ipersemplificante ricerca del “capro espiatorio” di turno. Ho condiviso fino in fondo e con una certa sofferenza-insofferenza, l’esperienza dell’amministrazione Doria. Sono però del tutto convinto che la sinistra di questa città si sia sottratta, colpevolmente, al compito, assolutamente necessario, di tentarne un bilancio politico, serio, condiviso e il più possibile rigoroso. Detto questo, da quello che è successo in questi cinque anni traiamo almeno qualche indicazione utile per il futuro o no, neppure quella?

E’ possibile continuare a spendersi nella sfida impossibile di gestire gli effetti della crisi a livello locale senza mettere radicalmente in discussione le politiche generali di sistema? Si può continuare a limitarsi al tentativo di moderarne gli effetti all’interno di un quadro di compatibilità economiche stringenti che ci costringono troppo spesso a misurarci con politiche che non possono essere le nostre? Si può accettare  di farsi mettere in un angolo finendo per giocare il ruolo scomodo (ma utile per gli altri) di “onesti curatori fallimentari” di un sistema di potere corporativo e clientelare (ormai del tutto sottofinanziato ed indebitato) che non sta più in piedi?

Il congresso ha detto con forza che l’alternativa c’è! Se vogliamo sul serio lavorare per l’alternativa e riguadagnare consenso tra le fasce più deboli della popolazione, bisogna che il linguaggio che usiamo, la narrazione che mettiamo in campo, siano coerenti con i nostri valori più profondi e con i loro bisogni più reali, recuperando il ruolo storico tradizionale della sinistra. La campagna di promozione delle posizioni di Sinistra Italiana, promossa a livello nazionale, mi sembra andare nella giusta direzione: Abbiamo un piano, Cambiare tutto! (paghi chi ha troppo ed avremo il reddito minimo, paghi chi sfrutta ed alzeremo i salari, paghi chi inquina e faremo le bonifiche …) Insomma la crisi facciamola pagare a chi dall’aumento delle disegueglianze ha tratto i maggiori vantaggi ed è più forte, non a chi ne ha subito i maggiori costi ed è piu debole.

Si è detto spesso che vogliamo essere una sinistra utile, ma utile a chi? Ai ceti medi illuminati che ci chiedono di far diga contro i barbari (ma che il lavoro ce l’hanno, una discreta pensione pure e sono sufficientemente garantiti, in grado di provvedere da soli alle necessità della vita) o vogliamo rappresentare quella parte di popolazione che sta pagando sulla propria pelle l’indebolimento progressivo dei sistemi di ridistribuzione del reddito e di protezione sociale, messi radicalmente in discussione dall’effetto combinato della crisi economica, della globalizzazione dei mercati e dell’egemonia del pensiero liberista: precari, disoccupati, ceto medio impoverito, lavoratori e pensionati poveri?

Bisogna avere il coraggio di scegliere da che parte stare, anche se la decisione sarà sicuramente sofferta e probabilmente comporterà, almeno in un primo periodo, dei costi anche in termini di consenso. E’ necessario se si vuole essere credibili, rimanere coerenti, anche a livello locale, con le indicazioni strategiche che ci ha restituito il congresso: lavorare alla elaborazione di un pensiero autonomo, riconoscibile ed indipendente, lavorare alla costruzione di una alternativa politica, sociale e comunitaria.

 Abbiamo perso fin troppo tempo, prima abbiamo aspettato l’esito del referendum (nella speranza che il pd si de-renzianizzasse), poi il risultato del congresso (per capire quale linea sarebbe prevalsa), ora aspettiamo il messia (il candidato-bandiera che risolve da solo magicamente tutti i problemi della coalizione). Siamo in drammatico ritardo, questo ritardo va colmato.

Si dice spesso che è giusto partire dai programmi e non dal “posizionamento”, ma questo turno elettorale cade in un momento del tutto sbagliato per noi. Scontiamo, per forza di cose, un ritardo di iniziativa politica abbastanza evidente, al punto che ci siamo trovati costretti (forse anche aldilà della nostra effettiva volontà) a delegare ad un soggetto terzo, rete a sinistra, non solo la negoziazione con le altre forze politiche ma anche l’elaborazione programmatica. Resta il fatto che il nodo va sciolto e che la responsabilità della scelta è tutta nostra e che dobbiamo decidere rapidamente.

Si è riaperto, con la crisi del grillismo, schiacciato sotto il peso delle sue contraddizioni (anche in considerazione della diaspora locale che ne ha minato la credibilità), uno spazio di un certo interesse, bisogna capire se siamo in grado di intercettare consenso e risorse in uscita dal movimento, possiamo farlo solo se la nostra proposta è allo stesso tempo coerente, credibile e radicale. L’ambiguità e le ambivalenze vanno risolte quanto prima, alla lunga, proprio perchè generano confusione ed incertezza, non permettono di adottare strategie efficaci e comporatamenti coerenti, determinati, tempestivi, comprensibili. Bisogna recuperare il giusto protagonismo. Facciamolo in fretta, altrimenti saremo costretti ad inseguire ed il “gioco” lo continueranno a condurre gli altri.

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