Il gambero, ovvero dal 41% allo 0,2% il passo è breve

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 17 agosto 2015

L’incremento del PIL italiano registrato dall’Istat (+0,2%) è un po’ come il sordo ‘plof’ che viene percepito al termine di un gran casino di infaticabili annunci, quelli con cui il governo renziano ci ha subissati in questi mesi. Non è una lieve stonatura, è proprio una stecca, ben percepibile peraltro, a fronte del +0,8% registrato persino dalla Grecia. Ormai è chiaro che siamo noi il malato d’Europa, noi e la Francia, come racconta anche il New York Times. Non c’è crescita, e tantomeno un’idea di sviluppo. La politica delle ‘mance’ (gli 80 euro dati alla cieca, gli sgravi fiscali a chi trasforma i precari in diversamente precari ‘, i 500 euro agli insegnanti al posto del dovuto aumento di stipendio, e così via) non ha pagato, non paga, lo dicono le cifre e le cifre oggi sono tutto. Perché se è vero che l’economia si è mangiata la politica – e la finanza, a sua volta, si è divorata l’economia (una cosa che a me, sia detto, non piace affatto) – le tabelle sono l’unica cosa con cui oggi si dovrebbe confrontare un governo, quello di Renzi in primis, che nasce tutto dentro questa logica neoliberista e dentro vi morirà. Così come, se è vero che la comunicazione è tutto, per un premier che conosce SOLO questa modalità di azione, gli annunci pesano come piombo e restano lì, appesi alla nostra memoria quale monito futuro. In questo senso, lo 0,2% si trasforma in una specie di ‘marchio’, di incancellabile brand della presunta politica dell’attuale esecutivo.

Quello 0,2%, peraltro, fotografa il Paese. ‘Il manifesto’ di ferragosto spiega che in quel dato percentuale c’è un calo dell’agricoltura, c’è un piatto andamento dell’industria (Mediobanca nei giorni dell’ubriacatura sulle stabilizzazioni contrattuali ha detto che l’occupazione nella grande industria è calata dell’1,1% nel 2014 e che le previsioni sono le medesime per il 2015) e un tenue aumento nel solo settore dei servizi. Non bisogna affatto meravigliarsene: al nostro Paese manca un piano industriale, non c’è un piano investimenti, né una strategia di sviluppo e si privilegia solo tagliare la spesa pubblica (che in tempo di crisi è una specie di nefandezza) per poter distribuire mance agli elettori e alle categorie sociali. Il risultato di questo scempio è una crescita debolissima, praticamente zero, che mette nei guai Renzi nei confronti della sua richiesta di flessibilità lanciata all’Europa. Ma che lo mette nei guai anche sul piano interno. Oggi Valentina Conte su ‘Repubblica’ fa la conta dei miliardi che servirebbero al premier per mantenere le promesse, per inverare gli annunci, per scongiurare le clausole di salvaguardia, per dare concretezza al piano casa, per tagliare l’Irpef. Sono decine di miliardi di euro. Difficile, dice la giornalista, far quadrare il cerchio dopo il deludente dato Istat sulla crescita del PIL. La legge di stabilità sarà la vera prova del fuoco, altro che le riforme. Lì cadrà l’asino, vedrete.

Sono quasi due anni, difatti, che ne sentiamo e ne vediamo di cotte e di crude da parte del governo: annunci che si accavallano, conti sballati, previsioni che non si realizzano, riforme che si fanno solo se sono di destra, elargizioni a pioggia in prossimità elettorale, crescita tanto annunciata quanto mancata. L’Italia per l’ennesima volta si è raccomandata al parvenu di turno, a chi promette scorciatoie, sogni, miracoli italiani e magnifiche sorti e progressive. È la principale debolezza storica di questo Paese, incapace di diventare maturo, quasi sempre stupidamente incantato dinanzi alle cose della politica. Per questo i piccoli numeri di Renzi a fronte dei suoi roboanti annunci non possono nemmeno considerarsi una sorpresa. Quanto una conferma di una costante storica, la prova che i veri gufi sono loro, e sono loro i primi a ‘tirarsela’ quando annunciano cifre alla cieca e poi restano inevitabilmente sommersi dalle solite, sciocche, minuscole percentuali. Dal 41% allo 0,2, insomma, il passo è breve. Anzi, brevissimo.

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