Fronte progressista – Meno fretta. E un passo indietro per andare avanti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 30 agosto 2018

Meno fretta. E un passo indietro per andare avanti.

È partito il dibattito di ‘Repubblica’. Le parole di Walter Veltroni a questo servivano, in fondo. Oggi è toccato a Cacciari, a Zingaretti, ad Antonio Costa che è il premier portoghese. C’è una cosa che unifica tutti, l’obiettivo immediato di un fronte dei progressisti – più una seconda cosa, la fretta di fare. “Sbrighiamoci” dice il governatore del Lazio. “Bisogna fare subito” aggiunge l’ex Sindaco di Venezia. Serve un fronte unito che faccia presto, ecco la sintesi. Ma ‘fare’ cosa? E prima ancora, chi dovrebbe stare nel fronte dei progressisti? Si dice: da Macron al PD, se ne indicano sinteticamente gli estremi. Ma un fronte funziona, è tale, se poggia su qualcosa, su gambe che corrono, su forze che siano tali. Un fronte non deve cancellare le forze politiche ma esaltarle nell’unità. La sinistra oggi manca proprio di questo, di soggetti che operino, che ‘agiscano’ in una società complessa come la nostra e ci rappresentino in un Parlamento posto sotto attacco dalla destra populista (e non solo!). Un ‘fronte’ senza ‘forze’ quanto dura, quanto è forte, che futuro ha? Si ridurrebbe a una sfilata mediatica di figure dirigenziali, di padri nobili, di donne e uomini eminenti, di risate e pacche sulle spalle. E poi a folle con la bandiera, mentre un’agenzia di comunicazione è alla ricerca di clienti ed elettori. E infine a brand, a campagna elettorale variopinta, a task force di agenti web che trollano gli avversari, a volontari che occupano gazebo per farsi selfie e testimoniare così la loro presenza, a sondaggi che oggi ti deprimono e domani pure.

Si può finalmente andare oltre questo, che pure si annuncia testardamente, come una specie di arrembante deja vu? Si potrebbe fare politica, anzi ‘agire’ politicamente, invece? Porre le basi per una nuova formazione politica che superi il PD, ad esempio, e che raccolga le forze disperse e le tante risorse umiliate in un’organizzazione di sinistra di massa e partecipata? A questo dovrebbe servire un congresso. Senza un partito (o partiti) non nascono nuove classi dirigenti all’altezza della fase, non si genera una cultura politica, non c’è partecipazione organizzata. Senza partiti di questo genere non c’è fronte composito che tenga, non c’è rassemblement, né coalizione, né sforzo congiunto e unitario che si voglia. Parrà paradossale, ma sbrigarsi è proprio il modo migliore per costruire grattacieli privi di fondamenta, colossi d’argilla, anzi nani. Quando si ha fretta è tutto buono, anzi una democrazia senza partiti, sfrondata, polarizzata, maggioritaria e a Costituzione prosciugata, va più che benissimo alla bisogna. Rende possibile in una lampo i fronti (prima) e le decisioni ultraveloci (dopo). Cosa chiedono in fondo i poteri extrapolitici, quelli che agiscono come una consorteria, e presentano il conto dei loro interessi? Velocità, liberazione da lacci e lacciuoli, iter superceleri, decisioni che diventano al volo cose da fare, riforme che sfrondano e, quindi, meno tutele democratiche, meno zavorra. La fretta non è roba di sinistra, oggi è roba di destra.

Direte: il solito pessimista pignolo, a cui non sta mai bene niente. Non è così invece. Chi mi conosce sa che mi è sempre stato bene tutto, ma proprio tutto. Alle politiche sono stato dalla parte di LeU, di D’Alema e di Bersani, e di tutti coloro che erano in quell’avventura. E lo rifarei ancora. E poi ancora. Ma, siccome si discute, provo a dire che servirebbero basi più solide di uno Zingaretti che parte armi e bagagli e frettolosamente per la pugna politica. O di un Veltroni che chiede una ‘nuova sinistra’: ‘nuova’ de che? Perché non scoperchia questo aggettivo e ci dice in che senso ‘nuova’? Perché questa indeterminazione? Giacomo Leopardi diceva che la grande poesia nasce dalla vaghezza, da un alone di indeterminatezza poetica. La ragione tutto spiega e tutto definisce, mentre la poesia sfuma, sfugge, libera. L’uso di questa parola (‘nuovo’) serve a sfuggire alla determinatezza, appunto, a suggestionare, a creare un effetto di vaghezza che dovrebbe genererare fascino, quando invece disorienta. Quel che manca oggi è invece la ragione politica, le ragioni della politica! Tutto è neutralizzato, tutto tende a essere tecnica, fare, comando immediato, in nome di una logica mediale che si è impossessata definitivamente della politica, nella gioia di tutti. Un passo indietro, almeno questo. Un passo indietro da questa roba e forse si torna in un ambito che è nostro, non quello mediale degli stregoni politici e dei guru, ma quello umanissimo delle persone che vogliono soltanto una società migliore, più giusta, meno esacerbata. Che poi è l’obiettivo della sinistra. Guarda un po’.

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.