Frequentare il popolo, non ridurlo a destinatario di bonus

per Gian Franco Ferraris

di Alfredo Morganti – 6 maggio 2016

La citazione vi parrà improvvida, ma non c’entra niente col giudizio verso la persona. Improvvida perché è Renato Zero, un cantante, a parlare di politica. In modo telegrafico, certo, e dietro precisa domanda, ma tant’è. Qualche tempo fa, mentre facevo altro in giro per casa, con la coda dell’orecchio ho sentito qualcuno in tv proporre una domanda al cantante, forse in occasione dell’uscita di un suo ‘disco’. Non si trattò nemmeno una domanda, ma di una semplice locuzione: “La politica”. Veniva dopo altre formulate nello stesso modo lapidario: “I giovani”, “La religione”, ecc. Renato Zero non ci pensò un attimo, rispose quasi di scatto e disse: “La politica dovrebbe frequentare di più il popolo”. Proprio così. È una frase che, nella sua laconicità, potrebbe voler dire molte cose. Potrebbe essere il riflesso di un rozzo populismo, oppure una vaga richiesta di ‘ascolto’, o semplicemente un’idea di maggiore ‘prossimità’ verso i cittadini. Io mi sono fermato un attimo e ci ho pensato un po’, vi dico la verità.

In questi giorni mi torna spesso l’immagine della ‘scollatura’. Ci sono istituzioni, autorità, e ci sono figure autorevoli di politici e di intellettuali, che sembrano veleggiare in alto, molto in alto, quasi dimentichi che la sovranità in fondo resta al popolo. Ma più ancora c’è la tendenza diffusa a ‘scollare’ pian piano i legami che stabiliscono costituzionalmente una ‘connessione’ con il popolo e i cittadini. La politica, per dire, è interpretata in modo sempre più riservato e ‘oscuro’ (patti segreti, clan, trasversalismi, sconfinamenti, trasformismi, opportunismi). Ci si muove più ‘orizzontalmente’ (nel senso dell’accordo di potere) che verticalmente (nel senso del rapporto con i cittadini). E anche quando si sceglie la verticalità, lo si fa in modo vertiginoso, diretto, tentando un dialogo fulmineo tra leader e base (o meglio ‘utenti’ media o social), saltando ogni mediazione. Penso all’altissima frequenza di ‘Matteo risponde’ o più seriamente all’Italicum e al premio di maggioranza, che dovrebbe ‘dopare’ la rappresentanza effettiva in nome di una governabilità assoluta, intangibile, ma che non farebbe più tornare i conti tra composizione del Parlamento e proporzioni effettive del Paese (e anche questo è un distacco, un mancato ascolto, una mancata ‘frequentazione’ come direbbe Renato Zero).

Oggi leggevo su ‘Repubblica’ della paura che serpeggia al Nazareno, tra i renziani: ci sarebbe il timore di ‘smarrire il feeling con il Paese’. Smarrire il feeling: ossia la connessione sentimentale con la ‘base’, l’unica fonte vera di legittimità per un sovrano democratico. Ma se dovesse accadere, non sarebbe colpa degli scandali e delle sconfitte elettorali se non in parte. Prima ancora ci sarebbe il dolo personale, le innumerevoli scelte fatte (ne ho ricordate alcune) per la ‘governabilità’ (Italicum), per ramificare pattiziamente il potere (Nazareno), per estendere la trasversalità del potere stesso (Partito della Nazione). C’è poi l’insistenza maniacale, fobica sui media come canale principale, forse unico, di raccordo col Paese. E ancora: il ‘bonus’ come gratificazione e zuccherino; lo ‘sgravio’ come blandizia verso gli imprenditori; la pacca sulle spalle come metodo paternalistico e di vassallaggio. Un ottimismo portato al ridicolo senza mai mostrare la faccia oscura del potere o della società, ma solo quella fiduciosa (l’Italia che riparte), quando invece uno statista le cose non le manda a dire e racconta responsabilmente anche il proprio pessimismo dell’intelligenza. Si accusa, perciò, il Paese e la sinistra di essere pieni di gufi, sinché questi non si comportano davvero come tali, opportunamente stimolati a farlo. Ecco, se Renzi avesse davvero frequentato di più il popolo (e le istituzioni, dico io) invece di attrarre a sé il potere come un magnete, verticalizzandolo viepiù, e donando zuccherini a destra e manca, oggi forse sarebbe meno intimorito, più consapevole, meno solo (a parte i ‘succhiaruote’, come si dice nel gergo ciclistico).

[Penso a Saviano che rimprovera ai politici e agli intellettuali di raccontare un’Italia senza zone oscure, e penso che abbia ragione. Non si governa con le favole e i sogni. Basterebbe frequentare davvero i cittadini per trarne delle indicazione di governo più sicure e affidabili di quelle offerte dai riscontri dei sondaggi e dai report della propaganda spicciola. Basterebbero dei partiti come antenne sui territori, non ridotti a marchi personali. Basterebbe avere davvero un popolo con cui dialogare. E sarebbe questa la rivoluzione. O quasi.]

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