Fonte: il Simplicissimus
di Anna Lombroso per il Simplicissimus – 24 marzo 2015
Allora Marine Le Pen ha vinto. Come chiarisce il Simplicissimus oggi per alzare un po’ della nebbia mainstream che vela la nostra pigra e assoggettata informazione, il suo partito, diventando in effetti il primo partito del Paese con 5.108.o66 voti contro i 4.246. 149 dell’unione delle destre (Ump di Sarkozy, Udi e alleanze minori a seconda delle situazioni locali) e i 2. 703.751 del partito socialista.
A conferma che quello che si aggira per l’Europa – Ucraina, Ungheria, Grecia, Olanda, paesi Baltici, ma anche la spagnola Democrazia Nazionale, il Partito Nazionale Britannico e quello fiammingo – non è uno spettro, non è un fantasma, non è uno zombi, ma una presenza concreta, ben viva, dinamica, forte, che è stata nutrita, finanziata, appoggiata, come componente funzionale e conveniente di un regime sovranazionale interessato a svuotare gli stati di sovranità, a espropriare i popoli di diritti, a prosciugare le democrazie dei contenuti di rappresentanza e partecipazione per appagare la fame inesauribile di un padronato globale, anche con l’ausilio di formazioni che impiegano le arcaiche parole d’ordine della destra più misoneista e che si rifanno alla sua immarcescibile triade: autoritarismo, razzismo, xenofobia.
E che non è audace chiamare semplicemente fascista.
Aveva cominciato Berlusconi a legittimare sotto la bandiera della destra plurima e plurale, le forze neofasciste, aiutato da quella redentiva pacificazione che dava uguale riconoscimento e valore a vittime e carnefici, colpevoli e innocenti, fratelli Cervi e ragazzi di Salò, necessaria a suscitare la convinzione che possano essere uguali anche ladri e derubati, corruttori e onesti, padroni e servi, tutti comunque sulla stessa barca, tutti parimente interessati a produrre, vendere e comprare. Adesso è stato definitivamente sdoganato il razzismo del terzo millennio, populista, xenofobo, divisivo. Aiutato anch’esso da quel fronte che a osservatori disattenti parrebbe essergli antagonista, invece impegnato non solo nelle rappresentazioni mediatiche ma anche nella mente dei propri quadri, nella simbolica testimonianza dell’establishment, della governabilità e dei poteri forti, al consolidamento definitivo di una dirigenza unica, pochi contro tutti, una oligarchia senza onore, senza idee, senza principi, pronta ormai a convertirsi in cleptocrazia, grazie alla promozione di leggi speciali adottate per aggirare la legge, lo stato di diritto, lo stato sociale, lo stato tout court.
Forse mai un regime è stato così uniforme malgrado i “cartelli” societari siano variegati.
Uno espone il menù della destra neo-missina dei partitini di Storace e di Meloni, che piace ai vetero-fascisti e quell’elettorato più sensibile ai richiami patriottardi, disgustato da Berlusconi e tradito da Fini, chi più “sociale” e nostalgico, chi più futurista più modernizzante, più liberista, più giovanilista, coagulo di quel giustizialismo di destra tollerante con chi conta, anche pochi voti, e naviga e implacabile con chi affonda, poveri, tossici, immigrati, Rom, diversi comunque, quindi colpevoli. Per non dire del movimentismo di Casa Pound e il suo radicamento territoriale favorito da sindaci patron e dalle loro regalie, riconosciuto come omologo degno di confronto costruttivo da qualche circolo Pd, encomiato per l’impegno “umanitario”, malgrado risse, pestaggi, sloga, o Forza Nuova che seppellisce Tosi con bara imbandita in piazza, ambedue, mai perseguiti, ma guarda un po’, per apologia di reato, perché considerati folkloristici, inoffensivi, “disarmati”. L’operoso lavoro di tessitura ha intrecciato “l’orgoglio padano” con l’estremismo nero, stretto in un patto ideale l’associazionismo giovanile leghista con i naziskin, uniti i simboli: croce celtica, svastica, Alberto da Giussano, in un mix pop e rock.
L’altro esibisce e sciorina tutto il repertorio dei neoliberismo, i suoi capisaldi: primato del privato, teocrazia del mercato, ostensione delle divinità del profitto e delle disuguaglianze e dei loro riti satanici, comprese le convention della Leopolda e i meeting dei thik tank, assoggettamento all’imperialismo finanziario e adesione entusiastica al suo interventismo, tolleranza nei confronti della criminalità economica, funzionale alla conservazione di guadagni elettorali, di rendite di posizione, di privilegi.
Questo secondo cartello non ammetterà di appartenere esplicitamente alla destra, ma al tempo stesso non ha i requisiti per definirsi antifascista. Per carità probabilmente a differenza di Berlusconi non diserterà le feste del 25 aprile: si limiterà a rinnegare il Primo maggio diventato festa dell’Expo, a coronamento della sepoltura del lavoro. Ma una corona, un tweet, un pistolotto, un ministro a Marzabotto non si nega a nessuno. E poi fa comodo darsi una ripulita nella retorica resistenziale, utilizzata ad intermittenza come lavacro collettivo della coscienza nazionale, soprattutto se in parallelo si instaura un clima di depotenziamento della democrazia, aprendo la strada al suo definitivo superamento, grazie alle “riforme” approvate in un Parlamento dichiarato non costituzionale, con l’occupazione della radiotelevisione pubblica, con il condizionamento pesante della stampa cosiddetta “indipendente”, con la limitazione progressiva o addirittura la cancellazione di ogni diritto, con la trasformazione del lavoro in precariato e poi in schiavitù, con l’impoverimento dell’istruzione pubblica in favore di quella privata, con la trascuratezza criminale nei confronti del patrimonio culturale e del territorio per accelerarne la cessione e per ratificare l’egemonia di rendite e speculazioni.
Era inevitabile che con un concorso di colpe si affermasse la grande menzogna: il fascismo non c’è più, quindi anche l’antifascismo non ha più motivo d’essere, si tratta di uan categoria residuale e arcaica che va superata con larghe intese, prima tra tutte quella che ha reso esplicito lo svuotamento prima sotterraneo della democrazia, l’alterazione della Costituzione, la modifica nella sostanza dei rapporti tra il potere dei partiti – o meglio del partito unico – e quello giudiziario o tra governo e parlamento o tra Stato e regioni, incrementando la separatezza tra ceto politico e società, rimuovendo l’antifascismo (e il comunismo italiano, in particolare), per svilire la Resistenza, con il fine ultimo di ridurre a un guscio vuoto, a esercitazione letteraria la Costituzione e i suoi principi.
Quando a proposito di revisionismi e riletture della guerra di Liberazione, viene spesso citato la frase di Pavese: “ogni guerra è una guerra civile”. beh, non c’è niente di civile, niente di umano, niente di tollerabile nella guerra che i fascismi, sempre gli stessi con diverse divise, al servizio degli stessi tiranni e padroni, con diverse facce, ci stanno muovendo. E allora lo stesso di allora deve essere il coraggio di resistere e ribellarsi.