Fonte: La stampa
Savoia, storia da dimenticare, ma fa parte di Torino
Giusto soddisfare l’ultimo desiderio del principe senza trono. Farlo riposare con i suoi antenati è una questione di rispetto
Amici esperti in questioni di diritto mi dicono che esiste una normativa – non so di che tipo – secondo la quale a un Savoia, anche se non diretto pretendente al trono, dopo il 1946 è interdetto l’ingresso in Italia. Perfino se è morto. Ignoro se ciò sia vero, e francamente lo ritengo perfino possibile – non c’è limite all’idiozia umana -: mi limito comunque a osservare che se c’è qualche normativa di questo tipo è giunto il momento di abolirla. Che sia opportuno per motivi “di sicurezza”, è assurdo: non vedo possibili movimenti savoiardi di popolo all’orizzonte. Che sia comunque giustificabile, è profondamente cretino solo il pensarlo: del resto, peccato originale a parte, non è né equo né legittimo che le colpe dei padri ricadano sui figli.
A livello personale, come studioso e come cittadino, sono profondamente ostile alla dinastia sabauda: e non al solo Vittorio Emanuele III, né solo per le leggi razziali del 1938 (che spero abbia firmato esclusivamente per viltà: il che è comunque indegno di un re e anche di un uomo), o per l’infame condotta dalla vigilia del 25 luglio alla fuga dell’8 settembre. Non gli perdono non solo l’entrata dell’Italia in guerra del 1940 (era lui, non Mussolini, il capo dello Stato), ma nemmeno la guerra di Libia del 1911 contro l’impero ottomano ch’era molto vicino alla Triplice Alleanza della quale l’Italia faceva ancora parte, né la condotta proditoria contro l’Austria vilmente maturata col patto segreto di Londra e sfociata nel voltafaccia sleale e nel macello inutile e orribile del ’15-’18, né l’aggressione del 1935 all’amica Etiopia, né il comportamento prima succube quindi sleale nei confronti del Duce.
Ma la mia avversione contro l’ex casa regnante va ben oltre. La storia dei Savoia – con poche eccezioni, come quelle del principe Eugenio nel Settecento o del duca Amedeo d’Aosta nel secolo scorso –, è una ininterrotta vicenda di “giri di walzer” diplomatici, d’incoerenze e di autentici tradimenti. Non si salvano neppure il “Re Tentenna” Carlo Alberto; né il Re Galantuomo Vittorio Emanuele II che per ambizione e per slealtà nei confronti delle cancellerie di mezza Europa abbracciò la causa infelice di un’Italia accentrata e unitaria secondo il modello bonapartista (mentre tutta la storia della penisola è strutturalmente policentrica, quindi indirizzata al federalismo: avevano ragione Rosmini e Cattaneo); né il Re Buono Umberto I, cannoneggiatore di operai e artefice d’una scellerata e sfortunata impresa coloniale, la prima guerra italo-etiopica. Del Re Soldato Vittorio Emanuele III abbiamo già detto. A proposito del “Re di Maggio” Umberto II, meglio è tacere per carità di patria. Della sua consorte Maria José, che non mi sta simpatica, mi dice un gran bene l’amico e collega Agostino Paravicini Bagliani che ha collaborato con lei nell’ambito d’istituzioni culturali da lei sostenute: e dell’illustre storico del pontificato romano mi fido. Quanto ai figli dell’ultima coppia regnante, ho personalmente stima di Maria Gabriella: ed è tutto.
Ciò nonostante, la storia non si cancella e ai defunti sono sempre dovuti rispetto e riconoscimento sereno. Vittorio Emanuele di Savoia, pretendente alla corona d’Italia, ha sulle spalle varie cosette e cosucce indecorose: e tutti ricordano, a non voler dir altro, il “pasticciaccio brutto” di quel colpo d’arma da fuoco forse preterintenzionale e di quel giovane vittima forse di una fatalità. Con tutto ciò, egli resta la propaggine di una dinastia che ha contribuito nel bene e nel male alla storia del nostro Paese: e in particolare del Piemonte e di Torino. La storia d’una città bellissima, con i suoi monumenti e i suoi musei, la storia di una lunga stagione di vita del nostro Paese. La storia di cimeli venerabili, come la Santa Sindone (al di là del suo valore come reliquia). La storia della basilica di Superga, che i più anziani fra noi venerano se non altro in memoria dei calciatori caduti del Grande Torino, indimenticabili eroi dello sport.
Vittorio Emanuele resta parte di tutto ciò. A me non piacciono né lui, né la sua famiglia: ma il rispetto cui ha diritto gli va accordato, il suo ultimo desiderio dev’essere soddisfatto. Che dorma con i suoi antenati, nella terra dei suoi avi. Nessuno potrà biasimarci per un gesto estremo di generosità e di libertà.