Fonte: Minima Cardiniana
Heri dicebamus… Lo dicevamo due anni fa. E purtroppo siamo obbligati a ripeterlo oggi, così: parola per parola o quasi.
È l’eterno teatrino della memoria, del “dovere della memoria”, della cancellazione di quel che non serve o che imbarazza, infine addirittura della cancel culture.
Insomma, tra dovere della memoria e cancel culture, ci capite ormai ancora qualcosa? Che cosa si deve ricordare, che cos’è opportuno o necessario dimenticare?
Prendiamo la doccia scozzese degli ultimi anni. Fino a una manciata di mesi fa, d’altro non si parlava se non di terrorismo fondamentalista musulmano. Poi qualcuno dev’essersi accorto che i capi e i finanziatori dei terroristi erano “amici”, partners finanziari, ottimi esportatori di petrolio ed eccellenti importatori di quelle armi che escono senza posa dalle uniche fabbriche industriali che l’Occidente riesca ancora a far andare a pieno ritmo. Quindi, mettiamo la sordina all’antislamismo indiscriminato e parliamo d’altro.
Ma la Provvidenza, o il Caso, o il Destino, o il Chiamatelocomecavolovipareepiace ci ha messo del suo, da quattro anni a questa parte. Chiodo scaccia chiodo. Prima il Covid-19, che ha fatto misteriosamente scomparire l’Islam fondamentalista dalle prime pagine dei giornali, dai teleschermi, dalla memoria collettiva; quindi la guerra russo-americana in Ucraina, che ha cacciato l’epidemia; poi il sospetto cronicizzarsi di quel conflitto, che minaccia di resuscitare l’epidemia peraltro mai scomparsa; infine il misterioso 7 ottobre 2023, del quale precipitosamente e con sospetta decisione si sono individuati alcuni (pochi) esecutori e alcuni “sicuri” (?) mandanti, la fatale rappresaglia israeliana, la tragedia dei 30.000 morti (e oltre) di Gaza.
Ci sono però realtà che si ostinano a restare sullo sfondo o nel sottosuolo. Massacri e infamie che restano avvolti e coperti dal silenzio, nel nostro beato Occidente democratico così sollecito nel difendere le cause democratiche.
Come quella ucraina, il popolo della quale è come gli altri, senza dubbio: ma – la democrazia appunto evidentemente lo insegna – dev’essere molto più uguale degli altri, dal momento che se ne parla di continuo mentre di altri non si parla mai. E che ora si tratta di sostenere ad ogni costo: non il popolo ucraino in sé, che paga un contributo altissimo di sangue, ma il suo governo che insiste nel rifiuto di qualunque ipotesi di trattativa e nelle sue esorbitanti pretese rivolte ai suoi amici europei e americani.
Ma ci sono poi quelli dei quali fino a ieri non si parlava mai. Per esempio dello Yemen e degli yemeniti: della terra all’estremo lembo sudoccidentale della penisola arabica, quella che i romani chiamavano Arabia Felix.
Dal 2015 l’etnìa degli houthi – la minoranza degli yemeniti sciiti che si è impadronita di Sana’a, la capitale – è stata oggetto dell’offensiva di una coalizione guidata dagli USA che ha scatenato la spietata operazione Decisive Storm cui prendono parte Egitto, Arabia Saudita, Emirati, Giordania e altri paesi dell’area arabo-africana sunnita. Quella guerra è una miniera d’oro per i mercanti di morte: la sola Arabia Saudita nel 2020 ha speso 57,5 miliardi di dollari in importazioni di armi che poi ridistribuisce: l’8,4% del suo PIL. Tra i paesi esportatori ci sono in prima linea gli USA, che forniscono all’Arabia Saudita il 79% delle armi che quel paese importa.
I dati delle Nazioni Unite a proposito di quella “guerra dimenticata” sono spaventevoli: 377.000 morti a tutt’oggi, dei quali circa 9000 inermi non combattenti, su 30 milioni di abitanti, dei quali quasi la metà non dispone di cibo sufficiente. La malnutrizione minaccia soprattutto i bambini sotto i cinque anni. Tragica la ripercussione del conflitto, che dura da dieci anni, su tutta l’area. In confronto a questa tragedia, il conflitto in Ucraina impallidisce. Ma per quale ragione noi parliamo sempre dei bambini ucraini e mai di quelli yemeniti? A quali gigantesche, orribili proporzioni arriva la nostra disinformazione? Chi ne è responsabile? Chi e quanto e quando, pagherà per questo?
Intanto però il quadro è cambiato. Da alcuni mesi gli sciiti dello Yemen centrale rispondono, anzi contrattaccano con l’evidente e logico appoggio di Teheran: e recano senza dubbio danni e perdite (economiche e non solo) al traffico occidentale sul Mar Rosso. Da allora, tutti si sono svegliati: e invocano saette internazionali targate USA-NATO-UE contro i “pirati” yemeniti che, finché erano vittime quotidiane d’una violenza inaudita, non facevano notizia.
E se invece di rispondere con ritorsioni provassimo a intavolare un po’ di decenti trattative, per consentire a noi di riacquistare la rotta marittima tra Mar Rosso e Oceano Indiano e agli sciiti dello Yemen di tornare a vivere un minimo di vita accettabile, come non conoscono più da quasi un decennio?