Fonte: Minima Cardiniana
Omar Bellicini ha chiesto a Franco Cardini di rilasciare un’intervista per il periodico “Il Tempo di Oggi”. Data l’importanza dell’argomento anche sul piano civico, si è scelto di offrirne un anticipo agli Amici dei Minima Cardiniana.
L’ETÀ DELL’ARROGANZA
Complici i social, si legge spesso che questa sia una sorta di età dell’oro dell’ignoranza. È un discorso che ha qualche fondamento storico?
Premesso che l’unica utilizzazione scientifica che può scaturire dalla consultazione dei social è quella che riguarda le ricerche sociostatistiche sulle tendenze dell’opinione pubblica (con la riserva dell’autorevolezza della campionatura) e che pertanto, nell’interesse della società, sarebbe opportuno astrarne sistematicamente, un discorso generico sull’ignoranza di una società è impossibile a proporsi senza aver prima stabilito dei parametri precisi. Che cosa s’intende per ignoranza? Rispetto a quale unità di misura? In relazione a quali parametri e a quali contesti? Potremmo ad esempio stabilire il tasso d’informazione e di educazione pubblica in società omogenee, ad esempio stabilendo di misurarle secondo una distanza generazionale. Applicando un arco di tempo sociologicamente standard per esempio di una generazione, oggi potremmo dire ad esempio che è molto probabile che la generazione delle persone nate in Italia nel 2000 circa, fatta oggi di ventenni, è notevolmente più ignorante di quella delle persone nate verso il 1975 per il fatto che c’è stato un complessivo peggioramento della scolarizzazione e della qualità dell’insegnamento universitario, che gli abbandoni scolastici e universitari sono aumentati, che è cresciuto il numero dei giovani che non hanno né un titolo di studio, né un lavoro, né una qualche forma di preparazione professionale, né un interesse culturale di rilievo seriamente coltivato; inoltre l’editoria è entrata in una crisi di decremento, così come si è abbassato il consumo della stampa specializzata in tutti i settori e dell’interesse per la vita politica interna e internazionale.
Bisognerebbe comunque intendersi su cosa sia l’ignoranza. Esiste un modo per definirla e misurare la sua diffusione?
Ho indicato qualche parametro nella risposta precedente. Ribadisco che per ignoranza si può intendere mancanza o carenza d’informazione socio-politico-culturale, mancanza o carenza di cultura civica e di senso civico, mancanza o carenza di possesso di titoli documentari obiettivi che dimostrino la detenzione di un qualunque sapere specialistico.
È possibile sostenere che un’epoca sia più ignorante di un’altra?
Nelle società cosiddette tradizionali, dotate di una forte base di cultura comunitaria condivisa che si esprime nella consapevolezza e nella fiducia delle istituzioni politiche, sociali, religiose e culturali che le caratterizzano, può sussistere una gerarchia qualitativamente più o meno densa delle forme di sapere a quella società funzionali, accompagnata da un apprezzamento valutativo delle medesime e da adeguati strumenti di verifica e di giudizio (con relative forme di sanzione per gli individui che si dimostrino carenti). La Modernità occidentale, con il progressivo prevalere del primato dell’individualismo e il correlativo crollo delle gerarchie socio-istituzionali e socio-culturali, ha progressivamente messo in crisi questo sistema di valori. Il rarefarsi dei concetti di corresponsabilità comunitaria e di pubblico bene hanno condotto le società occidentali contemporanee sull’orlo del collasso socioculturale. I risultati si cominciano a scorgere con evidenza e le forme di correzione del sistema (se non addirittura d’inversione di tendenza) non sono per il momento all’orizzonte.
È un fatto che la cultura goda, almeno in Occidente, di minore prestigio rispetto al recente passato. La storia può dirci qualcosa sui motivi?
Il crollo di qualunque sistema di valori culturali che non sia fondato sull’etica dell’utilità privata e del guadagno più o meno immediato e sensibile, associato al primato dell’individualismo e al crollo del principio di autorità con tutti i suoi annessi etici e giuridici, ha messo in crisi le istituzioni comunitarie delle società occidentali. Dal momento che le nostre società sono incapaci di stabilire per se stesse degli scopi che vadano al di là dell’interesse privato e della soddisfazione edonistica, quindi di dare a se stesse uno scopo comunitario ed etico da raggiungere, i modelli offerti dalla storia tendono a suggerire che esse sono in via di destrutturazione e che i loro sistemi di vita e di comportamento sono destinati ad essere sostituiti da altri che siano portatori di valori qualitativi più forti e capaci di aggregare attorno a sé le residue forze attive ed esprimere nuovi valori etici ed estetici che sostituiscano gli attuali, svaniti o usurati o screditati.
Se posso condividere con Lei una mia impressione, più dell’ignoranza, la novità sembra essere l’arroganza che l’accompagna. Era già successo, in passato, che il valore della cultura declinasse improvvisamente, portando a una situazione simile a quella di oggi?
Il declino delle culture (cioè dei sistemi di valori fortemente condivisi) e il crescere di quella che Lei chiama arroganza (vale a dire dell’arbitrio individuale accompagnato da insofferenza per l’autorità e da consapevolezza di forte probabilità che i propri errori e i propri delitti non debbano essere sottoposti a giudizio e chi li compie non debba pagare il prezzo della sua responsabilità) sono fenomeni correlativi e complementari. Diffondersi dell’ignoranza e crescere dell’arroganza sono fenomeni caratteristiche delle società permissive e dei sistemi sociopolitici deboli. Quando si presentano in forme gravi portano generalmente a una crisi dalla quale scaturisce un rinnovamento. Fasi di disordine e di disorientamento di questo genere si sono presentate spesso nelle società occidentale ed eurasiatica degli ultimi due secoli e mezzo, magari in seguito a traumi sociali gravi: ricordiamo la realtà francese del 1789-1802 circa, quella russa del 1917-1924, quelle italiana, tedesca e turca del 1918-1930 circa, quella emisferica della “crisi del ’29”, quella cinese del periodo 1912-1930 ca., quella europea degli anni 1939-1948 circa, quella vicinorientale aperta verso gli anni 1948 e ancora in corso, quella nordafricana aperta negli Anni Cinquanta e ancora in corso, quella del continente africano iniziata con la decolonizzazione, quella latino-americana aperta a metà degli Anni Cinquanta del secolo scorso e ancora in corso. Di nuovo quella russa degli Anni Novanta del XX secolo, quelle balcano-vicino-mediorientali dagli Anni Ottanta del secolo scorso ad ora, che sono ancora in corso. Il sostanziale fallimento delle organizzazioni sovranazionali di controllo e di coordinamento, a cominciare dall’ONU, sono garanzia di un periodo d’instabilità che sarà ancora molto lungo.
In ultima analisi, si deve concluderne che i sistemi liberistici e la conduzione del mondo da parte della leadership dei vincitori della seconda guerra mondiale e delle lobbies multinazionali, congiunti, sono stati un fallimento. Da questa constatazione è necessario partire per avviare un processo generale di rinnovamento che insista sulla reazione alla crisi planetaria, al degrado dell’ambiente, alla crescita esponenziale della concentrazione della ricchezza e della proletarizzazione progressiva delle masse umane che popolano il mondo. Le due encicliche pontificie Laudato si’ e Fratelli tutti sono al riguardo altrettanti strumenti diagnostici generali estremamente validi e la prospettiva di ridefinizione del sistema globalistico internazionale sull’asse del progetto One Belt One Road varato nel 2013 dal presidente della Repubblica Cinese appare una strada concreta da percorrere per il raggiungimento di un equilibrio rinnovato.