Fonte: Minima Cardiniana
CINQUE ANNI OR SONO…
PENSARE LA PASQUA, OGGI
Le storielle – le “barzellette”, come di solito le chiamiamo noialtri – sono spesso cose molto serie. Sono la viva sostanza della saggezza dei popoli saggi. E i cinesi sono popolo notoriamente saggissimo. È quindi bene tener a mente la storiella della povera famiglia contadina sulla quale cade la mannaia di una disgrazia: un raccolto andato a male, gli animali da cortile decimati da una morìa o roba del genere. Ma, mentre tutti piangono e si disperano, il vecchio patriarca sentenzia: “Non è detto che questo sia un male”. E difatti succede che il capo del villaggio, o addirittura l’imperatore, si rendono conto della tragedia di quei poveretti e li risarciscono generosamente. Grande festa in famiglia; ma il patriarca ammonisce: “Non è detto che questo sia un bene”. Difatti qualcuno mangia troppo e si sente male, qualcun altro si ubriaca per la felicità e cadendo a terra urta malamente e muore eccetera; e così potremmo continuare all’infinito, dal momento che il vecchio patriarca è sempre lì, a rovesciare con i suoi presagi il segno delle gioie e delle paure dei suoi sciocchi familiari.
Lunedì 15 aprile 2019, verso sera. Era il Lunedì della Settimana Santa di cinque anni or sono. Notre-Dame di Parigi fu avvolta da altissime lingue di fuoco, fiamme che superavano il culmine delle monumentali torri campanarie; una paurosa, immensa colonna di fumo nero alta varie centinaia di metri s’innalzava da quell’immenso rogo oscurando il tramonto primaverile che quel giorno era insolitamente radioso; e il vento la spingeva verso ovest, verso l’Atlantico. Alle 19.52 la guglia di ferro, piombo, cemento e vetro alta 93 metri che svettava nel centro del tetto dell’edificio, all’incrocio dei bracci del transetto, crollò in fiamme come un fiammifero gettato a terra da una mano gigantesca. Fu, quello, un momento che non dimenticherò mai. Anch’io assistevo attonito, in mezzo a una folla che piangeva o pregava ma in un silenzio agghiacciante – coperto tuttavia dallo strepito dei clacson e delle sirene di pompieri, polizia e ambulanze che non riuscivano a passare –, a un centinaio di metri a nordovest, sulla rive droite della Senna, il Place du Carrousel. Un imponente cordone di cavalli di frisia e di gendarmi in assetto antisommossa impediva di avvicinarsi di più.
Quando la flèche, la guglia, cadde in fiamme, qualcosa mi si spezzò dentro: e scoppiai a piangere. Non ero il solo. Non piangevo dal 1998, dal giorno della morte del mio vecchio gatto che quasi per un quarto di secolo mi aveva fatto compagnia. Non sono un ésprit fort e non mi sono mai atteggiato a tale: ma un istintivo riserbo m’impedisce ordinariamente di dar libero sfogo a certi impulsi neurovegetativi. In quel momento, comunque, non mi curai di dar spettacolo: mi coprii la faccia con le mani e le bagnai di lacrime. A pochi metri da me, un capitano della gendarmerie stava facendo esattamente lo stesso. Altri si davano ad altre manifestazioni di stupore, di terrore, di disorientamento. Sentii un gruppo di voci giovanili intonare un Salve Regina.
Che cosa pensai in quel momento, mentre sembrava che le fiamme stessero avendo definitivamente ragione di quell’immenso, secolare edificio, e molti si aspettavano di vederlo da un momento all’altro crollare? Notre-Dame è un’antica compagna fin dai tempi dell’Università; per me è Parigi e insieme è il medioevo, e uno che ha ricordi della Parigi di quando aveva vent’anni o poco più (correvano gli Anni Sessanta) in Notre-Dame ci ha sul serio lasciato il cuore. In tutti i possibili sensi di tale espressione: non fatemi dire di più.
Ma certo, non c’è bisogno di aver fatto il medievista di professione per amare quelle mura, quelle torri, quelle guglie, perfino quei dèmoni e quei mostri di pietra che montano la guardia al tempio di Dio e sembrano al tempo stesso sfidare il Cielo. È senza dubbio un “medioevo convenzionale” quello suggerito a molti dalla grande cattedrale. Non è il medioevo dei severi studi accademici: è un medioevo un po’ di fantasia, un po’ di cartapesta, un po’ di carta stampata (quella del Notre-Dame de Paris di Victor Hugo, che scrisse il suo feuilleton nel 1831 proprio per impedire che il venerabile edificio, ormai un rudere cadente, fosse spazzato via per dar luogo al Nouveau Paris che gli si stava costruendo attorno). Ma è quello che amiamo, quello che c’invade gli occhi della mente quando indugiamo a sognare: Gina Lollobrigida che danza nel suo abito rosso di gitana immaginaria, e il gibboso storpio campanaro Quasimodo e il canonico alchimista Frollo che la desiderano con pario ardore; e poi i mille remake di quelle pagine mediocri eppure trascinanti, e i cartoons della Disney, e il recital di Cocciante; ma, ancora prima, le note di Un americano a Parigi di Gershwin, le immagini della libreria “Shakespeare & Company” amata da Hemingway, e le immagini di Colazione da Tiffany con un trasognato Gregory Peck e un’adorabile Audrey Hepburn, e la trasognata magia di Midnight in Paris di Woody Allen, e le passeggiate descritte nel Pendolo di Foucault di Umberto Eco…
Certo, è un monumento medievale e cristiano. È stato fondato nel 1162 da un vescovo ch’era anche cancelliere della prima Università d’Europa, vent’anni giusti dopo la morte di Pietro Abelardo e mezzo secolo prima della nascita di Tommaso d’Aquino, entrambi Maestri illustri in quella città. È lì che stanno infitte le nostre radici, lì è impiantato il senso dell’identità europea. Quando crollò la guglia, il primo giorno di quella Settimana Santa, pensai immediatamente a quell’Europa che adesso sembra agonizzare tra Bruxelles e Strasburgo e che fra qualche settimana potrebb’essere travolta da un disastroso esito elettorale. Diciamolo pure: un gran brutto presagio. Notre-Dame avrebbe potuto saltar per aria in un giorno dell’agosto del 1944, se il governatore militare germanico di Parigi non avesse deciso che in quel caso l’obbedienza non era una virtù e non avesse trasgredito alla cieca voglia di vendetta del suo Führer. Invece rischiò di crollare cinque anni fa, rovinata da oltre settant’anni di pace e dai gorghi della burocrazia, dai fondi insufficienti, dalla prevenzione inadeguata…
Ma non è successo. Anzi, da quella rovina – eccolo, il nostro vecchio capofamiglia contadino cinese… – è forse nato qualcosa di buono. Intanto, non sapevamo di amarla tanto e nemmeno di esser tanto generosi.
Il nostro pensiero quindi va oltre Notre-Dame, che tra qualche mese risorgerà senza dubbio – come diceva Petrolini – “più grande e più bella che pria”. In questa domenica di Pasqua del 2024, il Cristo la corona di spine del quale è custodita nel Tesoro di Notre-Dame risorgerà affidando un messaggio particolare al senso della Sua Resurrezione: quello della rinascita e del rinnovamento concreto di un edificio, quindi di una città, quindi della nazione francese, quindi della comunità europea che nella grande chiesa sul bordo della Senna in quei giorni si è riconosciuta commossa. La nuova flèche è già stata collocata. L’8 dicembre prossimo, nel giorno dell’Immacolata Concezione della Vergine, Notre-Dame riaprirà al culto.
Se qualcuno dubitava che esistesse una coscienza identitaria europea, un senso da dare a questa nostra patria che non riesce ancora a nascere, si è visto offrire una splendida riposta da queste antiche pietre che per lunghe ore, tra il Lunedì e il Martedì Santo di cinque anni or sono, sono sembrate in pericolo. Notre-Dame è sempre là, imponente e magnifica. E con lei Parigi. E con lei la Francia. E con lei l’Europa, con le sue radici cristiane e con i frutti nati nella Modernità che potranno essere dolci e succulenti se riusciremo a curare e a potare in modo adeguato i rami dell’albero politico che li sostiene. Con il suo cuore antico e la volontà di non cedere alle ombre e ai pericoli del futuro. Notre-Dame stava per morire e invece è restata con noi, viva Notre-Dame! L’Europa domani potrebbe morire col crollo di questo maldestro marchingegno ch’è l’Unione Europea, ma risorgere in questo tempo di cambiamenti epocali come autentica unione politica: viva l’Europa!
Franco Cardini