Foibe e lager: perché ricordare?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Angelica Lubrano

di Angelica Lubrano – 10 febbraio 2015

Oggi è il 10 febbraio “il giorno del ricordo” Perché RICORDARE?

 Il 27 gennaio abbiamo ricordato la Shoah, le leggi razziali, lo sterminio degli ebrei , dei rom, degli omosessuali e di tutti gli oppositori nei lager nazisti.  E’ la data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz per opera dei sovietici liberatori. La ricorrenza è stata adottata dal governo di centrosinistra il 20 luglio 2000 con  legge n. 211 in concerto con una deliberazione internazionale. Il governo di centrodestra il 30 marzo 2004 con la legge n. 92 istituisce il “Giorno del ricordo” il 10 febbraio al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra… Nella giornata sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado.”

Io so che questi sono argomenti delicati, che vanno a toccare sentimenti ancora dolorosi  nei testimoni sopravvissuti e nei familiari dei martiri, oltre che eccitare i nervi scoperti degli sconfitti ansiosi di strumenti di rivalsa. Ma credo sia giusto conoscere e fare chiarezza. Un giorno per la Shoah e un giorno per le foibe sembrerebbero stabilire una sorta di equiparazione definitiva….

Certo i morti, le vittime di massacri meritano tutti l’onore e il rispetto che si devono ai martiri, alle vittime innocenti di ogni manifestazione di brutalità e di ferocia umana. E questo pensiero già da solo accende in me una pena profonda  fino all’identificazione nelle sofferenze di chi subì, ma anche il disagio e la vergogna per la consapevolezza dell’enormità, oltre che per la banalità del male nell’uomo, quindi in ciascuno di noi.

Ma, dopo il rispetto, è necessaria la verità storica e capire le differenze. Che non riguardano il numero: incommensurabile la differenza fra le 15/30 mila vittime delle foibe e i 6 milioni della Shoah. Appare però difficile stabilire una comparazione fra la assoluta assurdità dell’eccidio nazista e il carattere di vendetta della questione istriana. Che nasce alla fine della 1^ guerra mondiale, quando vasti territori istriani con la penisola di Pola , con Fiume e le Isole del Carnaro ,il Carso triestino e goriziano,  l’Alto corso dell’Isonzo, la Bainsizza e le Alpi Giulie furono attribuiti all’Italia nel trattato di Parigi. In quei territori si scatena la cieca furia del ventennio fascista, col tentativo di assimilazione forzata delle popolazioni slave attraverso crimini di guerra particolarmente efferati contro la popolazione civile, con la complicità dei sanguinari ùstascia.

 Caduto il fascismo nel 1943  si scatenò la vendetta  partigiana guidata da Tito. Non si fece alcuna distinzione fra italiano e fascista. Molti italiani cominciarono a fuggire abbandonando le loro case e i parenti (da 200 a 350 mila profughi tra cui anche alcuni miei parenti)  in una diaspora che non vide però mai riconosciute le sofferenze di chi fuggì , ma anche di chi  restò e subì lo sterminio delle foibe di cui non si è ancora fatta un’indagine definitiva. Su di loro cadde il silenzio e su quelle foibe un macigno di omertà. Perché?

Perché con la nascita della guerra fredda, quando l’URSS  il 20 giugno 1949 attraverso il  Cominform scomunicò il Partito Comunista Jugoslavo,  gli Stati Uniti dopo tale evento stabilirono un cambiamento delle relazioni con Tito in funzione antisovietica e, conseguentemente, la politica di progressiva aggressione contro l’elemento italiano non fu più contestata. Il Governo democristiano si allineò al diktat statunitense per opportunismo e il partito comunista non si liberò facilmente della assimilazione profugo istriano = fascista, favorita questa dalla pretesa della destra neofascista di esclusiva protezione dei profughi per ovvie ragioni ideologiche.   Forte dell’appoggio occidentale e dell’atteggiamento supino dell’Italia, Tito nel luglio 1949 porta a termine una completa slavizzazione dei territori: dinaro, cambio della legislazione, del nome delle strade, esproprio degli edifici ecclesiastici (la caduta di Tito alla fine del secolo scorso non migliorò la condizione degli italiani rimasti, una minoranza vittima delle lotte etniche nella deflagrazione balcanica). La  guerra fredda prima e opportunismi storici poi  imposero di stendere un velo di silenzio omertoso sulla diaspora degli  italiani e sull’orrore delle foibe.

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