Il FMI ha abbandonato il neoliberismo? Beh, non esattamente

per Gabriella
Autore originale del testo: Pete Dolack
Fonte: facciamo sinistra
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di Pete Dolack  5 giugno 2016
Suonate le campane! Il Fondo Monetario Internazionale potrebbe star riconsiderano il neoliberismo? Sfortunatamente no, una volta che effettivamente si legge il breve documento “Neoliberismo: troppe lodi?” Il titolo in effetti attira certamente la nostra attenzione e nella prima pagina c’è un passaggio evidenziato: “Invece di realizzare la crescita, alcune politiche neoliberiste hanno accresciuto la disuguaglianza a loro volta mettendo a rischio un’espansione duratura”. Ah, ma improvvisamente prende piede la delusione mentre leggiamo il primo paragrafo, che si propone di considerare il Cile dell’era Pinochet come un modello “diffusamente emulato in tutto il mondo”, comprendente una citazione del padrino della Scuola di Chicago Milton Friedman che nel 1982 dichiarava il Cile un “miracolo economico”.
La storia vera non è citata, né lo è la piccola questione dell’ondata di terrorismo del dittatore militare Augusto Pinochet che uccise, incarcerò, torturò decine di migliaia di persone. Dettagli, agli occhi del FMI, supponiamo.
In realtà il tasso della povertà in Cile balzò al 40 per cento sotto Pinochet, mentre i salari reali erano scesi di un terzo e un terzo dei cileni era disoccupato durante gli ultimi anni della dittatura. I dati sulla disoccupazione non includono i molti cileni urbani che lavoravano come “badanti dell’automobile”, guadagnando piccole mance dall’agitare stracci arancione agli automobilisti che parcheggiavano e prendendo le loro monete da inserire nei parcometri, attività che il ministro della pianificazione di Pinochet, un discepolo di Friedman, dichiarò garantire “un buon tenore di vita”. Copiose sovvenzioni erano elargite alle grandi società, la spesa pubblica era tagliata e il sistema della previdenza sociale fu privatizzato. Il sistema previdenziale privatizzato era così scadente per i lavoratori cileni che c’è stato chi, andato in pensione nel 2005, ha ricevuto meno della metà di quanto avrebbe ricevuto se fosse stato assistito dal vecchio sistema governativo.
Non dimentichiamo l’umanità di quelli le cui vite furono schiacciate da Pinochet e Friedman.
Torniamo al documento del FMI, che definisce il neoliberismo in modo blando come “liberalizzazione” e “ruolo minore dello stato”. Una definizione del neoliberismo molto migliore è offerta da Henry Giroux:
“Come ideologia esso interpreta il conseguimento del profitto come l’essenza della democrazia, il consumo come l’unica forma attuabile di cittadinanza e una fede irrazionale nel mercato per risolvere tutti i problemi come un modello di strutturazione di tutte le relazioni umane”.
Gli autori del documento del FMI si spingono cautamente ad alcune tenui critiche, lamentando che “i benefici in termini di maggiore crescita sembrano piuttosto difficili da stabilire quando si guarda a un vasto gruppo di paesi” e che “i costi in termini di accresciuta disuguaglianza sono notevoli”. Inoltre, tra altri problemi, sono sollevate le possibilità di un crollo economico:
“Le politiche di austerità non solo generano considerevoli costi in termini di welfare a causa dei canali sul lato dell’offerta, ma anche danneggiano la domanda e dunque peggiorano l’occupazione e la disoccupazione … nella pratica, episodi di consolidamento di bilancio sono stati seguiti, in media, da cadute piuttosto che da espansioni della crescita. In media un consolidamento di un punto percentuale del PIL aumento il tasso di disoccupazione a lungo termine di 0,6 punti percentuali e aumenta dell’1,5 per cento nel giro di cinque anni l’indice Gini della disuguaglianza di reddito”.
Decenni di salari stagnanti, che hanno svuotato le basi manifatturiere e aumentato costantemente la disuguaglianza, accresciuta da insostenibili bolle del mercato azionario e bloccati da otto anni e passa di declino economico e di stagnazione e questo è il meglio che il FMI è in grado di fare? Il documento si chiude con questo passaggio: “I decisori della politica e istituzioni quali il FMI che li consigliano devono essere guidati non dalla fede ma dalla prova di ciò che ha funzionato.”
La fiducia nel neoliberismo e nell’austerità, o economia dell’offerta, o reaganesimo, o thatcherismo (comunque lo si voglia chiamare) è sempre stata basata sulla fede, almeno da parte di alcuni di quelli che lo promuovono. Per molti altri finanzieri e industriali il fatto è semplicemente che sapevano che cosa sarebbe successo e l’hanno plaudito fino in fondo perché ne avrebbero beneficiato profumatamente. L’economia può essere la scienza triste, ma per quanto triste sia l’economia classica, è ben più arte che scienza, come nel caso dell’arte della rapina.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2016 ZNET Italy

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