di Flavio Zanonato – 31 ottobre 2017
È iniziata, e si farà sempre più forte, la nuova “tiritera” del renzismo: “Fa perdere la sinistra chi la vuol dividere”. E sarebbe ovviamente Articolo UNO-MDP che vuole la divisione e la rottura. Si tratta di un disco rotto che ripete meccanicamente sempre lo stesso messaggio – falso – senza tentare di comprendere le ragioni della rottura che è stata voluta, decisa e cercata dall’attuale gruppo dirigente del PD.
Ricostruiamo per ragionare. Diventato con l’elezione diretta segretario, Renzi non ha rispettato la linea politica che il PD si era dato alla sua fondazione. La “rottamazione” si è via via rivelata non un rinnovamento generazionale ma la cancellazione di una tradizione e di una cultura, quella della sinistra italiana, e il recupero del disegno politico di una certa destra italiana per la quale il Parlamento è un ostacolo alle riforme, sono i sindacati e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori il problema delle imprese italiane, non c’è un‘esigenza di giustizia sociale e di equità ma solamente un problema di efficienza e di meritocrazia. E così l’articolo 18, che Berlusconi non era riuscito ad intaccare, è stato abolito nella sua sostanza da Renzi. Anche temi demagogici e populisti sono diventati argomenti renziani: “Ci sono troppi politici”, “no al finanziamento pubblico dei partiti”, “meno tasse per tutti”, attacco all’Europa su temi in cui sono gli Stati nazionali a dover rendere conto o su cui l’Italia aveva sottoscritto impegni precisi. La stessa riforma Costituzionale – che il PD si era impegnato solennemente a non cambiare a colpi di maggioranza – é stata dalle Camere modificata contro la volontà delle minoranze e grazie all’accordo con una parte (Verdini) della destra.
Quali sono stati i risultati di tutta questa novità, culminata in riforme sbagliatissime, dal Jobs Act alla Buona Scuola? Dopo lo straordinario successo elettorale del PD alle europee del 2014 – che però coesisteva con il dato negativo dell’enorme numero di astenuti (di questo non si è voluto discutere) – le elezioni sono state tutte perdenti (perse quasi tutte le città capoluogo, comprese Roma e Torino) e hanno rivelato un crescente distacco dell’elettorato di sinistra dal PD renziano. Clamoroso il dato del referendum costituzionale sia per la partecipazione che per il risultato (60% al No, con l’80% dei giovani).
Anche il tessuto organizzato del partito, già malandato, é stato abbandonato perché un partito che discute e ragiona viene considerato una palla al piede dal leader che vuole avere le mani libere e non dover rendere conto a nessuno.
Di tutto questo, e naturalmente di una situazione italiana sempre più precaria per i giovani e sempre più difficile per la parte più povera della popolazione, volevamo discutere in preparazione dell’ultimo congresso per renderlo occasione di un’approfondita analisi sulle difficoltà della sinistra e sulle soluzioni per affrontarle e superarle. La risposta infastidita e irritata è stata negativa: Renzi e i suoi principali collaboratori hanno fatto esplicitamente intendere che gradivano l’uscita della sinistra dal PD, un’uscita che era per loro un sollievo. Andate via, “ce ne faremo una ragione”.
Ed eccoci ad oggi, al Rosatellum, anche se sarebbe meglio parlare di Verdinellum. La maggioranza degli osservatori politici ritiene che solo con l’unità di tutte le forze del centro sinistra e della sinistra si può tentare di vincere, soprattutto dopo una legge elettorale (imposta con la fiducia) che premierà le forze che sanno allearsi. Apparentemente sembrerebbe essersene accorto anche Renzi che, bontà sua, dice che non mette veti alle alleanze tra PD e forze di sinistra, ma – attenzione – lo dice con una condizione che contraddice la sua prima affermazione: “Noi non cambieremo la nostra impostazione”. Manca quindi la volontà di un confronto e della ricerca di una proposta unitaria per la soluzione dei problemi del Paese. L’unico modo in cui è possibile far l’unità con il PD è quello di sottostare al suo leader che, ahimè, con i Verdini e gli Alfano ha già trovato l’intesa. E, sulla legge elettorale, è stato in perfetta sintonia pure con Berlusconi e Salvini.
A queste condizioni evidentemente non si potrà trovare nessun accordo.
Abbiamo posto il problema del recupero e della riconquista di quell’elettorato di sinistra che oggi si astiene (o si è rifugiato in una protesta fine a sé stessa). Si tratta di scelte politiche e di obiettivi concreti da indicare, non di accordi per qualche seggio che sarebbero un ulteriore motivo di rabbia e abbandono per l’elettorato popolare.