FIGLI DI TROIKA – DI BRUNO AMOROSO – ed. CASTELVECCHI
da cambiailmondo.org di Roberto Musacchio
Sono i sicari del potere: Fondo monetario internazionale, Banca Mondiale e Banca centrale europea. La nomenklatura finanziaria della globalizzazione si è consolidata nel corso degli ultimi dieci anni con il passaggio dal pensiero unico al potere unico. Secondo Bruno Amoroso sono gli «incappucciati della finanza» i responsabili del disastro economico europeo: persone a cui è stato affidato il ruolo d’infiltrarsi nelle istituzioni, di manipolare l’informazione e la ricerca, e che con il metodo della governance hanno minato le nostre società. I Signori della finanza globale reclutano adepti nei singoli Stati. Le loro strategie sono la «marginalizzazione economica» per destabilizzare le istituzioni, l’allarmismo e la tensione praticati nell’anonimato dei mercati finanziari. Hanno volti, nomi, cognomi e – come direbbe Federico Caffè – anche soprannomi. Un pamphlet duro in cui vengono svelati i metodi di reclutamento e di lavoro dei padroni della finanza, le cui carriere sono segnate dai disastri sociali ed economici che oggi ci troviamo a fronteggiare in Italia come in Europa.
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“Tuttavia questi fattori endogeni non sono di per se’ le cause maggiori della situazione attuale (quella europea ndr), ma effetti collaterali di una scelta strategica di modello sviluppo economico e sociale che risale alla fine degli anni Sessanta del Novecento.” Una scelta che, al monito sui “limiti dello sviluppo”, segnalato da più parti e dal Club di Roma in particolare (1972), ha trasformato un modello di economia e di società basato su un capitalismo espansivo e fordista – forti investimenti diretti esteri per la conquista graduale di nuovi mercati e produzione di massa per consumo di massa – in un modello di crescita intensivo e introverso. Quindi un modello di “apartheid globale” fondato sui tre centri maggiori dell’Occidente, cioè Giappone, Unione europea e Usa. Questo ha dato vita alla Triade e ha messo in moto il processo di marginalizzazione economica che ha portato alla crisi delle economie in Africa e America Latina e, all’interno dei Paesi europei, alla distruzione dei sistemi di Welfare”.
Scritto in modo asciutto e incalzante, quasi come la sceneggiatura di un film, il nuovo libro di Bruno Amoroso,“Figli di Troika” edito da Castelvecchi, apre con un preambolo, da cui e’ tratto il brano che ho riportato, che sembra uno di quegli antefatti che proprio nei film precedono, e spiegano, lo svolgersi successivo degli avvenimenti.
Avvenimenti che vanno dalla Triade alla Troika, nella realizzazione di quella strategia del capitale concepita in quel volgere di tempo, appunto la fine degli anni ’60, quando il capitalismo sembra avviato ad una crisi irreversibile. Quello di Amoroso, economista di fama internazionale rimasto fedele agli insegnamenti del suo grande maestro, Federico Caffè, e’ un argomentare duro e impietoso, che non fa sconti. Tanto meno al campo che avrebbe dovuto resistere e contrapporsi a questa nuova strategia del Capitale e che ha finito con l’essere sussunto o sconfitto.
Non c’è dubbio che i propositi della Triade si siano ampiamente realizzati. Sconfitto, in buona parte, anche quel movimento che ha provato a fondare l’idea di un’altra globalizzazione, perche’ troppo forte e’ risultata quella pensata e imposta dal Capitale. Che, dopo i moti di Seattle, si e’ subito impegnato a sussumere nella governance parti di quello stesso movimento. Cosi’ come molte Ong sono state cooptate nelle cosiddette “guerre umanitarie”.
Ma gli strali di Amoroso sono rivolti tutti a loro, gli artefici della crisi economica, come recita il sottotitolo. Così descrive gli agenti di questa strategia: “Gli “incappucciati della finanza” agiscono oggi a viso scoperto, con ruoli istituzionali e con l’autorità auto-attribuitasi dalle istituzioni della globalizzazione,reclutano tra i nostri giovani i futuri sicari della economia globale, mettono in atto le loro strategie di“marginalizzazione economica” delle economie e di “destabilizzazione politica” delle istituzioni e degli Stati”.
Il libro offre una conoscenza ravvicinata di quel Potere unico, che e’ l’evoluzione del Pensiero unico che lo ha concepito, che si e’ edificato in questi 40 anni. Un Potere unico che ha naturalmente sede negli Usa, ma che si materializza in strutture economiche-finanziarie di portata multinazionale.C’e’ un trust di Banche, Assicurazioni e Fondi, figlio di quel processo di privatizzazione e liberalizzazione della finanza, iniziato da Regan e continuato con Clinton. L’ape regina e’ la Goldman Sachs, quella con le maggiori propaggini globali, che riguardano pesantemente anche l’Italia.
Ma sarebbe un errore, spiega Amoroso, credere che tutto dipenda da una finanza autonoma e deviata. In realtà essa resta strumento di quella scelta ricordata in premessa, di “trasformare un sistema capitalistico basato sullo sfruttamento del lavoro con la produzione di massa e il consumo di massa (capitalismo fordista-keynesiano) in un sistema di apartheid fondato sui consumi high-tech per uso civile e militare, e sulla rapina dei risparmi (pubblici e privati) per finanziare la sostenibilità di questo costoso sistema di produzione e di potere. Pertanto, a mio avviso, chi pensa che basti controllare la moneta a livello nazionale o controllare la finanza speculativa, non capisce che queste sono oggi gli effetti del progetto capitalistico di “apartheid globale”, basato sulla rendita e sul controllo militare e civile delle economie, e non la causa. Un progetto che non ha bisogno dei ceti medi e dei lavoratori in Occidente, e che quindi smantella anche tutte le forme di welfare e di reddito non necessario al suo piano di dominio.“
Non e’ dunque un caso che lo sviluppo della UE assomigli ad una sorta di banana, figura che risulta dalle aree coinvolte che arrivano fino alla Padania, e che si avvalga di una sistematica spoliazione delle aree meridionali. Il libro ricostruisce come rispetto alla Grecia, a Cipro, ma anche all’ Irlanda si sia usata da parte della Troika la stessa cassetta degli attrezzi messa a punto dalla Triade e ampiamente collaudata negli anni ’80 in Africa e America Latina. Una cassetta degli attrezzi che prevede che al Paese oggetto delle attenzioni vengano sistematicamente sottratte sovranità e risorse.
Questa pratica richiede naturalmente di essere sostenuta da un apparato di consenso forte ed agguerrito. E questo apparato è stato forgiato negli anni ed ha portato ad una occupazione sistematica dei luoghi di elaborazione, come le università, da parte degli epigoni del pensiero unico e alla creazione di nuovi circoli di lobbing. E’ la storia della Trilateral e di organizzazioni come il Club Bilderberg. Amoroso ne ricorda molti dei soci che hanno acquisito ruoli fondamentali nella direzione di strutture finanziarie politiche, con quel meccanismo delle porte girevoli ben descritto anche da Gallino. Tra loro, cosi’ come tra gli uomini che hanno avuto relazioni con la Gloldman Sachs, si trovano per altro numerosi dei recenti Presidenti del Consiglio italiani.
La capacita’ di fare “egemonia” di questo potere unico porta ad una sostanziale sussunzione della politica, e alla marginalizzazione “forzata” di chi prova ad opporsi. E si estende pesantemente sul sistema mass-mediale.
Amoroso accompagna il racconto delle nomenclature del potere unico, fornendo la composizione della Troika che si occupa ad esempio di Grecia, con quello delle sue “narrazioni”. L’idea di “governance” si va sostituendo a quella di governo, relegando quest’ultima a mera gestione delle penurie laddove la ricchezza e’ appannaggio della prima. Si edifica l’economia del terrore, in cui è centrale l’elemento del debito come chiave e leva per la espropriazione sistemica di democrazia e beni.
Uno spazio importante è dedicato a Mario Draghi di cui vengono ricostruiti passaggi di ruoli e di funzioni, le molte porte girevoli, che lo vedono protagonista in momenti di grande importanza come quello della privatizzazione del sistema bancario italiano, poi dello scoppio della crisi globale e infine della sua gestione attuale.
Sono, quelle di Amoroso, 84 pagine che pesano come pietre. Come pesante come pietra appare, al confronto, il silenzio delle sinistre occidentali, europee e italiane.
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BRUNO AMOROSO È docente di Economia Internazionale e dello sviluppo presso l’università Roskilde in Danimarca, coordina programmi di ricerca e cooperazione con i Paesi dell’Asia e del Mediterraneo e presiede il Centro Studi intitolato a Federico Caffè, di cui è stato allievo e stretto collaboratore. Tra i suoi libri : Della Globalizzazione (1996), Derive e destino dell’Europa (1999), Europa e Mediterraneo, le sfide del futuro (2000) La stanza rossa, riflessioni scandinave di Federico Caffè (2004), Per il bene comune, dallo stato del benessere alla società del benessere (2009).
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INTERVISTA A BRUNO AMOROSO: QUANDO SI FERMERA’ QUESTA CRISI
Diffondiamo questa intervista pubblicata da Altrestorie a Bruno Amoroso di cui è uscito da poco il libro pubblicato da Castelvecchi: Figli di Troika. Gli artefici della crisi economica, Castelvecchi Editore, Roma 2013
L’attuale crisi è qualcosa che si poteva prevedere, oppure si è trattato di un evento i cui fattori molteplici globali lo hanno reso in qualche modo imprevedibile e conseguentemente incontrastabile? Quanto è fondata l’accusa rivolta agli economisti in genere di non aver lanciato l’allarme tempestivamente su quanto si stava preparando?
La crisi finanziaria – “la più grande ondata di crimine finanziario organizzato della storia umana”, secondo le parole di James K. Galbraith – è stata preparata nel corso di tre decenni durante i quali la Globalizzazione ha avuto il tempo di organizzarsi dispiegando tutti i suoi effetti con l’imposizione del “pensiero unico” fino al “potere unico” dell’ultimo decennio. Tra gli economisti, e non solo, è prevalsa la corsa a farsi “consiglieri del principe” sostituendo e riscrivendo i libri di testo sotto dettatura del pensiero neoliberista. Tuttavia, le analisi critiche per comprendere quanto è accaduto non sono mancate: dai contributi premonitori di James K. Galbraith (Lo Stato Predatore) a quelli di Paul Krugman e Joseph E. Stiglitz. In Italia le persone e i movimenti che potevano denunciare e interpretare queste tendenze hanno scelto la via opportunistica dell’”inserimento” e dell’”integrazione”, trasformando il piano di apartheid globale della Globalizzazione in un’opportunità per arricchirsi nel “villaggio globale”, e interpretando i fenomeni reali della “destabilizzazione politica” e “marginalizzazione economica” come “globalizzazione dal basso” e “globalizzazione del welfare”. Si è cioè pensato di poter predicare il pacifismo portando la guerra altrove, di combattere la speculazione e il crimine “tassandoli” per ricavarne parte del dividendo, di poter costruire la “città ideale” dentro le nicchie di un contesto in sfacelo.
Si sente spesso sostenere che quella che stiamo vivendo rappresenti non una delle tante crisi cicliche vissute in passato, ma una crisi “sistemica o strutturale”, che può essere superata solo adottando soluzioni estranee al contesto al cui interno è maturata. È d’accordo con questa interpretazione e se sì quali azioni si sentirebbe di proporre?
La crisi attuale è una crisi economica e sociale provocata dal successo della nuova struttura del processo di accumulazione capitalistico, che si è dato a partire dagli anni settanta con la Globalizzazione. Il cuore del processo è la finanza, cioè la trasfigurazione da un sistema basato sul profitto capitalistico a quello basato sull’esproprio dei redditi e la rapina delle ricchezze materiali e intellettuali. La crisi in corso non ha nulla di ciclico, diversamente dalle crisi economiche del capitalismo industriale, e troverà il suo punto di approdo in un potere assoluto coincidente con l’impoverimento di gran parte dei cittadini. Per questo l’uscita dagli effetti della crisi può avvenire solo con l’uscita dal capitalismo che oggi è quello della speculazione finanziaria e della rapina di Stato.
Quale ruolo hanno giocato i mercati finanziari nella costruzione dell’attuale situazione economica? In che misura sono stati causa della crisi e potrebbero contribuire a sanarla?
I mercati finanziari sono le “fabbriche” che hanno sostituito quelle del fordismo industriale, la culla della rapina e dell’esproprio. Questo percorso di “finanziarizzazione” delle economie capitalistiche inizia negli anni ottanta con la modifica della legge bancaria negli Stati Uniti (Reagan), poi negli anni novanta con l’introduzione di nuove regole per la finanza che hanno consentito la produzione dei derivati e titoli tossici (Clinton), il tutto con il consolidarsi di un potere unico finanziario-militare illustrato ampiamente da James K. Galbraith. L’Europa ha seguito per imitazione le stesse politiche con le “direttive europee”, passivamente recepite anche in Italia, che hanno introdotto la banca “universale” e la liberalizzazione dei mercati finanziari. In Italia questo percorso è stato segnato dalla biografia di Mario Draghi, che bene illustra i conflitti d’interessi e le collusioni tra mondo politico e poteri finanziari. Negli anni ottanta è direttore per l’Italia della Banca Mondiale, negli anni novanta diventa direttore generale al Tesoro e privatizza il sistema bancario, introduce il Testo Unico del 1993 sulle banche che recepisce tutte le direttive europee, comprese quelle ben note sui derivati speculativi. Poi lascia la mano per andare a dirigere la Goldman Sachs e contribuire così a mettere a punto la “grande truffa” che esplode nel 2008, di cui non era a conoscenza come responsabile della sorveglianza in quanto Governatore della Banca d’Italia. Nel mentre la “sinistra” è distratta dalla difesa dell’”autonomia” della Banca d’Italia, dalla denuncia sul conflitto d’interessi di Berlusconi contro il quale, in ogni caso, non fa nulla.
Che ruolo potrebbe rivestire l’Unione europea in questo particolare passaggio storico-economico? L’euro può offrire uno scudo contro la crisi?
L’euro doveva essere lo scudo, ma la sua gestione è stata affidata a chi ha messo in moto la crisi (inutile ripetere i nomi delle persone e organizzazioni) ed è quindi divenuto la camicia di forza che impedisce agli Stati e alla stessa UE di reagire e di difendersi. Il ruolo dell’Europa è possibile se negli Stati nazionali si manifestano forze popolari che si facciano carico di riprendere il percorso di “pace” e “cooperazione” che fu alla base dell’idea di Europa nel primo dopo- guerra, e poi fatto deragliare prima dalla “guerra fredda” e successivamente, negli anni novanta, dalla scelta di fare del progetto europeo un piano di “competitività” e di “guerra”. Una ricostruzione dell’Europa a partire dai popoli e dagli Stati deve assumere una forma confederale tra le quattro grandi meso-regioni europee (Paesi nordici, Europea centrale, Europa mediterranea, e Europa occidentale). Uscire dal guscio asfissiante del dominio dell’Europa occidentale e dell’alleanza atlantica è la premessa per queste nuove politiche.
Una delle affermazioni ricorrenti è che bisogna tagliare la spesa pubblica per creare le condizioni di base utili a contrastare e superare la crisi. Quanto è condivisibile una simile posizione? L’attuale crisi economica costringerà a sacrificare l’attuale modello di stato sociale?
La spesa pubblica non c’entra con la crisi e invece di guardare al deficit dello Stato e al debito estero si dovrebbe guardare all’occupazione e al deficit della bilancia dei pagamenti come ho spiegato nel mio libro L’Europa oltre l’euro. La spesa pubblica aumenta in situazioni di crisi in ragione degli stabilizzatori automatici che hanno il compito di evitare forti conseguenze sociali, ed è per questo che Keynes raccomandava al governo: “Occupatevi dell’occupazione e questa si prenderà cura del bilancio dello Stato”. Chi vuole gli stabilizzatori sociali – cioè il welfare – non intende risolvere la crisi ma scaricarne i costi in modo irresponsabile sui cittadini più deboli e i lavoratori, cioè sul 99% delle persone.
Cosa ha comportato e cosa comporterà per l’Europa lo spostamento del baricentro mondiale fuori dall’Occidente industrializzato?
Significa che l’Europa deve ripensarsi e ritrovare il suo spirito di pace e di cooperazione con le nuove aree mondiali emergenti, lasciandosi alle spalle i vecchi mercati ricchi dell’Occidente. Insistere sul modello della guerra e della competitività significa condannarsi al suicidio e alla marginalità sia verso l’Occidente che verso l’Oriente. La cooperazione con le nuove aree in crescita non si ottiene con la competitività ma con rapporti diretti e di cooperazione tra Stati, cioè sullo scambio reale di capacità e di beni e con la messa in comune delle risorse disponibili.
Nel dibattito pubblico spesso si attribuisce la colpa dell’attuale stato di cose, almeno in Italia, a una classe dirigente incolta, poco lungimirante e fautrice di ripetute scelte sbagliate. Condivide questa posizione e se sì come ritiene si possano conciliare fra loro due ambiti apparentemente così distanti quali istanza politica e azione tecnico-scientifica?
La classe dirigente (politica e imprenditoriale) che abbiamo è quella che è sopravvissuta alla guerra condotta contro il sistema italiano dagli anni cinquanta in poi dagli Stati Uniti, Francia e Germania, e che continua oggi. Questa guerra è stata vinta finora prima con l’eliminazione fisica dei personaggi scomodi (Mattei, Olivetti ecc.), poi con la distruzione del sistema politico italiano negli anni novanta e ancora oggi. La corruzione esistente è la causa di questi sviluppi e di come, attraverso i fiumi di denaro riversati sui politici e sulle istituzioni, se ne è ottenuto il silenzio e la collusione alla realizzazione dei piani di costruzione del consenso su un progetto italiano ed europeo squilibrato. La reazione popolare degli ultimi anni, e espressa dalle ultime elezioni, dimostra che il limite della sopportazione è stato raggiunto, ma anche il fallimento di questi piani di destabilizzazione politica e di marginalizzazione economica del paese.
Fra gli effetti della lunga crisi che stiamo vivendo vi è anche l’aumento considerevole di giovani senza lavoro, costretti a vivere in condizioni di precarietà e a fare i conti con un futuro dai contorni molto incerti. In che modo tutto ciò potrà influire sulla nostra futura società?
A chi avanzava riserve critiche sulle forme dell’integrazione europea si rispondeva che queste volevano far “sprofondare” l’Italia nel Mediterraneo. Ebbene, è proprio l’adesione acritica alle strategie della Globalizzazione e dell’UE che sta facendo sprofondare l’Italia nel “sottosviluppo”. Ma l’Italia è un paese forte e le reazioni sociali e politiche che si annunciano lo dimostrano. Il successo di queste tendenza è anche la sola speranza offerta ai nostri giovani.
Dal suo punto di vista quando ritiene si possa immaginare un’inversione di tendenza dell’attuale dinamica recessiva? E quando ciò dovesse accadere, passato il peggio, che insegnamenti potremmo e dovremmo trarne da quanto accaduto?
Questa crisi si fermerà quando i 4/5 della popolazione saranno ridotti in condizioni di povertà e marginalizzazione. Un percorso avviato ma che richiede tempo. La “ripresa” sarà una stabilizzazione e istituzionalizzazione della povertà e della dipendenza politica del paese dai centri finanziari. Che questo possa avvenire in forma “pacifica” è da dimostrare. La vera ripresa ci può essere solo se il 99% degli esclusi riprende il controllo sulla macchina del potere politico ed economico. Le forme in cui questo avverrà, se avverrà, non saranno indolori per le vecchie classi dirigenti e per questo si oppongono con tutti gli strumenti a disposizione. La forza obiettiva di questo cambiamento dipende dal fatto che l’alternativa a una vera ripresa è lo scenario dell’implosione dell’Europa sul modello iugoslavo, a noi ben noto. La preferenza per una soluzione, anche europea, negoziata e con un cambio di indirizzo dovrebbe apparire ovvia e di buon senso, oltre che più giusta. Ma raramente l’equità e la giustizia prevalgono sugli interessi costituiti.