Fonte: In Terris - la voce degli ultimi
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Gaza, stop alla guerra: un aiuto dal Diritto internazionale
Oltre 400 studiosi lanciano un appello e una petizione per fermare le violenze. Non solo per moralità ma per rispetto di precisi obblighi
Fermatevi! Un uso del verbo all’imperativo che, tuttavia, deve sgomitare nel mare magnum di parole per ergersi a qualcosa di più di un semplice grido disperato. Eppure, c’è chi spera nella sua efficacia a tal punto da utilizzarlo come nome (con punto esclamativo annesso). Quello di un’associazione per l’esattezza, che rema nella direzione della distensione e del disarmo. Non solo per codice morale ma nell’ottemperanza degli obblighi previsti dal Diritto internazionale. Per questo, alla lettera aperta indirizzata al governo, hanno aderito centinaia di studiosi, giornalisti e artisti italiani. L’obiettivo, quindi, è quello del richiamo. Sia alle responsabilità dei singoli Paesi quali “mediatori per natura” sulla base di specifiche convenzioni, sia alle coscienze dei popoli, affinché le violenze a Gaza e in Cisgiordania siano fermate. “Sono norme stabilite dopo l’orrore della Seconda guerra mondiale – ha spiegato a Interris.it Nino Daniele, segretario di Fermatevi! -. Eppure sembra che se ne stia perdendo memoria”.
Dottor Daniele, come nasce la decisione di lanciare un appello in questi termini?
“Non lo chiamerei ‘appello’. Preferiamo parlare di un richiamo. L’estensore, chi ha preparato la bozza di questo testo è il professor Pasquale De Sena, presidente della Società italiana di diritto internazionale ed europeo. Le 400 firme iniziali comprendono numerosi e autorevoli giuristi, alcuni titolari di importanti cattedre di Diritto internazionale. Parlerei d richiamo perché pensiamo che il governo si debba attenere alle norme stabilite dal Diritto internazionale nel rapporto con Paesi belligeranti. E questo per adempiere al dettato dell’articolo 10 della Costituzione, nel quale si precisa che l’Italia recepisce e rispetta le norme del Diritto internazionale, in particolare quelle che derivano dall’Onu e dalla Corte di giustizia internazionale”.
Quindi cosa manca in questo momento?
“L’Italia non sta agendo in coerenza con i propri obblighi giuridici. Questo comporta delle responsabilità dal punto di vista del Diritto internazionale. Nel caso specifico, sono state emesse delle direttive relative all’adempimento di ordinanze vere e proprie e tutti i governi son tenuti al rispetto di questi obblighi. Chiediamo che il governo si metta in regola, anche perché si potrebbero intraprendere delle iniziative importanti su questo piano. Il nostro obiettivo sarebbe che i gruppi di opposizioni, a loro volta, traducessero degli atti parlamentari per sollecitare il governo alla coerenza. In sostanza, una sorta di stimolo affinché il Parlamento si appropri di questa materia e dia corso a delle iniziative”.
Eppure il momento storico non sembra favorevole: a fronte dell’intensificazione dei conflitti, anche in Ucraina, la diplomazia appare sempre più debole…
“Ci vuole una grande mobilitazione dell’opinione pubblica. È vero, in Ucraina preoccupa l’escalation ma le uniche parole che sentiamo sono ‘armi’ e ‘guerra’. Nessuno dice realmente che occorre arrestare questa fase. Se prima era appropriata la definizione di ‘sonnambuli’, in relazione alla Seconda guerra mondiale, ora non saprei dare una definizione a noi stessi come cittadini di questo mondo… La sola eccezione è la voce quasi unica di Papa Francesco. Queste dinamiche sappiamo come sono, sfuggono a ogni controllo. E quando pensi di poterle controllare non sei più in grado di farlo”.
La vostra iniziativa sembra partita col piede giusto: già più di 2 mila le firme raccolte. I prossimi passi?
“Vorremmo aumentare la raccolta di firme e, magari, mettere a disposizione l’iniziativa per i consigli comunali che vogliano presentare mozioni ad hoc che vadano in questa direzione. Ma anche andare nelle piazze per dimostrare che non è vero che la gente è distratta, anche se, purtroppo, sembra che stia subentrando un po’ di sfiducia. Nonostante questo, non ci vogliamo rassegnare”.
Le norme del Diritto internazionale disciplinano praticamente tutti i grandi temi, dai conflitti alla gestione dei flussi migratori. Sembra però esserci poca informazione in merito…
“Pensiamo che la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo è venuta dopo l’abisso della Seconda guerra mondiale, della prima sperimentazione delle armi atomiche sulla vita umana, della Shoah. Nasce da lì. Fu Elanor Roosevelt a presiedere la riunione che l’approvò, nel 1948. Eppure, è come se ne stessimo perdendo memoria. Forse le persone non lo sanno perché non si studia più la storia. O forse perché anche i media non fanno più il lavoro necessario, non solo di informazione ma anche di formazione. Queste conquiste universali sono radicalmente messe in discussione. È inimmaginabile che l’Europa sia percorsa di nuovo da razzismo, bellicismo e nazionalismi. Questi primi decenni del nuovo millennio somigliano tantissimo ai primi del Novecento”.
Colpa di come abbiamo gestito l’evoluzione dell’informazione di massa?
“I nuovi media sono un’arma a doppio taglio. Sembrava fossero strumento di maggior partecipazione e coinvolgimento ma hanno sostanzialmente portato a una crisi di tutte le autorità. Una condizione nichilistica in cui tutto è considerato possibile e nulla più e vero. Ma non tutto è compromesso: vedo che la maggior parte delle persone sono per il cessate il fuoco, per la cessazione dei bombardamenti, per la pace. C’è una coscienza che manifesta il proprio disgusto. Mancano però forze politiche con coerenza e coraggio”.
Il riscontro dal mondo cattolico?
“A Napoli l’iniziativa è stata ben accolta. Anzi, molti degli aderenti lavorano a stretto contatto con la rete dell’associazionismo cattolico”.