di Fausto Anderlini – 17 novembre 2017
Fa pena Fassino, che è stato l’ultimo Segretario del partito più grande della sinistra italiana. Ora disposto a tutto, dopo la legnata torinese, pur di mostrarsi utile a qualcosa e in primis a sè stesso. E’ così che ce lo ritroviamo nei panni del converso che ben conosce i sodali di antica convinzione, il nativo che parla la lingua dei comanche ed è mandato a parlamentare dall’uomo bianco, lo sherpa che porta la soma della mediazione, mentre i gurka restano dietro la collina in attesa di tirar fuori i randelli e fare strage. C’è qualcosa di grottesco e di tribale in questa disposizione manovriera che vorrebbe restituire, come si diceva un tempo, l’idea di una ‘offensiva unitaria’. E che invece sancisce una povertà umana nel mentre puzza di patacca e di tradimento di ogni buona fede.
Da che mondo è mondo la mediazione politica autentica è compito del leader, cosa che ne misura la cifra egemonica. Mentre qui si ha a che fare con un ‘capo’ che fino all’ultimo ha bruciato tutti i ponti, persino quelle passerelle (come il voto disgiunto) che avrebbero potuto favorire, in mancanza d’altro, accordi di mera desistenza. E che ora si ritira furbescamente dietro le quinte, ben sapendo che alla fine del rito pseudo-unitario affidato al suo emissario ciò che si aspetta è di avere non altro che una facciata di pianetini a contorno del suo delirio. Come fosse il Re Sole. Pronto a ingaggiare la pugna elettorale confidando nella taumaturgia del suo pseudo-carisma simil macroniano.