di Fausto Anderlini
Fausto
“Donne pazze vogliono regalargli sacchetti pieni di gianduiotti. Volano qua e là come fagiani involti di carta oleata che dovrebbero proteggere dei mazzi di fiori. Sconosciuti baciano, abbracciano, palpano, schiacciano, stritolano il loro Fausto. Non è un trionfo è un’orgia”.
Orio Vergani sul Corriere commentando il trionfo tributato a Fausto Coppi dopo la seconda vittoria, nel 1952, al tour de France
Perché la gente, specie i comunisti, amavano Fausto Coppi ? Perché veniva dal popolo (ma questo valeva per tutti i ‘corridori’) e perché la sua classe, la sua grazia, la sua potenza era fatica redenta, transustanziata come gesto (e questo valeva per lui). Lavoro emancipato come estetica pura. Ma anche perché Coppi significava il carisma dell’eroe restituito alla libera devozione delle masse, laddove nel fascismo i campioni erano articolazioni eponime imbustate nella propaganda dello Stato e nell’ideologia. Funzioni della razza e della nazione. L’uomo solo al comando era così l’incarnazione non più della gerarchia e della sottomissione al più forte, ma della libertà. Fu il primo del genere. Fausto non calava dall’alto come deus ex machina, ma saliva dal basso dell’immaginario collettivo. Bottom up. E lo innalzava sui pedali.
Io nacqui nel ’49, nell’anno in cui Coppi realizzò la prima mitica doppietta, Giro e Tour. Per questo mio padre, che aveva grandi progetti, mi chiamò Fausto…