Faust e le due anime inconciliabili del Pd che non si separano

per mafalda conti
Autore originale del testo: Fausto Anderlini
La sovrintendenza
Siamo sempre lì, e non credo affatto che il fine settimana tagli il nodo gordiano. Il ‘campo largo’ è un insieme poco amalgamato di nuclei, torsoli, frammenti, componenti le più varie destinato a restare tale. Che assai difficilmente, a meno di un miracolo, di una rivoluzione o di una vera catastrofe, un definitivo big bang, ritroverà una sintesi di tipo classico. Cioè una forma partito unitaria nella quale la sinistra si accasi e trovi alfine la sua ‘forma’.
Per quanto l’elettorato persista nel suo attaccamento (chiuso in sè come una chiesa immaginaria) nel Pd albergano due anime inconciliabili ma che, faustianamente, non è ben chiaro se vogliano/possano separarsi. La storia nostra, di art. 1, ma anche quella più recente di Italia Viva, dimostrano che extra ecclesiam nulla salus. Perchè il conclave degli elettori è restio a scindersi, uscendo da sè come ‘centro-sinistra’, ovvero chiesa autodenominatasi. L’elettorato ha cioè riassunto in sè quella funzione unitaria che il partito non è capace di svolgere. Infatti le correnti si rincrudiscono e agiscono nei fatti come partiti nel partito. In un perenne conflitto che non trova mai il redde rationem. Zingaretti si è ritirato come un Celestino quinto o un Ratzinger minore non avendo il fisico per reggere lo scontro nè la volonta di sciogliere il nodo. E Letta rappresenta in sè la ratificazione dello stallo.
Ma anche i 5 S persistono in una situazione in qualche misura analoga. Il partito-movimento è collassato e il progetto di rinascita contiano ha molti punti in sospeso. Cionondimeno c’è un elettorato fra il 15 e il 20 % che sta in sè anche in assenza di una rappresentanza coerente.
Il ‘campo largo’ è perciò, fuor di retorica, uno spazio politico-elettorale relativamente omogeneo e largamente compatibile, ma interpretato da forze spurie e da una classe politica e di rappresentanza frammentata. Cosa che rende complicata la costruzione di alleanze organiche pianificate ex ante, ma che nondimeno sta in piedi. Come che, paradossalmente, la sua stessa irresolutezza fosse il collante che stabilizza il ‘campo largo’. Impedendone la deflagrazione. E d’altro canto, pensandoci, avrebbe potuto configurarsi diversamente il passaggio dal modello ‘maggioritario’ a una logica coalizionale ? Ovvero a una costituente di forze sociali e politiche nelle quali non c’è un pivot egemonico
e dunque vige una frammentaria simmetricità. Tagliare i nodi che attengono all’assunzione di una forma coerente non necessariamente aprirebbe le porte a una virtuosa costituente. Potrebbe anche aprire sul baratro di una dissociazione generale. E se devo pensare a una ‘forma’ quella che più naturalmente mi viene a mente è quella confederativa. Che certo pecca dal lato della decisionalità e della sintesi ma ha il pregio di garantire la massima estensione al coacervo del ‘campo largo’.
E noi ? Articolo Uno è un cristallo d’intelligenza e sentimento, cioè di cultra politica, residuato dalla diaspora post-comunista. Come mi sono altre volte espresso traendo spunto dalla mia inclinazione al paradosso, una piccola retroguardia di massa. Fallito il tentativo di dar vita in via artificiale al ‘camelloporco’ (mostrosità benigna al centro della stagione di Leu) il capitale che portiamo in dote è un capitale-cultura. Certo diffuso anche altrove, ma la cui codificazione e il cui copyright sono preservati solo in Mdp-Art. 1. La piccola casa del lievito madre. Come si è espressa con fulminante intuizione Marcella Mauthe noi siamo una sorta di ‘sovrintendenza dei beni culturali’, più precisamente l’ente nel quale è custodita la cultura politica di matrice togliattiana. L’unica, in una realtà de-culturata come l’attuale, capace di una lettura di lungo periodo della storia nazionale e del suo destino. Cazzo ! Se ci si pensa un valore enorme. Il fulcro del ‘campo largo’. Il tassello che solo lo può tenere insieme. E in effetti dove Art.1 ha dato il meglio di sè rivelando la sua ‘utilità’ è nella tessitura dei rapporti unitari di alleanza. Potendo la sua foggia elettorale adattarsi mimeticamente secondo le circostanze.
In questo contesto, fosse per me, cioè potessi dire la mia all’assemblea nazionale di Venerdì, mi esprimerei così. Inutile, se non dannoso, tagliare il nodo gordiano optando per una delle tre scelte in campo: aderire alla corrente di sinistra del Pd, flirtare col partito di Conte in divenire (essendo del tutto plausibile la sua collocazione nel centro-sinistra, magari con una duttilità di manovra assai più agile di quella del Pd), oppure dar vita a un piccolo partito ideologico di quadri. In attesa che il Pd avvii quell’autoriflessione che non farà mai, pena la sua dissoluzione, assai meglio restare dove siamo e come siamo, semmai curando meglio il lato che riguarda l’acquisizione di risorse, l’allestimento di sedi e la panoplia delle forme di presenza. E del resto ogni sovrintendenza ha la sua struttura. Si può fare organizzazione anche restando un partito-associazione necessariamente lasco. La missione ? Tenere vivo il lievito madre in un processo costituente della sinistra destinato a non risolversi, almeno a stretto giro d’orizzonte. Un dover essere kantiano, com’era il socialismo di Bernstein e Turati, ma in fondo anche di Gramsci e Togliatti. Lavorare freneticamente e con la massima determinazione all’alleanza, ma da fermi. Restare sulla soglia, in sintesi, perchè la chiesa siamo noi, e se non la chiesa almeno il tabernacolo o la pisside. E guai a dividerci.
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1 commento

Noi, i Sovrintendenti: resistere nello stato luttuoso della politica 16 Giugno 2021 - 13:04

[…] a noi, adesso. A chi scrive, a quella che Fausto Anderlini chiama la Sovrintendenza, allo zoccolo duro del famoso zoccolo duro, a coloro che concedono alla politica il privilegio di […]

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