Autore originale del testo: Grazia Nardi
Studiè? Da fè cò? E pó l’ariva un pataca che ut la pòrta via!
Farla studiare, per cosa? Poi arriva uno qualunque che se la sposa e te la porta via. Ecco, questa era un’espressione che ho sentito dire al babbo, quando, terminate le scuole medie, ci fu da prendere la decisione sulla continuazione degli studi ovvero intraprendere l’avviamento professionale o un percorso scolastico che aprisse al diploma.
E la sintesi di quel pensiero stava nell’espressione sopra riportata, far studiare una donna era un investimento a perdere, un modo per gettar via inutilmente soldi, dato che poi un “pataca” se la sarebbe portata via. Ammesso che le condizioni economiche della famiglia lo consentissero, era il figlio maschio quello destinato a proseguire gli studi, era lui che doveva trovare un’occupazione adeguata per poter svolgere il ruolo di capo famiglia, la donna “brava” era quella abile nei lavori domestici, sparagnina (risparmiatrice) nelle spese, buona mamma e, perché no?, che sapesse dar di punto, ricamare… Dunque a che serviva studiare?
Ricordo una sentenza non meno dura che il babbo pronunciò quando, a diciotto anni, stanca di fermare le smagliature delle calze con lo smalto, mi trovai un lavoro, anche quello visto di malocchio da Tiglio perché le donne che lavoravano avevano contatti troppo promiscui, eppoi andavano dalla parrucchiera, si mettevano lo smalto alle unghie, magari fumavano pure e, comunque, non si appassionavano ai lavori di casa e allora il commento del babbo fu: “T’po’ ndè lavurè fintènt cl’è viva la tu ma” (Puoi lavorare finché è viva tua mamma) ovvero una serva in casa ci doveva essere.
Naturalmente sto parlando di esperienze vissute nella mia famiglia e che, pertanto, non possono essere generalizzate, ma è altrettanto vero che la divisione dei ruoli era netta e l’idea delle pari opportunità e, prima ancora, della pari dignità, non si erano ancora comunemente affermate, non solo nella realtà ma neppure nell’immaginario. Oggi è diverso, è vero, ma non per grazia ricevuta. Ci sono volute testimonianze, sacrifici, battaglie e di strada ce n’è ancora molta se a parità di mansioni le donne sono pagate meno degli uomini, se la mancanza di servizi le obbliga ancora a rinunciare al lavoro (quando c’è) e, quindi, alla propria indipendenza economica e se, soprattutto, la cultura prevalente le considera oggetti di proprietà esponendole alla violenza anche a quella che non si ferma davanti alla barriera del corpo. E allora quello cui non dobbiamo mai rinunciare, in ogni momento della nostra vita, è il rispetto. Senza sconto alcuno.
(di Grazia Nardi da “Bonviaz” – Panozzo Ed.).
Foto da “Paura non abbiamo”, non riportata nel libro.