Ecco la terza parte delle considerazioni di Salvatore Biasco sull’euro e sulle conseguenze per l’Italia nell’eventualità di un ritorno alla lira. Nuovatlantide ha pubblicato gli intereventi precedenti che si possono leggere qui:
Che cosa succederebbe se tornassimo alla lira?
La rovina del ritorno alla lira
di Salvatore Biasco – 9 giugno 2018
Nuovo prologo. Prenderò molto sul serio le misure che i vari piani B prevedono in caso di uscita dall’euro. Dopo tutto sono tra le misure che dovremmo varare nel caso in cui un caos internazionale (chi lo sa?) porti alla dissoluzione dell’euro indipendentemente dalla nostra volontà. Si tratta di instaurare una vera e propria economia di guerra con sorta di militarizzazione dei rapporti economici, che per la sua drasticità non può non terrorizzare gli operatori e che certamente non può non accompagnarsi a un alleggerimento del debito pubblico (default). Non so se quelle misure possano funzionare (vedremo), ma il mistero è perché dovremmo autoinfliggercele con una uscita discrezionale. Il contesto che si crea, oltretutto comporta un clima autoritario e di smarrimento che non è certo favorevole alla sinistra. Sgombrato il terreno da opzioni autolesioniste che non abbiamo, rimane invece da intraprendere una decisa battaglia politica per cambiare l’architettura istituzionale dell’Unione, introdurre principi non liberisti e, perché no? rivedere i Trattati. Fine del prologo.
Immediatamente occorre è chiudere il mercato dei cambi, proibire i viaggi all’estero e poi passare a un sistema autorizzativo, controlli severissimi alle dogane e agli aeroporti, controlli severissimi delle divisioni estere delle banche e di tutti gli intermediari finanziari, conversione obbligatoria della valuta estera ricevuta dagli esportatori. Ovviamente questo comporta l’impossibilità per i residenti esteri, se presi di sorpresa, di ritornare nella propria valuta. Quanto può durare senza suscitare rappresaglie dai paesi di origine? In questi casi i movimenti in uscita hanno luogo ugualmente attraverso sopra e sottofatturazioni e operazioni esterovestite o illegali, ma non sono dell’entità che avrebbero a mercati aperti.
La Banca centrale diviene sottoposta al Governo (non è più indipendente) e ha il compito di calmierare i mercati obbligazionari interni e finanziare in moneta, se necessario, il debito dello Stato. Vedremo perché non ce la farebbe senza default. E’ allora praticamente necessario un default nella forma di richiesta di moratoria su tutti i debiti pubblici e allungamento della scadenza in modo da non dover ricorrere subito al mercato. Le perdite private non riguardano solo li minor valore complessivo dei nuovi titoli ma anche i tassi previsti su di essi se inferiori a quelli attesi di inflazione; per cui neppure questi titoli si scambieranno a 100. In ogni caso, passerà tempo tra la richiesta di moratoria e l’effettivo accordo con i creditori, durante il quale l’incertezza sui tempi di emissione dei nuovi titoli ne deprimerà ulteriormente il valore. E non è poi detto che il mercato non si aspetti che a un default ne possa succedere un altro (se l’abbattimento del debito non basta).
Se, invece, si resistesse al default, l’eventualità è comunque nelle aspettative, con la conseguenza di ridurre il corso dei vecchi titoli a valori irrisori (vedi il post 1). Qui interviene la banca centrale (ormai nazionale) a sostenere il corso sul mercato secondario. Facile a dirsi, ma i privati se ne sbarazzerebbero rapidamente, una volta che venisse offerta loro l’occasione di uscire quasi indenni o con poche perdite. In tali condizioni, solo un pazzo comprerebbe un BTP decennale al 2,5 o anche 3,5%. Chi lo possiede lo rifilerebbe subito alla banca centrale che in pratica si troverebbe a monetizzare l’intero debito pubblico (terzo mercato obbligazionario del mondo); il che è irrealistico. Ben presto deve desistere.
La nuova liquidità che affluisce alle banche va sterilizzata al 100% imponendo una riserva di liquidità. Va imposto anche un vincolo di portafoglio in modo che le banche non smobilizzino i titoli pubblici al loro attivo (e non intasino il mercato secondario dei titoli). Anche i principi contabili internazionale vanno sospesi per impedire che esse li contabilizzino in perdita. In pratica si impone loro perdite diluite nel tempo. Regge? Chi è ingannato dai bilanci delle banche? Cosa potrebbe impedire una corsa al ritiro dei depositi?.
Ma quando il default si realizza le perdite sono immediate, non più differire, (e come detto, molte vanno nazionalizzate). Lascio immaginare il disorientamento che avviene nell’uno e nell’altro caso. Si potrebbe aggiungere molto, ma tralascio.
Lo Stato in queste condizioni dovrebbe gestire un deficit per le partite reali intorno al 6-7% per sostenere l’economia. Nel caso di resistenza al default è meglio non parlarne. Deve fare acrobazie per non indebitarsi a valori di mercato che lo metterebbero in ginocchio. Può puntare su una consistente inflazione deliberatamente provocata (oltre ciò che è spontaneo), ma con scarsa lungimiranza. Può chiedere un prestito forzoso ai cittadini (ma a quali condizioni?). Può monetizzare il debito attraverso la banca centrale, ma questo può funzionare se è già avvenuto un default, non se la banca centrale sta già monetizzando il debito sul mercato secondario. Può ricorrere a una patrimoniale straordinaria (ma questa è recessiva in sé, e lo è maggiormente in periodi di caduta dei valori patrimoniali. I
ll post default è più gestibile (si fa per dire perché poi occorre gestire le conseguenze parossistiche dell’evento): c’è meno debito e il pagamento degli interessi è sospeso (2% del pil). Il debito nuovo viene collocato presumibilmente sulla banca centrale. Il rischio è che lo stock scali rapidamente alla situazione pre-default, per giunta in coincidenza con la scadenza del periodo di moratoria sugli interessi e sui rimborsi. Vanno conteggiati poi tutti aggravi del debito che non ha potuto essere ridenominato in valuta nazionale. La situazione può sfuggire di mano, Vi è a carico delle finanze pubbliche la ricapitalizzazione delle banche, le spese per l’assicurazione dei depositi e le perdite da ripianare della Banca d’Italia. La situazione di partenza è già quella di una caduta sensibile delle entrate fiscali. Temo che anche in questa scala quel deficit (se attuabile) servirebbe ad attenuare una grave recessione interna (e l’impatto di quella inevitabile su scala mondiale di cui al post 2) non a provocare espansione. Ma può essere solo temporaneo. Altro che libertà di politica economica.
Ovunque la si guardi la situazione sarebbe da incubo. Chi propone di andarcela a cercare è stupefacente o sprovveduto. È ovvio che nell’arco di un decennio si normalizza e il paese ricomincerebbe a vivere e a riprendersi (difficile dire in quale cornice politica), anche in virtù della gestione del cambio. Più povero, sconvolto, socialmente provato, impoverito patrimonialmente e redditualmente, con molti suicidi e un incremento incredibile della criminalità, il paese riprenderebbe un qualche cammino di crescita (situazione mondiale permettendo).