di Storia Controstoria 5 settembre 2018
Le Veneri del Paleolitico sono famose in tutto il mondo per l’impressionante antichità degli artefatti, la scarna semplicità delle linee scultoree, l’abbondanza delle loro forme e quell’aura di sacralità ancestrale che le circonda. La loro bellezza è distante anni luce dall’ideale femminile che oggi domina qualsiasi ambito della nostra società. In politica come nello show business e nella vita quotidiana, la donna di oggi deve essere magra, scattante, flessibile. Il resto è lasciato ai ritocchi di chirurgia estetica.
Le Veneri del Paleolitico sono il contrario di tutto ciò. Le straripanti donnine esibiscono la loro cellulite con fierezza e talvolta la glorificano, decorando con tatuaggi il ventre rotondo. Evidenziano i seni pesanti adornandoli con collane o altri raffinati accessori. Erano le signore di un universo popolato da cacciatori-raccoglitori. Non conoscevano ancora i limiti dei villaggi agricoli. Il loro spazio era la natura nella sua interezza con le tundre infinite, le montagne impervie coperte da vasti ghiacciai, i fiumi gelidi, i ruscelli irrequieti, le caverne naturali scavate nel cuore della terra. E poi gli animali preistorici: mammut dalle zanne gigantesche, rinoceronti primordiali, ippopotami, cervi, bisonti e leoni delle caverne, orsi dalla statura imponente.
Un mondo ormai scomparso da decine di migliaia di anni, per noi difficile da immaginare. Un mondo senza palazzi e senza re. Solo capanne, grotte, anfratti, rifugi a contatto con madre terra. E proprio questo era lei, la donnina del Paleolitico: Madre Terra. Forse la prima divinità in assoluto che l’essere umano abbia mai concepito, quella più reale e vicina a lui. Non un dio minaccioso che scendeva dal cielo fra tuoni e fulmini in una carrozza di fuoco pronto a incenerire chi non ubbidisse ai suoi ordini. L’adorazione di una tale divinità imperiosa non è naturale, si tratta di un prodotto sviluppatosi molto più tardi in seno a delle culture guerriere.
Madre Terra rappresentava la natura in tutti i suoi aspetti, senza bisogno di artifici tecnici, senza trombe e fanfare. La realtà quotidiana. E non soltanto il tuono del temporale o il vento implacabile della tempesta, ma anche colei che abbracciava l’essere umano ogni giorno regalandogli il calore dei raggi di sole, l’acqua dei fiumi, la selvaggina, le piante, i figli. Colei che lo cullava ogni notte, illuminando l’oscurità più profonda con una cupola di stelle e la bellezza eterna della luna.
Doveva pur essere una donna, quella divinità evidente. Perché solo nel ventre della donna prendeva forma il miracolo della vita. Era la custode della stirpe futura e la raccoglitrice instancabile di piante, noci e radici. Perché quella che in qualche modo conosceva tutti i segreti più nascosti, dalla nascita di un essere umano alla crescita di un germoglio, era la donna.