Essere populisti, magari di sinistra, è questo il ‘nuovo’?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 6 settembre 2018

Quando dico (spesso) che bisogna rompere con l’andazzo di questi ultimi trent’anni, e dunque con i maggioritari, i leaderismi, le semplificazioni istituzionali, i partiti liquidi, i loft, la ricerca di Capi, Popoli, cortocircuiti, scorciatoie, riforme costituzionali che sfrondano le mediazioni, quando dico tutto questo non lo faccio per ‘tornare indietro’. Indietro a cosa, poi? Al dopoguerra? Io lo dico per andare avanti, per uscire dalle secche in cui siamo capitati, e dove tutta la sinistra continua a ristagnare, patrioti compresi. Andare avanti significa combattere questo andazzo, proporne un superamento. La storia è fatta di superamenti, nessun ente è eterno, nessuna fase è l’ultima, nessuna storia finisce. Cosa dico? Ricostruiamo lo Stato democratico, quello dove conta la rappresentanza, contano i partiti, le mediazioni istituzionali, la partecipazione organizzata, il Parlamento. Non si può? E perché? Lavorare alla costruzione o alla difesa di uno Stato democratico è impossibile, è reazionario? Lo status quo è naturale? Ma questa è ideologia, pessima ideologia – è un pensiero semplicemente frutto della nostra subalternità culturale, del nostro codismo, della sconfitta egemonica subita all’inizio di questa fase tremenda che oggi ci sembra naturale, invalicabile, tale da spingerci a giocare inevitabilmente sul tavolo altrui, apparentemente l’unico, ovviamente alle loro regole.

Leggo i peana a favore della dirigente della Linke che invita a essere populisti sì, ma di sinistra! Dov’è la novità di grazia? Siamo populisti di sinistra da trent’anni, da quando siamo partiti alla ricerca del Capo e di un Leader come una destra qualsiasi. Da quando quel Capo, quel Leader è andato alla ricerca di un Popolo purchessia, come un qualsiasi uomo di destra o neoliberale. Da quando vogliamo disintermediare, semplificare, abbattere le burocrazie, lo Stato, le tutele, gli iter, i controlli, perché sennò il capitale come fa a fare profitti, a produrre ricchezza nazionale, a consentirci un futuro ‘socialismo nazionale’? Come fa? Siamo populisti di sinistra da quando i populisti di destra hanno vinto e ci hanno impresso indosso un marchio. Il marchio della sinistra moderna, liberale, che sfronda le burocrazie ed è flessibile sulle tutele, purché sia nell’interesse della nazione e del popolo consumatore. Perbacco. Il governo deve fare quel che dice il popolo. Ma che dice il popolo? A sentirlo, dice che vuole avere un mercato che funziona, vuole avere beni in abbondanza, vuole consumare senza posa. Sono trent’anni che i governi fanno quel che vuole il popolo, cos’altro devono fare di più?

Io penso che la sinistra rinasce quando smette di giocare nel campo avversario come una pedina qualsiasi e sceglie invece un altro campo, alternativo e più consono alle proprie caratteristiche e obiettivi. Un campo per adesso virtuale, piccolo e di difficile definizione, ma poi sempre più grande. Il campo è la democrazia, lo Stato democratico, quello dove la tecnica cede il passo alla partecipazione e alle scelte, dove il Parlamento è l’unità effettiva della nazione, non l’esecutivo o il ‘Capo’/Leader di turno, dove i corpi intermedi apportano il loro contributo, non vengono annichiliti, e le politiche si fanno in un coro generale di partecipazione organizzata, con la rappresentanza che sostituisce le grida mediatiche. Solo in una rinnovata struttura democratica, coi partiti a indicare la direzione in cui andare e un senso della collettività più alto, è possibile che si ribalti la carta, che l’egemonia cambi di segno, che la cultura della solidarietà e del bene comune prenda il posto del marcato individualismo proprietario che ci soffoca e marca le diseguaglianze crescenti. Bisogna cambiare forma di vita per introdurre nuovi usi e nuove pratiche, c’è poco da fare. Nella forma di vita attuale, che non è nostra, che non appartiene alla nostra cultura, abbiamo perso prima ancora di giocare, perché le regole sono altre, l’uso che si fa dei concetti è radicalmente opposto a quello che dovremmo farne noi per produrre uguaglianza, equità, rispetto reciproco e un nuovo senso del vivere. Qual è la rivoluzione? Questa.

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