Era meglio la legge Scelba. Perché non va bene l’Italicum

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Walter Tocci
Fonte: facebook

di Walter Tocci – 12 dicembre 2014

L’Italicum è invecchiato prima di nascere. Si procede ad approvarlo per inerzia, con la solita sicumera dell’uomo solo, ma fuori dalla realtà del Paese. È evidente la frattura tra politica e cittadini, l’astensionismo ormai travolgente, la sfiducia verso la gestione della cosa pubblica. Tutto è cominciato quasi dieci anni fa con il Porcellum che ha rotto il rapporto tra eletti ed elettori aprendo la via alla delegittimazione della Casta. Ora siamo in grado di ricomporre quel rapporto oppure rischiamo di aggravarlo? Questa domanda dovrebbe orientarci nella valutazione delle norme elettorali. L’avvento del partito democratico alla guida del Paese faceva ben sperare nella restituzione dello scettro agli elettori e invece tutti i provvedimenti sono andati in senso opposto. La legge Del Rio assegna al ceto politico l’elezione dei consiglieri della Provincia e della Città Metropolitana; a Roma il più votato è uno degli indagati nell’inchiesta della Procura. Lo stesso metodo di elezione di secondo grado sarà applicato nella nomina dei senatori, secondo le previsioni della legge Boschi. E per quando riguarda la gran parte dei deputati l’Italicum conferma il potere di nomina da parte dei capi-partito. Nella nuova versione si vuole mitigare l’effetto Porcellum aggiungendo una quota di eletti con le preferenze che riguarderebbe però solo i primi due partiti, con aspetti di disparità di scelta tra gli elettori che non sfuggiranno alla Corte costituzionale. Oggi si cantano le lodi delle preferenze dopo averle denunciate ai tempi di Tangentopoli come l’origine di tutti i mali. Tutti i fenomeni corruttivi, da ultimo e più gravemente il caso romano, sono caratterizzati dalla furiosa lotta di preferenze tra correnti di partito. È surreale reintrodurle proprio adesso nella legge elettorale nazionale. Il secondo Italicum quindi mette insieme i due meccanismi più screditati: le preferenze e i nominati. Di conseguenza il rapporto tra eletti ed elettori non solo non migliora ma può solo peggiorare. Inoltre, si indebolisce ulteriormente il Parlamento rispetto al Governo perché ottengono una diversa legittimazione elettorale: molto forte per il capo dell’esecutivo scelto direttamente dal popolo nel secondo turno e molto debole per i parlamentari ancora in gran parte nominati. Si accentua in questo modo la sudditanza del potere legislativo rispetto a quello esecutivo, già messa in pratica con l’abuso della decretazione d’urgenza e proiettata in futuro con la revisione costituzionale. Non viene neppure preso in considerazione invece lo strumento che ha sempre ben figurato nell’esperienza italiana, quel collegio uninominale che realizza un rapporto diretto tra cittadini e parlamentari. Fui eletto con il Mattarellum nel collegio di Monteverde a Roma e presi l’abitudine di fare una passeggiata nel quartiere una volta a settimana. Ricevevo dagli elettori tante segnalazioni, proposte e critiche che mi davano il polso della situazione e mi erano molto utili nel dibattito parlamentare. Allo stesso tempo si era sparsa la voce nel quartiere che passava il deputato e ci si poteva parlare semplicemente. Quasi tutti i parlamentari, seppure in forme diverse, mantenevano allora quel legame che poi fu reciso dal Porcellum.

Oggi si accetta sul collegio il veto di Berlusconi senza neppure poterlo discutere. Certo, a differenza di come fece la destra, Renzi cerca un’intesa con l’opposizione. Chi lo critica su questo dimentica che lo stesso tentativo hanno fatto senza successo tutti i leader del Pd, da D’Alema, a Veltroni, a Bersani. È sacrosanto ricercare sulla legge elettorale il consenso di tutti in Parlamento, è meno comprensibile legarsi le mani nell’accordo extraparlamentare con l’ex-Cavaliere, soprattutto ora che è esaurita la sua leadership perfino nel suo partito. Sarebbe un errore tattico puntare tutte le carte sul patto del Nazareno che ormai l’altro contraente non è più in grado di onorare.

Il collegio uninominale certo non è la panacea di tutti i mali, però mitiga i difetti degli altri sistemi. Rispetto alla lista dei nominati elimina il problema segnalato dalla Corte di una scarsa riconoscibilità dell’eletto. Anzi, si instaura una relazione diretta che consente all’elettore un controllo non solo al momento del voto ma anche durante l’attività parlamentare. Rispetto alle preferenze la delimitazione territoriale del collegio spezza le filiere lunghe che tengono insieme le correnti di partito e i gruppi di interesse.

Ma soprattutto il collegio conferisce forza e autonomia al parlamentare. Il legame con gli elettori vivifica la libertà del mandato e la rappresentanza della nazione, secondo i principi dell’articolo 67 della Costituzione. Su tale base si avrebbe un riequilibrio della forza del Parlamento rispetto al Governo. D’altronde, basta pensare al Senato americano che riesce a fare da contrappeso al Presidente proprio perché è composto da autorevoli personalità politiche ben radicate nella realtà di quel grande Paese.

Infine, il grande merito del collegio è la flessibilità che ne consente l’applicazione ai sistemi elettorali più diversi, come dimostra proprio la storia della legislazione italiana in materia. Si è accompagnato al sistema maggioritario nel Mattarellum, cancellato proprio perché era una buona legge, a parte alcuni piccoli difetti che potevano essere corretti. Oggi il governo lo agita come una clava per minacciare la minoranza, ma è un’altra sberla alle mosche. Magari si approvasse subito la resurrezione del Mattarellum. A tal fine, insieme a Chiti e ad altri colleghi abbiamo presentato un emendamento e chiediamo a tutto il Pd di votarlo in commissione.

Il collegio fu utilizzato in passato anche in un sistema proporzionale puro con la vecchia legge per le Province e addirittura in un sistema misto nella Prima Repubblica con la vecchia legge elettorale del Senato. Con questa, infatti, il candidato che superava la soglia del 65% veniva eletto direttamente, mentre al di sotto partecipava al riparto dei seggi con metodo proporzionale. La norma scaturì da un famoso emendamento Dossetti-Togliatti che modificò la proposta iniziale del ministro Mario Scelba presentata nel dicembre del 1947 con la soglia fissata al 50%. Era un modello semplice perché non solo affidava al cittadino la possibilità di eleggere direttamente il senatore ma anche di contribuire con il suo voto a decidere quale sistema elettorale si dovesse applicare. Infatti, se un partito superava la maggioranza assoluta il collegio funzionava come fosse maggioritario, se invece nessun partito riusciva a prevalere nettamente sugli altri si otteneva una pura rappresentanza proporzionale. Chissà come sarebbero andate le cose se fosse stata approvata la proposta originale. Le diverse possibilità della storia repubblicana sono contenute in quella differenza di soglia tra il 65% e il 50%. Si è dimenticato il disegno di legge del 1947 perché poi l’immagine del ministro è rimasta legata alla legge del 1953, chiamata “legge truffa” solo perché conferiva un premio di maggioranza al partito che superava la maggioranza assoluta, una soluzione che oggi apparirebbe molto più prudente dell’Italicum. Per noi che siamo stati educati a giudicare Scelba come un politico autoritario, è dura considerarlo un sincero democratico rispetto ai tempi che corrono.

Comunque, la proposta del 1947 rimane ancora oggi la migliore legge elettorale, forse accompagnata da una clausola di salvaguardia nel caso rarissimo che un partito vinca tutti i collegi. Abbiamo presentato un emendamento che consentirà di prendere in esame nel dibattito parlamentare la proposta Scelba, con l’unica innovazione necessaria dopo più di mezzo secolo: il collegio binominale con la candidatura di una donna e un uomo in modo da eleggere un Parlamento nella piena parità di genere.

La proposta risolve positivamente tutte le questioni che sono sul tappeto: il collegio assicura il rapporto diretto eletto-elettore; la rappresentanza proporzionale è garantita senza ricorrere a liste di nominati né alle preferenze; la quota maggioritaria è assegnata solo quando corrisponde a un orientamento nettamente prevalente nell’elettorato. E qui forse è il suo pregio più importante, poiché una legge elettorale può aiutare la governabilità aumentando la forza parlamentare del primo partito ma non deve imporla artificiosamente con premi di maggioranza troppo forti che stravolgono la rappresentanza. Contro questo squilibrio la Corte costituzionale ha usato parole severe nella famosa sentenza contro il Porcellum. Ma dovrebbe bastare il buon senso politico a evitare gli eccessi.

Si è dimenticata una semplice verità: per governare il Paese, soprattutto per attuare riforme difficili, occorre il consenso popolare – che è come il coraggio di Don Abbondio – chi non ce l’ha non se lo può dare ricorrendo esclusivamente agli artifici delle leggi elettorali. Se si esagera con premi di maggioranza che aumentano di circa il 50% la rappresentanza parlamentare si formano governi per forza che non riescono a operare un vero cambiamento, ma ottengono il risultato di allontanare dai seggi ulteriori quote di elettorato. È già successo in parte nella Seconda repubblica e ora il fenomeno sembra accentuarsi. Invece di riflettere sulla perdita di rappresentanza si diffonde una coazione a ripetere. Più diminuiscono i voti dei cittadini e più aumentano i premi di maggioranza ai partiti. Si rischia di formare governi maggioritari all’interno di democrazie minoritarie. I risultati delle ultime elezioni regionali danno una misura allarmante del paradosso.

C’è davvero bisogno di cambiare verso. Occorre una legge elettorale diversa dal Porcellum e dall’Italicum, per restituire agli elettori la possibilità di guardare in faccia gli eletti. Occorre un sistema elettorale che aumenti il numero dei cittadini che votano. Perché sentono di poter contare nella competizione democratica sul governo del Paese.

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2 commenti

Rita Pasqualetto 13 Dicembre 2014 - 10:13

Questo articolo, chiaro, dettagliato, ben scritto, che approfondisce l’argomento che tratta, mi é stato utilissimo per chiarirmi le idee. Ringrazio di cuore l’autore Walter Tocci.

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Maria Voglino 19 Dicembre 2014 - 22:26

L’intervento di Walter Tocci é lineare e limpido. Qualitá rare nel paesaggio politico italiano teso sempre a manipolare le cose. Anche il passaggio a favore dei collegi uninominali é convincente

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