Fonte: La repubblica
Quella che vede Enrico Letta, è un’occasione storica. Da direttore della scuola SciencesPo di Parigi, da cittadino che ha ripreso la tessera del Pd, l’ex premier invita il governo Conte a non avere timidezze: lo Ius culturae va fatto subito, trovando la giusta mediazione tra alleati. «Il mio lavoro sono i ragazzi – dice – è a loro che bisogna pensare». Per questo, chiede alla maggioranza un passo concreto, dopo le tante carezze virtuali al popolo di Greta: «Una riforma costituzionale da fare in un anno: il voto ai sedicenni».
È una vecchia proposta di Beppe Grillo, lo sapeva?
«No. L’avevo già avanzata due anni fa. Adesso dico che è urgente, e che con questa maggioranza si può fare. È un modo per dire a quei giovani che abbiamo fotografato nelle piazze, lodando i loro slogan e il loro entusiasmo: vi prendiamo sul serio e riconosciamo che esiste un problema di sottorappresentazione delle vostre idee, dei vostri interessi».
Questa maggioranza può anche trovare un accordo sullo Ius culturae? O ha ragione la sottosegretaria dem Alessia Morani: non è il momento?
«Quando si governa in coalizione le cose vanno fatte insieme. Questo è uno dei temi sul quale si gioca la capacità del Pd di dimostrare leadership e al tempo stesso rispettare gli alleati. Il momento è ora, non si aspetti per ottenere di più».
Servirebbe a cambiare il paradigma sull’immigrazione?
«È il modello di integrazione positiva a cui dobbiamo tendere. L’opposto dei tagli ai corsi di italiano per immigrati che sono stati una delle caratteristiche del salvinismo».
Basta mettere un “tecnico” al ministro dell’Interno, per cambiare approccio sulle migrazioni?
«Lamorgese ha cominciato col piede giusto. Il vertice di Malta è un passo avanti importante, ma non è la soluzione finale. Sull’immigrazione non ci si può nascondere, servono risposte strutturali. E occorre un trattato – che ho proposto si faccia a Lampedusa – con i Paesi volenterosi, lasciando fuori quelli di Visegrad, e applicando regole chiarissime: voto a maggioranza e automatismi in tutte le scelte, a partire dalla redistribuzione».
Si può arrivare a una sintesi anche sul fine vita?
«La sentenza della Corte impone al Parlamento di farsi carico di questo tema, coinvolgendo tutti, tenendo conto delle complessità, ma seguendo l’indirizzo indicato dai giudici».
Perché il Pd dovrebbe accettare, dopo averlo sempre bocciato in aula, il taglio dei parlamentari?
«Penso che la riduzione sia una cosa positiva e che il Pd debba viverla con maggiore serenità, anche se non dovrei usare questo termine».
Non serve almeno una nuova legge elettorale?
«Certo, una legge che dia diritto di tribuna alle minoranze. Non un maggioritario all’inglese o alla francese. Quella giusta è il Mattarellum, i collegi con una quota proporzionale. Aggiungerei la sfiducia costruttiva: un governo casca perché ce n’è un altro pronto, sennò si va al voto. E secondo me le legislature dovrebbero essere più brevi, di tre, quattro anni».
Questa quanto può durare?
«Le cose di cui abbiamo parlato, quelle di cui ha parlato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, sono possibili se si arriva alla fine. Se falliamo, facciamo un favore a Salvini. Che si è avvitato, fa impressione vederlo lanciare merendine da un palco, ma è ancora fortissimo. E va battuto politicamente».
Una app per prendere le decisioni, il tesseramento on line, le multe ai candidati consiglieri in Umbria: il Pd si sta grillizzando?
«L’identità si gioca sui valori e sui programmi, e mi sembra che Zingaretti abbia orientato il Pd nella giusta direzione. Il tesseramento on line è la giusta risposta al potere dei capibastone. E alla malattia delle correnti. Il Pd non potrà mai cadere negli errori del M5S perché è fatto di popolo, di sezioni, di feste di militanti, la cui libertà personale non potrà mai essere in discussione. Così come non si può mettere in discussione l’ assenza di vincolo di mandato. In questo, la missione dem deve essere quella di contaminare i 5 stelle, cercando di far loro abbandonare questo senso proprietario degli eletti».
Non hanno la sua stessa fiducia nella democrazia rappresentativa.
«Neanche nella democrazia interna. Ma bisogna riconoscere la carica innovativa di alcuni loro meccanismi. Bisogna migliorarsi e migliorarli, ma non credo in una fusione col Pd».
Cosa pensa dello strappo di Matteo Renzi?
«Penso sia stato un errore per il modo e per i tempi, oltre che per la sostanza. Il Pd ha fatto un’ operazione enorme costruendo il governo, aveva suscitato ammirazione in Europa, ma quella mossa ha fatto sì che pensassero: “Sono sempre gli stessi”».
Renzi è un rischio per il governo?
«È una piccola mina messa sotto l’ esecutivo, ma non penso abbia interesse a farlo cadere».
Ha detto di essere stato trattato come un intruso.
«Strano, visto che è l’ unico a essere stato sia premier che segretario pd. Forse è meglio sia uscito, si è chiarito un equivoco. E forse il Pd non ha troppo da temere, dalle prime mosse mi sembra guardi più a Forza Italia».
Si fida di Conte, che fino a un anno fa amava le parole sovranismo e populismo?
«Mi fido del fatto che fare bene con questo governo è nel suo interesse, non ha un terzo tempo da giocare. E forse l’ anno trascorso gli è valso come apprendistato. Ha capito che Salvini stava portando il Paese a sbattere. Adesso bisogna accelerare sul green new deal, coniugarlo con la lotta alle diseguaglianze, non permettere che il ministro Costa metta la faccia su un testo vuoto. Aspettare magari, ma fare bene il decreto sul climate change, d’ intesa con Bruxelles. Sono anche d’ accordo con la lotta al contante: basta con la palla delle vecchiette che non sanno andare al bancomat. E a Conte e Di Maio do un consiglio: domani arriva il segretario di Stato americano Mike Pompeo. Si facciano sentire. Lo schiaffo di Trump sui dazi al nostro agroalimentare è gravissimo e merita una risposta adeguata».