Di ilsimplicissimus
Anna Lombroso per il Simplicissimus
Cousinage fait mauvais voisinage, recita un proverbio, appunto, francese. E si sa che tra noi e i cugini vicini la concorrenza è sempre stata aspra: meglio il Gorgonzola o il Camembert, i prosecchi non saranno infine meglio dello champagne … e pure er vino dei Castelli?
Sarà stato per quello che Passera, quello di Banca Intesa, si è messo al servizio del governo Berlusconi per azzerare la cessione ad Air France preparata dal governo Prodi, col risultato del vergognoso sperpero di denaro pubblico in Alitalia? Il ceto politico italiano si sente meno umiliato se svende un bene nazionale a Etihad Airways la compagnia aerea di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, che ha fatto aspettare un mese intero la sua lettera d’intenti per giunta stilata in arabo, tanto per far capire chi comanda? Sui contenuti resta ancora il massimo riserbo, in attesa di traduzione e che l’amministratore delegato Gabriele Del Torchio la illustri alle parti sociali, agli azionisti ed al Governo, che ha già espresso la sua soddisfazione per bocca del ministro Lupi. La considera infatti oltre che «la migliore risposta a Berlusconi, che non so se si è dimenticato di essere un imprenditore, quando ha proposto di licenziare», un “grandissimo passo avanti verso l’intesa dopo la frenata della prima missiva arrivata a Fiumicino 10 giorni fa”.
E figuriamoci se non gli piaceva, se non è pronto al negoziato che comporterà tagli del costo del lavoro per 128 milioni, di cui mancano ancora all’appello 48 milioni da raggranellare grazie al blocco di indennità e alla riduzione degli stipendi oltre i 40.000 euro, e che prevede un taglio degli “esuberi” tra i 3.000 e i 2.000, con un forte coinvolgimento del personale di terra. E tra le richieste di Etihad ci sono interventi infrastrutturali come l’alta velocità con Fiumicino e l’accelerazione sulla liberalizzazione di Linate. Misure graditissime e il sintonia con il Renzi pensiero: non ce lo chiede l’Europa, ce lo chiedono gli Emirati, ma a una Tav non si rinuncia mai, ammonisce il ministro: «L’alta velocità negli aeroporti italiani non va portata perché ce lo chiede qualcuno, ma perché siamo un grande paese», che ha ritenuto infatti “grandioso”, profittevole e moderno ridurre a uno scheletro la rete dei collegamenti ferroviari dal Sud, far viaggiare i pendolari peggio di animali, sui cui trasporti invece l’Europa vigila con criterio e un buon numero di direttive.
L’unico nodo vero resta dunque la cifra del debito, che Etihad vorrebbe rinegoziare per 400 milioni, e su cui sarebbero ancora in corso le trattative con le banche, perché sono alla fin fine loro i veri negoziatori come sono stati i beneficiari dello scempio speculativo, orchestrato dalla combinazione della pulsione elettoralistica di Berlusconi armonizzata con le aspirazioni politiche del banchiere Passera, che in barba al conflitto voleva miscelare tutti gli interessi in campo, a cominciare da quelli del suo Istituto. Come in tutte le spoliazioni aziendali, in tutti i raggiri contabili travestiti da ristrutturazioni o privatizzazioni, come nell’operazione scellerata degli azionisti Telecom riuniti nella Galassia del Nord che cedono il controllo agli spagnoli pur di limitare le perdite, e se ne infischiano se il 78% degli altri azionisti comuni mortali che hanno comprato in Borsa non vedranno un centesimo. Come quando il grande boiardo Paolo Scaroni che all’Eni riesce a aggirare lo scandalo del crollo di valore della controllata Saipem, perché lui appartiene a una fazione, o meglio una combutta, inviolabile. O come dimostra il definitivo espatrio della Fiat trasformata da Marchionne in multinazionale svincolata dagli impianti italiani, a beneficio dell’accomandita Agnelli e a detrimento del paese.
Era proprio giusto che Alitalia rimanesse italiana, solo un capitalismo come quello italiano ridotto a una materia putrida e inerte, poteva volersi fregiare di un simile simbolo, rivendicare un’operazione losca come il cosiddetto «salvataggio» Alitalia, caricando i debiti, gli esuberi, le vite di 7mila persone, sulle spalle degli italiani, come è solita fare una classe imprenditrice cialtrona e codarda, abituata a socializzare le perdite e a privatizzare gli utili. E oggi sembra che ci meritiamo che venga liquidata così, dopo che per favorire traffici opachi ha richiesto una legge ad aziendam, dopo che ci si sono accaniti intorno i dinamici e temerari imprenditori che parteciparono alla «cordata», quelli che vivono di concessioni dello stato, a cominciare dalle tariffe autostradali, o quelli che vengono dal mercato immobiliare, sicuri che il favore reso si sarebbe tradotto in sostanziosi appalti se non addirittura in Piani casa o Città, come puntualmente è avvenuto, perché il loro segreto consiste nel trasferimento del rischio di impresa sui lavoratori, mentre i padroni, immuni, vengono ripagati in favori e privilegi.
Come sempre la storia, perfino quella più recente, non insegna nulla: l’Italia, negli anni novanta, ha portato avanti la più grande dismissione di beni pubblici dell’intera Europa., che si è rivelata uno dei più clamorosi fallimenti politici del dopoguerra e che, insieme agli accordi del 1992, governo-sindacati-industria, sulla concertazione e alla legge Treu del 1997 sulla flessibilità, è stato l’inizio di un crollo progressivo del complesso di grandi imprese e il punto di avvio di una crisi profonda del sistema industriale, che da allora non si è più ripreso. Basterebbe ricordare tra le altre, le vicende ancora in corso e tragicamente dell’Ilva, di Autostrade, da cui i Benetton traggono molte risorse spremendo gli automobilisti a volontà, della Telecom Italia, ceduta per pochi soldi alla spagnola Telefonica. Per non parlare del grande saccheggio nel settore alimentare: con gli spagnoli (tra acquisizioni vecchie e nuove ricordiamo Riso Scotti, Fiorucci Salumi, Bertolli, Carapelli, Olio Sasso), i francesi (con Parmalat in particolare, Galbani, Locatelli, Invernizzi, Orzo Bimbo), mentre i cinesi si affacciano nel Chianti, o in quello della moda (Loro Piana, Bulgari, Fendi, Gucci, Pucci, Bottega Veneta, Brioni, ecc), nelle telecomunicazioni e perfino nel calcio.
È proprio vero: Franza o Spagna purché se magna, ma noi invece restiamo a digiuno.