Elly Elly alalà e Bonaccini l’ultimo mohicano

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini
Elly Elly alalà
Elly qui Elly là, su e giù. Tutti per Elly, e già mi viene l’orticaria….
Si vuole il cambiamento ? Si cominci intanto con una bella restaurazione. In sede politica si ricominci a usare il cognome, magari con l’aggettivo compagno/compagna in testa. Sempre che si voglia onorarne la dignità. Essere compagni è, in politica, come nella vita, qualcosa di profondamente diverso dall’essere amici che si scambiano affettuose intimità.
Nel passato nessuno in sede politica chiamava Togliatti col nome Palmiro, Longo come Luigi, o ancora Boldrini con Arrigo. E neppure coi nomi di battaglia che in tempo di guerra e clandestinità ne definivano il mito vivente di capi combattenti: Nel caso Ercoli, Gallo e Bulow.
Ancora nel Pds io stesso ero politicamente noto come Anderlini, non come Fausto. E infatti molti, da fuori, mi confondevano con Luigi, l’illustre indipendente di sinistra. E’ il cognome che da esistenza sociale all’uomo, e se proprio si deve indugiare a una qualche affabilità in eccesso meglio storpiare il cognome che usare il nome. Così ad esempio, io amo chiamare Gardeng o Gardenghero un amico del cuore come il grande Gardenghi o Bersy, il sempre adorato Pier Luigi Bersani. Come si usava a scuola una volta, ma anche in caserma, sul lavoro e nella squadra amatori. E comunque mai in una sede ufficiale.
E’ stato con Renzi che si è istituzionalizzata l’usanza del nome nel dibattito pubblico, persino (anzi tanto più) fra nemici. Matteo forever. Legioni di mattei….L’apogeo della post-politica, cioè della comunità ipocrita.
Onde per cui chi su questa pagina farà uso smodato di questa scostumatezza sarà duramente redarguito e alla terza bannato senza pietà. Che poi passare da Elly alla iella è un attimo…..
L’ultimo mohicano
Poi verrà l’analisi. Adesso è il momento dell’immagine che da l’idea del passaggio. Ed è questa. Elettori versus iscritti, in un dualismo di potere che porta a compimento il baco statutario intrinseco al Pd. Il Bonazza emiliano lascia il campo alla giovane donna post-moderna, ricca, cosmopolita, gender fluid e movimentista. Sostenuta all’unisono dalla ‘sinistra sociale’ (comunque aspirante ad esserlo), da quella post-materialista e dall’establishment (sedicente) democratico euro-atlantico. L’ultimo, grigio, per quanto ruspante, funzionario di partito è appeso defintivamente al chiodo di un passato irredimibile quanto ingloriosamente obsoleto. Trionfa una forma annacquata ed ubiqua di vendolismo. Trionfo piccolo, un trionfino. E sarà il tempo a dirci se sarà una nuova fulminante era o un tonfo ancor più grottesco di quelli somministrati da Renzi, Zingaretti e Letta. Onore al Bonazza, comunque. Non l’ho votato, il maraglio pragmatista con gli occhiali a goccia, l’olio robusto contrapposto a quello gentile, la mortadella al culatello. Mai avrei potuto, ma tutta la parte romantica, proletaria e perversa del mio cuore batte per lui. Mio ultimo Policarpo ufficiale di politica in quiescenza.
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