E’ morto Claudio Lolli, cantautore senza compromessi

per Gabriella
Autore originale del testo: Andrea Silenzi
Fonte: repubblica
Url fonte: http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2018/08/17/news/e_morto_claudio_lolli-204338266/

di Andrea Silenzi 17 agosto 2018

Il cantautore bolognese si è spento a 68 anni dopo una lunga malattia. E’ stato uno dei più significativi artisti degli anni 70

All’inizio della sua carriera capitava di ascoltarlo nelle leggendaria Osteria della Dame a Bologna, prima dei concerti di Francesco Guccini.  Claudio Lolli è stato uno dei cantautori simbolo della scena italiana degli anni 70. Claudio Lolli si  è spento oggi, a 68 anni, dopo una lunga malattia.

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Era nato a Bologna nel 1950 e venne portato alla Emi proprio da Guccini: il suo stile divenne immediatamente riconoscibile, simbolo dell’insoddisfazione più profonda e letteraria della canzone politica post ’68.

Il suo primo disco, Aspettando Godot del 1972, era uno dei più evidenti segnali della volntà della discografia di investire sui portavoce della protesta giovanile più radicale e incupita. Lolli si rivelò subito come un personaggio vero, capace di trasformare in canzoni la malinconia del vivere quotidiano. Così come il successivo Un uomo in crisi, che conteneva anche un brano dedicato ad Antonio Gramsci, Quello lì, e un deciso inno antimilitarista come Morire di leva. Le canzoni erano aspre e gli arrangiamenti ridotti, ma il suo stile e le sue parole erano in sintonia con i tempi: in breve Lolli divenne uno degli autori più trasmessi dalle celebri “radio libere”. Divenne così uno degli esponenti di maggior talento della seconda generazione cantautorale, quella degli anni Settanta immersa in dibattiti ideologici e sociali.

Dopo le aperture strumentali di Canzoni di rabbia del 1975, Lolli si liberò definitivamente dell’etichetta di cantautore triste con un album capolavoro come Ho visto anche degli zingari felici (1976). Un disco che affronta senza metafore argomenti di attualità come il terrorismo e gli attentati, degli emarginati e del femminismo ma con una ricchezza musicale e lirica difficilmente eguagliabile. Quell’album resta uno dei lavori più riusciti e significativi dell’intera discografia italiana anni 70.

“La musica mi ha salvato la vita dalla banalità“, raccontò in un’intervista, “è uno scopo: cercare di guardare la realtà con occhi diversi e raccontarla”. Gli Zingari raccontavano le ansie di una generazione alle prese con l’utopia della rivoluzione: Lolli impose anche un prezzo “politico” al disco, che venne messo in vendita 3.500 lire.

Dopo il successo dell’album, Lolli decise di lasciare la Emi per approdare all’etichetta indipendente Ultima Spiaggia. Il disco successivo, Disoccupate le strade dai sogni (un libro di testi da lui pubblicato lo scorso giugno portava lo stesso titolo), fu un atto di coraggio musicale, pieno com’era di riferimenti jazz e di arrangiamenti insoliti, ma fu anche un suicidio commerciale. La sua scarsa simpatia nei confronti della promozione e una fama controversa (veniva accostato all’ala più estremista del movimento del ’77) fecero il resto: per tre anni rimase fuori dal circuito discografico.

Gli anni 80 e 90 furono caratterizzati da una serie di album di buon livello ma non troppo fortunati. Fu nel 2000 con Dalla parte del torto che Lolli ritrovò una dimensione consona al suo talento. Album pubblicati da piccole etichette come La scoperta dell’America del 2009, Lovesongs e il più recente Il grande freddo (uscito nel 2017 grazie a un crowdfunding) lo avevano fatto riscoprire anche al pubblico più giovane, oltre che alla critica: con quel disco aveva conquistato la Targa Tenco.

Un riconoscimento forse tardivo per un cantautore “non per tutti”, ma pieno di passione e talento. “Ci siamo conosciuti nel 1976 – ha raccontato sua moglie Marina – ci siamo messi insieme, non ci siamo più lasciati”. Il 1976 fu l’anno che rivelò Claudio Lolli con “Ho visto anche degli zingari felici”. Quasi un tormentone, per gli anni che seguirono. “Ci siamo sposati – racconta Marina – abbiamo avuto due figli, Tommaso e Federico. Ma la vita artistica, ecco, quella era solo sua. Naturalmente lo seguivo, andavo ai suoi concerti, ma rimaneva la sua vita artistica”. E’ scomparso all’improvviso, “è stato tutto così rapido”. Non era malato, dice Marina. Certo si muoveva con qualche difficoltà, ma era “tutto sotto controllo”. Il giorno di Ferragosto, però,  non si sentiva bene. Oggi ha chiesto che fosse chiamata un’ambulanza, il suo cuore si è fermato nel tragitto verso l’ospedale. “Il suo disco di inediti, Il grande freddo, è di talmente pochi mesi fa – ricorda Marina -. E’ vero, per tanti è rimasto il cantautore degli Zingari felici, ma è assurdo bloccarlo in quella fotografia di così tanti anni fa. E’ stato anche molto altro”.

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IL GRANDE FREDDO

di  Marco Villa 26 giugno 2017    da rockit.it

Claudio Lolli è uno dei simboli della canzone d’autore italiana. Non un simbolo statico, ma uno in perenne movimento: irrequieto e mai disposto a restare fermo in una posizione comoda. Nel corso degli anni ha creato un culto più o meno sotterraneo di appassionati e fan che lo seguono con devozione e alle soglie dei settant’anni ha vinto la Targa Tenco come miglior album dell’anno con il suo “Il Grande Freddo”, album uscito per La Tempesta Dischi. L’ennesimo cortocircuito di una carriera mai scontata.

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“Il grande freddo” arriva 11 anni dopo “La scoperta dell’America”, il tuo ultimo disco in studio vero e proprio. Cosa è successo in tutto questo tempo?
È successo di tutto e di più. Il mondo è cambiato, io sono invecchiato. “La scoperta dell’America” era ancora un disco polemico, voleva essere un disco polemico sulla gestione del mondo, questo invece prende atto che la gestione del mondo è questa: è questo freddo, questo gelo, questo congelamento della vita delle persone. E quindi è cambiato molto.

Di chi è la responsabilità maggiore di questo cambiamento così importante, arrivato in un lasso di tempo neanche esageratamente lungo?
Se Dio esiste, la responsabilità è sua. Se non c’è, è degli uomini che non ragionano o non capiscono, non valutano la situazione. La colpa è di un’economia iper-potente che gestisce tutto, ma questa sarebbe una fase che nella storia abbiamo già vissuto. La colpa è di chi sciaguratamente cavalca una politica populista e negazionista, la colpa è di chi non vuole che la gente partecipi alla politica. Chi dice: “Rubano tutti, so’ tutti ladri!”, ecco loro non invitano al convivio politico, ma al contrario invitano all’indifferenza. Quelli che sembrano più movimentisti sono in realtà i più freddi. Forse sarà un paradosso, ma quelli che scendono nelle piazze contro tutto sono quelli più freddi, perché impediscono alla gente di pensare, di farsi un’idea, di avere un profilo civile. Moderatamente civile.

Il Grande Freddo - Illustrazione di Enzo De Giorgi

(Il grande freddo – Illustrazione di Enzo De Giorgi)

In una canzone del disco canti “Non sogno più e dovrei”: questo freddo porta anche a rinunciare ai sogni?
Posso dire che “Disoccupate le strade dai sogni” l’ho scritta già quarant’anni fa. Ci hanno messo un po’ a raccogliere tutti i rifiuti, ma alla fine ce l’hanno fatta. Adesso di sogni non ne sono rimasti più.

Ascoltando il disco, emerge un senso di disillusione nei confronti del discorso politico e sociale, mentre l’unica cosa davvero importante a cui aggrapparsi è l’amore, cercando un rifugio in quello che una volta veniva definito il privato in contrapposizione al politico. È così?
Tutto quello che tu dici è giusto, tranne l’utilizzo delle parole “aggrapparsi” e “rifugio”, perché non mi sembrano le parole giuste da usare. Io l’amore lo penso come un perdersi nel centro di un villaggio arabo bianco, fatto di interni in cui non ci si trova più, in cui ci si perde. Ecco, l’amore è un luogo in cui ci si perde. E oggi forse perdersi è l’unico modo per ritrovarsi, prima o poi.

La fotografia sportiva - Illustrazione di Enzo De Giorgi

(La fotografia sportiva – Illustrazione di Enzo De Giorgi)

Sempre per restare legati al disco, volevo farti i complimenti per la Targa Tenco arrivata qualche giorno fa come miglior album dell’anno. E soprattutto perché non è una Targa Tenco alla carriera, ma dedicata a un lavoro preciso. Molto meglio così, no?
Sono d’accordo, anche a me fa piacere che sia così. Sai, i premi alla carriera uno dice: “Questo sta per morire, diamogli ‘sta cosa”. Invece che sia al disco o all’album in sé mi fa molto piacere, non so se avrà importanza, ma mi sembra comunque un lavoro ben pensato. Come autore questo posso dirlo.

La Targa Tenco è stata una sorpresa, l’altra è stata vedere che l’album è uscito per La Tempesta Dischi, che è un’etichetta fondamentale per la musica italiana di questi anni, ma che di solito pubblica nuovi nomi. Come siete entrati in contatto?
Incredibilmente ho degli amanti che sono anche musicisti e sono molto giovani. Amanti non in senso carnale, ma nel senso che amano la mia musica. Seguendo il mio lavoro e sapendo che stavo scrivendo delle cose e mi sarebbe interessato realizzare un disco, mi hanno messo in contatto con La Tempesta e il contatto è andato molto bene. Perché no? È una cosa che gira, c’è un inizio, c’è una fine e ci si può anche toccare. Come nella Cappella Sistina o nel simbolo della Nokia, un attimo di contatto ci può essere.

Principessa Messamale - Illustrazione di Enzo De Giorgi

(Principessa Messamale – Illustrazione di Enzo De Giorgi)

Hai conosciuto o ascoltato qualche nuovo compagno di etichetta che sta uscendo per Tempesta?
Ho visto con grandissimo piacere Vasco Brondi, che è venuto a trovarmi. L’ho trovato un ragazzo simpatico, intelligente e abbiamo passato due o tre ore a chiacchierare in modo molto piacevole.

Insegni ancora al liceo?
Da qualche anno ho smesso, ma è stato meraviglioso. Faticoso, ma meraviglioso. Tornavi distrutto da un concerto, parcheggiavi la macchina sotto la scuola, andavi in classe la prima ora a parlare dell’Inferno di Dante e sapevi benissimo cosa dovevi dire.

Raggio di sole - Illustrazione di Enzo De Giorgi

(Raggio di sole – Illustrazione di Enzo De Giorgi)

Com’è vivere a Bologna oggi?
Vivere a Bologna oggi è bellissimo, anche se proprio oggi ci sono quasi quaranta gradi e quindi rompe un po’ i coglioni. Però è una città sempre molto vitale, anche se io non posso più viverla con molta partecipazione per i miei problemetti fisici. È una città che si mantiene sempre su una bella linea di… non voglio dire combattimento, che è una parola che non mi piace, diciamo una bella linea di attenzione al mondo, a quello che succede. Credo che Bologna da qualche parte abbia un’intelligenza.

Bologna è lo sfondo del video di “Ho visto anche degli zingari felici” di qualche anno fa di Luca Carboni, in cui compari anche tu insieme a Riccardo Sinigallia. E lo stesso Sinigallia ha poi portato quella canzone a Sanremo: sentire gli zingari felici sul palco dell’Ariston immagino non fosse così scontato.
Non è scontato, anche se avrebbe dovuto esserlo. Io sono molto grato sia a Luca, sia a Riccardo di avere fatto questa operazione, che hanno fatto con molto amore, perché tanto non c’era niente da sfruttare. Io credo sia una bella canzone e loro anche, per questo l’hanno riproposta. Il video l’abbiamo fatto qui in piazza a Bologna, io come al solito non ho fatto niente, ho solo camminato dieci secondi con la chitarra, perché la mia pigrizia è famosa. Questo fatto che poi Riccardo l’abbia riproposta a Sanremo mi ha fatto molto piacere, come a dire: “Esisto anche io”.

Sai com'è - Illustrazione di Enzo De Giorgi

(Sai com’è – Illustrazione di Enzo De Giorgi)

Restando a Bologna e ai bolognesi, tu e Guccini siete partiti in parallelo, lui da qualche anno ha detto basta e non salirà più su un palco, tu invece arrivi con un disco nuovo. Che effetto ti fa la sua decisione?
Abbiamo una decina d’anni di differenza, stiamo invecchiando entrambi e poi se anche Totti si è ritirato dalla Roma, vuol dire che si può fare. Io ho dei problemi fisici e da due anni non faccio più concerti, mentre il disco l’ho fatto perché avevo voglia di farlo e avevo le canzoni. Francesco, che è leggermente più anziano, ha proprio smesso e scrive i suoi gialli. Scherzi a parte, si può davvero smettere, non è che uno debba per forza continuare a lavorare per tutta la vita, anche se è un lavoro meraviglioso. A un certo punto uno può sentire anche il bisogno di riposare.

In oltre 40 anni di carriera, hai attraversato il mondo della discografia ufficiale e di quella più indipendente. Qual è stato secondo te il problema più grosso di questa industria in Italia?
Io non ho avuto una grandissima esperienza all’interno dell’industria e quella che ho avuto non è stata molto positiva. Io non sono un tipo su cui puntare: l’industria naturalmente e giustamente punta sul successo commerciale, io non do nessuna garanzia di quello. Io posso dare una garanzia di scrittura, questa la do. Chi vuole utilizzarla e può utilizzarla in qualche modo, mi si avvicina, chi non ha interesse in questa cosa, ovviamente sta lontano da me. Poi c’è stato anche qualche grandissimo personaggio che è riuscito a combinare le due cose, ad esempio Lucio Dalla, ma si contano sulle dita di una mano e ne avanzano. È un’esperienza che sono francamente felice di avere chiuso.

Ultima domanda: qual è la canzone italiana che avresti voluto scrivere?
“La storia” di Francesco de Gregori.

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