Fonte: Minima cardiniana
E C’È ANCORA MOLTO DA DIRE SUL COVID-19
Ancora sul Covid-19. E Dio sa se ameremmo non parlarne più. Ma è ancora sulla cresta dell’onda. Tra l’altro arrivano i soldi. E piovono sulla testa di tanti contribuenti molti dei quali magari si lamentano del fatto che i “ristori” sono scarsi, ed hanno del tutto ragione, salvo il dimenticarsi che essi sono calcolati sul parametro delle loro denunzie fiscali, non dei loro redditi effettivi; su quelli denunziati, non su quelli intascati. Con tutto ciò la crisi c’è, è reale, è gravissima, ne pagheremo per anni le conseguenze. Oggi è la volta di Michele Rallo che c’intratterrà sul Recovery Fund. Dopo di che, assisteremo a una nuova puntata del derby Copertino-Montesano: controcontroreplica di Copertino, controcontrocontroreplica di Montesano; e dubitiamo sia finita qui. Noi non ci permettiamo d’altronde di stabilire un termine a questa dotta disputa: nella quale chiunque altro può entrare. Dio mi è testimone che io, FC, non sono né liberale, né liberista, né libertarian, né libertario: ma sono un devoto ammiratore di un verso che il libertino Lorenzo Da Ponte, librettista del Don Giovanni di Mozart e – lui, sì – a sua volta libertino, pone sulle labbra del Burlador de Sevilla alla fine del secondo atto dell’immortale opera: “È aperto a tutti quanti – Viva la Libertà!”.
MICHELE RALLO
I NOSTRI NEMICI SONO I “PARAMETRI” EUROPEI. E DRAGHI LO SA
Miliardi veri. Non una gran pioggia, in verità. Piuttosto una pioggerellina primaverile, timida, esile, di quelle che giungono al suolo ma non penetrano nel terreno e non alimentano le colture.
Già il governicchio di Giuseppi II aveva speso i suoi bravi miliardi (di debiti). Alcuni, anzi, li aveva lasciati cadere nel pozzo senza fondo di bonus, mancette e marchette. E adesso Sir Drake calca la mano: 32 miliardi di euro solo con il Decreto Sostegni. Applausi da sinistra, mentre da destra Salvini alza l’asticella e chiede un ulteriore scostamento di bilancio “per almeno altri 50 miliardi”.
Il guaio, però, è che questa pioggerellina primaverile, se non è certo bastevole a resuscitare interi comparti economici azzerati dalle chiusure a tappeto, è comunque tale da accendere una forte ipoteca sul futuro della nostra economia nazionale (e su quello di tanti altri paesi europei). Il perché è evidente: perché questi soldi – seppur pochi – non li abbiamo, e dobbiamo quindi farceli prestare da “mercati” di vario genere: siano quelli arcigni dell’alta finanza internazionale, o siano anche – si spera – quelli, considerati amici, degli organismi europei.
Dico “si spera” perché quei famosi 209 miliardi “dell’Europa” non si sono ancora visti. L’ultima notizia di stampa li dava – una decina di giorni fa – bloccati dalla occhiuta Corte Federale tedesca, fermamente intenzionata ad accertare se, al di là di ogni possibile dubbio, il Recovery Fund possa celare una qualche forma di “condivisione del debito” con altri paesi europei. Se così dovesse apparire, allora nein, niente aiutini all’Italia né agli altri paesi latini. Paesi latini che sono stati buoni solo quando c’è stato bisogno, nel 1990, di abbonare i debiti della Germania dell’ovest per consentire che la riunificazione con la Germania dell’est avvenisse senza traumi. [vedi “Social” del 14 novembre 2014]
Ma, quand’anche quei 209 miliardi dovessero arrivare (e credo che alla fine arriveranno) saranno ben poca cosa, a fronte del fiume di denaro occorrente per rimborsare i milioni di italiani gettati sul lastrico dalle chiusure in conto Covid. Per tacere di quel mare di denaro (non un semplice fiume) che sarebbe necessario per far “ripartire” interi comparti economici, rasi al suolo da una politica di chiusure assolutamente miope.
Che poi questi 209 miliardi – quando arriveranno – sarebbero “dell’Europa” in senso molto relativo. Noi, infatti, dovremo sborsare la nostra quota che – come per tutte le spese dell’Unione – ammonta al 12% del totale. Attenzione, non il 12% dei 209 miliardi destinati a noi, ma il 12% dei 750 miliardi dell’intero Recovery Fund: cioè – scusate se è poco – qualcosa come 90 miliardi.
E, se i 209 miliardi fossero un regalo, detratti i 90 miliardi della nostra contribuzione, il saldo per noi sarebbe comunque positivo (209 -90 = 119). Ma non è così, perché dei 209 miliardi solo 82 sarebbero contributi a fondo perduto, essendo i restanti 127 dei prestiti che dovranno essere restituiti a iniziare dal 2027. In pratica, dovremo incassare 82 miliardi e uscirne 90, con un saldo negativo – quindi – di 8 miliardi di euro.
A fronte di questi 8 miliardi, potremo ottenerne 127 in prestito e – sostengono di euroentusiasti – “a tasso agevolato”. Ma quando mai… Non so a quale tasso esattamente ci saranno prestati i 127 miliardi; ma, se vi aggiungiamo gli 8 miliardi di cui sopra, vedremo che l’interesse reale sarà attorno al 10%. Altro che “agevolato”. Senza contare che i 127 miliardi della quota prestiti del Recovery Fund andranno comunque ad aggiungersi al nostro gagliardo debito pubblico: siamo già a 2.600 miliardi e veleggiamo allegramente verso i 2.700, più o meno i 135% del nostro PIL.
Un debito pubblico alto non è, di per sé, la fine del mondo. A patto, naturalmente, che conviva con una economia nazionale solida. Il Giappone – si pensi – ha un debito sovrano superiore al 200% del proprio PIL; ma la cosa non provoca sconquassi.
Per noi, invece, un debito così elevato è un vero e proprio dramma. Per due motivi: primo, perché la nostra economia non è solida; secondo, perché siamo vincolati ai “parametri” dell’Unione Europea. Per il primo punto non c’è bisogno di dettagliare: basta guardarsi attorno, specialmente in tempi di Covid. Sul secondo punto, invece, varrà la pena di spendere qualche parola.
Infatti le regole, le stupide regole ragionieristiche dell’Unione Europea, oltre a stabilire che il deficit di bilancio degli Stati-membri non superi il 3% del PIL, impongono che il debito pubblico dei singoli Stati rimanga al di sotto del 60% del PIL. Senza l’osservanza di quei due precetti, l’economia di un Paesi non può essere considerata “stabile”. Da qui, la previsione di una lunga congerie di correttivi (MES compreso) che mirano a costringere gli Stati-membri a marciare a tappe forzate verso i parametri fissati dalla dittatura finanziaria europea. A qualunque prezzo; ivi compreso il massacro sociale ed una tassazione senza limiti.
Ove i governi nazionali non dovessero essere in grado di attuare una politica economica “adeguata”, si aprirebbe la strada verso il commissariamento da parte di una autorità di controllo europea; autorità che si assumerebbe il compito di imporre una politica economica lacrime e sangue che possa “stabilizzare” il paese inadempiente. È quanto è avvenuto in Grecia, con la dittatura economica della Troika.
Orbene, quando è esplosa la crisi del Covid, la Commissione Europea ha magnanimamente sospeso le regole della “stabilità”, autorizzando gli Stati-membri ad attuare “scostamenti di bilancio” che li mettessero in grado di affrontare l’emergenza. Ma – si badi – la sospensione è solamente temporanea e di breve durata. Dopo di che, gli Stati dovranno tornare alla marcia forzata verso una “stabilità” del tutto artificiale (e spesso irraggiungibile).
Ecco perché la politica di Draghi è destinata a fallire. Non nell’immediato, quando anzi farà registrare un netto miglioramento rispetto ai disastri del recente passato. Non nell’immediato – dicevo – ma nel futuro prossimo, quando l’Italia dovrà riprendere la marcia forzata verso la “stabilità” imposta dai tedeschi e dai loro valvassori del Nord Europa.
Come uscire da questo cul de sac? Semplice: continuando a spendere i miliardi necessari, i moltissimi miliardi necessari per affrontare la crisi di oggi e quella di domani, ma con denaro emesso “a credito” dallo Stato italiano, e non imprestato “a debito” dai mercati. Ovvero – piaccia o non piaccia – riappropriandoci, almeno in parte, della nostra sovranità politica ed economica.
LUIGI COPERTINO
GEOPOLITICA E VACCINI: CONTRO-CONTROCANTO
Il mio intervento sul Minima Cardiniana n. 322 dell’11 aprile scorso è stato oggetto di attenzione critica da parte della prof.ssa Marina Montesano. Non conosco personalmente la professoressa. Ho per lei molta stima per quanto di suo ho avuto modo di leggere (diversi articoli sul blog dell’amico Franco Cardini ed in varie altre sedi ma anche un apprezzato contributo ad un’opera collettanea sul “Graal”). Ritengo le sue garbate, benché severe, osservazioni degne di ogni considerazione ed è proprio per questo che ho l’obbligo di puntualizzare in ordine alle mie argomentazioni ed alle sue critiche. Pertanto, dopo il “canto” dello scrivente ed il “controcanto” della professoressa Montesano, ecco il mio “controcanto al controcanto”, che la cortesia di Franco Cardini ha permesso di comparire in questa sede. Non è – sia chiaro – mia intenzione alimentare alcuna polemica. Anche perché, dettagli a parte, non ne vedo il motivo dato che, mi sembra, la professoressa Montesano non sia affatto critica verso il nucleo centrale delle mie considerazioni ossia la valenza geopolitica e geoeconomica dell’avversione occidentale al vaccino russo. Pertanto mi limiterò a seguire il percorso delle sue argomentazioni critiche, iniziando da talune espressioni da me usate e ritenute inappropriate.
Non ho usato l’espressione “presunto” in riferimento al “temibile agente patogeno” in modo improprio ma l’ho fatto a ragion veduta, sulla base di quanto insigni scienziati, compresi Nobel come Luc Montagnier (per questo lapidato dai media), dicono circa l’effettiva percentuale di mortalità del covid. Una mortalità che risulta bassa benché esso sia pericoloso per categorie particolari, anziani e soggetti già debilitati. Purtroppo anche le statistiche sono discutibili soprattutto se non sono chiari i criteri seguiti per la contabilità dei decessi. È argomento di forte discussione anche tra gli stessi medici se si muore “per il covid” o “con il covid”. Ossia non è ancora molto chiara la linea di demarcazione tra chi muore soltanto a causa del covid, laddove prima era sano e forte, e chi invece muore a causa del fatto che il virus va ad incidere su un organismo vecchio o già malato. In quest’ultimo caso, è evidente, che il decesso, che molto probabilmente per i malati sarebbe avvenuto comunque e per altre cause, si può imputare al virus soltanto in modo parziale e del tutto indiretto. Ma le statistiche, come molti osservano, non seguono al riguardo alcuna distinzione e questo dovrebbe indurci tutti a chiederci il perché di questo modo di procedere, poco scientifico. Il fratello di un mio conoscente, malato di tumore, è di recente morto dopo che in ospedale ha contratto il covid, il quale ha semplicemente accelerato l’esito comunque fatale della sua malattia. Lo hanno classificato come un decesso da covid. È esatta questa classificazione? È corretto questo modo di procedere? Molti ne dubitano e pensano che questo sia un modo per amplificare la paura, antico e ben noto strumento per esercitare il controllo sociale.
Probabilmente la professoressa Marina Montesano ha, a sua volta, amplificato le argomentazioni da me usate probabilmente sospettando una mia appartenenza alle schiere del “negazionismo”. Ma non si vede proprio dove lo scrivente abbia negato l’esistenza del virus. Che certo c’è, esiste, agisce. Mai negato! Sulle percentuali delle sue vittime, come detto, la discussione è aperta e questo pone chiunque nella condizione di non fidarsi ciecamente delle statistiche ufficiali, magari solo perché tali. Non è il caso qui di entrare nel merito del cosiddetto “negazionismo” – perché esula dal filone principale delle argomentazioni critiche della professoressa – ma, sia pure per cenni, è obbligo sottolineare, data la sua denigratrice influenza in ogni dibattito serio e civile, l’uso strumentale che i media fanno di un termine fino a ieri utilizzato contro i negatori del genocidio nazista. Il che dimostra quanto dietro la scelta da parte del media-system di tale terminologia, ad effetto, agisca non solo e non tanto un comportamento sleale e poco corretto quanto soprattutto una chiara volontà di discriminazione e di ostracismo verso chi pone problemi, fa domande, nutre dubbi rispetto alla narrazione assunta, a torto o a ragione, come quella ufficiale.
La questione, sollevata dalla professoressa Montesano, della percentuale di incidenti sul parametro delle migliaia, in fase di sperimentazione, che poi giocoforza aumenta sul parametro dei milioni, in fase di vaccinazione, va valutata, a mio giudizio, non solo dal punto di vista contabile ma anche etico. E se per la contabilità il rapporto quantitativo costo/benefici ha un valore statistico, tale poi da giustificare una assunzione di rischio, da un punto di vista etico non può essere così. Anche una sola vita umana è preziosa. Nessuna persona è un numero a scopo statistico, benché l’innata tendenza reificante dell’Occidente ci ha abituato a considerare se non esclusivamente quanto meno prevalentemente l’aspetto quantitativo. Come ammesso dalla stessa professoressa, siamo di fronte ad una immensa, globale, sperimentazione di massa, che certo per lo scrivente, a differenza di lei, ha un aspetto sinistro. Soprattutto laddove molti scienziati e medici ci dicono che esistono efficaci terapie alternative basate su farmaci di uso comune, come l’idrossiclorochina o gli anticorpi monoclonali. Ad affermarlo sono in tanti tra i medici che, a differenza di certi virologi cattedratici puntualmente presenti in tv, operano in prima linea, curano e salvano con efficacia centinaia di malati covid. Il programma di Mario Giordano, su Rete 4, ne ha parlato per due settimane di seguito, intervistandone alcuni. Siamo così venuti a sapere che questi medici, che sono in continuo contatto tra loro per l’affinamento delle terapie utilizzate, riuniti in associazione hanno prodotto referti scientifici all’Aifa ed al Ministero della Salute ma sono stati del tutto ignorati. Il che non fa ben pensare ed anzi pone domande sui motivi del silenzio delle autorità ufficiali, soprattutto quanto si viene a sapere che nel Cts siedono scienziati non proprio limpidi sotto il profilo del conflitto di interessi. Una azienda laziale, produttrice su larga scala di anticorpi monoclonali, nel 2020 ha offerto, a costo contenuto, al nostro governo notevoli quantità di tali anticorpi. L’offerta fu rifiutata perché quel tipo di terapia all’epoca non era tra quelle contemplate dagli indirizzi del Cts. Gli anticorpi monoclonali sono invece stati ampliamente ed efficacemente usati negli Stati Uniti. Con essi è stato curato anche Trump.
Il Cts, cui continua ad affidarsi il nostro governo, è il suggeritore del “protocollo” che porta il nome del ministro Speranza. Detto protocollo obbliga i medici curanti all’assurda terapia a base di tachipirina e di “vigile attesa”. I medici che, a loro rischio, si sono ribellati al protocollo in parola, quelli poi portati in tv da Giordano, hanno salvato centinaia di vite, compresi molti anziani, perché grazie all’osservazione empirica, in trincea, hanno intuito l’efficacia di farmaci ampiamente disponibili, perché nati per altri usi pre-covid, ma – ecco il punto – non forieri di alti profitti per Big Pharma. L’efficacia di queste possibilità terapeutiche alternative è stata ora riconosciuta, ma ad un anno di distanza e dopo molte vite inutilmente sacrificate in nome del protocollo Speranza, anche dagli Istituti ufficiali di Ricerca. Di recente il prof. Remuzzi, del Mario Negri, ha pubblicato un ampio e documentato studio su queste terapie non vaccinali dimostrandone la validità. Due anziani coinquilini del palazzo dove abita lo scrivente sono morti di covid perché il loro medico curante non ha avuto il coraggio di violare il protocollo Speranza. I poveretti sono rimasti “in vigile attesa” assumendo tachipirina, che si è dimostrata al contrario altamente controproducente in caso di covid perché abbassa la temperatura, che è una difesa dell’organismo aggredito, e così lascia agire impunemente il virus. Il risultato è stato l’aggravamento fino alla terapia intensiva e poi la morte, laddove con l’uso tempestivo delle terapie alternative si sarebbero salvati. Il Dott. Paolo Gulisano, medico epidemiologo della Asl di Lecco, del quale lo scrivente è amico personale, nell’aprile 2020 è finito sulle cronache nazionali per aver salvato, con l’’idrossiclorochina, una anziana signora ottantenne.
Nel link, che segue, la dott.ssa Silvana De Mari, medico, in 6 minuti, denuncia le gravi responsabilità del Cts in relazione ai morti covid non tempestivamente curati a domicilio con noti e collaudati farmaci. Come accade invece, con altissime percentuali di guarigione, all’estero. Qui siamo di fronte a veri e propri crimini contro l’umanità oltre che al tradimento del giuramento di Ippocrate. Emerge chiaramente l’Occidente come un enorme sistema di menzogna
https://www.facebook.com/silvanademari.it/videos/232070338662076/
In questo altro link, invece, un ottimo articolo circa i valorosi medici alternativi e circa il ritardo con il quale le Istituzione ufficiali, che ora con il supporto dei media rivendicano illegittimamente un inesistente primato, hanno scoperto quanto quei medici molto prima avevano già compreso
https://www.miglioverde.eu/inchiesta-covid-19-un-crimine-contro-lumanita-negare-le-cure-domiciliari/
Veniamo al punto relativo all’innovatività dei cosiddetti “nuovi vaccini”. Concordo con la professoressa Montesano: la scienza, come tutto ciò che è umano, è imperfetta e fallibile. Quindi a maggior ragione, di fronte a tecniche geniche di ultima generazione, la prudenza doveva essere molta più alta prima di passare alla commercializzazione di massa. Come ricorda la professoressa, gli antichi sapevano che ciò che ti cura può anche ucciderti. Essi però conoscevano anche l’immunizzazione dai veleni mediante il loro costante uso moderato. In fondo il principio della vaccinazione tradizionale si fonda su tale meccanismo: ti inoculo l’agente patogeno depotenziato ed il tuo organismo produce anticorpi senza che tu ti ammali o muoia per lo sviluppo della malattia. Le nuove tecniche geniche, invece, fanno in modo che sia il nostro corpo a diventare un produttore dell’agente patogeno, o di parte di esso, per poi indurre la reazione immunitaria. C’è una bella differenza, soprattutto perché non si hanno dati certi dei possibili effetti a lungo termine. Ogni farmaco è dunque potenzialmente pericoloso – concordo con la professoressa Montesano – ma trattandosi, nella fattispecie, di tecniche che quasi toccano la sfera genetica dell’essere umano, se non manipolandola certamente condizionandola, nessuno sa, oggi, quali effetti a lunga scadenza questo condizionamento può produrre. Queste tecniche, come osserva la professoressa, erano già in fase di studio quali terapie antitumorali ma, appunto, ancora in sperimentazione in questo specifico settore. All’improvviso, al comparire del covid, esse vengono dirottate verso un altro scopo. Che le multinazionali non abbiamo fiutato l’affare mi sembra poco credibile dato che si tratta di organizzazioni il cui scopo è chiaramente fare profitti. Dicono che tutte le fasi della sperimentazione siano state effettuate, anche se l’amico magistrato Francesco Mario Agnoli in una sua riflessione di tenore giuridico, che ha avuto la bontà di inviarmi, dubita della cosa e scrive:
Luigi Copertino e Marina Montesano concordano nel ritenere che “tutti questi vaccini sono in fase sperimentale”, ma ci si può chiedere se giuridicamente “ricerca scientifica” e “fase sperimentale” siano la stessa cosa e se davvero i vaccini attualmente in uso in Italia si trovino nella fase sperimentale. Non manca difatti chi, richiamandosi all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e all’Azienda Italiana del Farmaco (AIFA), suddivide la sperimentazione clinica dei nuovi farmaci in quattro fasi, delle quali solo le prime tre possono essere considerate di vera e propria sperimentazione o, se si preferisce, di ricerca, mentre i nostri vaccini si troverebbero già nella IV, definita di “sorveglianza post marketing” in quanto presuppone che il farmaco sia già stato non solo approvato, ma posto in commercio in modo da acquisire nuove informazioni anche su reazioni avverse più rare, che possono diventare rilevabili solo con l’uso di massa (a questa obiezione, di cui s’intravede qualche traccia nel “controcanto” della prof. Montesano, si può ovviamente replicare, in particolare in base alle alterne vicende di AstraZeneca così come descritte nel suo “canto” da Luigi Copertino, che le ditte produttrici sono passate alla fase IV quando in realtà si era ancora nella III e lì si doveva restare).
Ma anche volendo non dubitare del corretto svolgimento di tutte le fasi previste per la sperimentazione, non si può non rimanere impressionati dalla velocità mirabolante con la quale l’intero procedimento è stato realizzato rispetto alla tempistica, ben più lunga, di solito necessaria per testare i vaccini tradizionali. L’urgenza è stata imposta dalla pandemia? Può essere. La professoressa Montesano imputa al fatto che lo studio delle nuove tecniche era già avanzato la celerità della riconversione dell’obiettivo di tali ricerche. Ma in un mondo nel quale l’azionariato preme sui Ceo aziendali per ottenere profitti immediati e subitanei, senza troppi scrupoli etici, qualche perplessità allo scrivente sembra più che lecita.
Ad ogni buon conto, nel link che segue le ultime notizie dal mondo scientifico circa la frequenza delle trombosi collaterali del vaccino AstraZeneca che, stando ad una equipe di ricercatori di Oslo, non è poi così bassa come vorrebbero farci credere
Qui invece altri dubbi sollevati dai ricercatori tedeschi
La mia allusione ai “malfidati”, che parlano di centinaia di morti da incidente da vaccino anticovid, non significa che lo scrivente approvi tout court le loro affermazioni. Significa soltanto che c’è qualcuno che aumenta le cifre. Perché lo fa, e se lo fa con cognizione di causa, non è dato sapere. Per questo l’allusione, nel mio pezzo, è in forma di incidentale e non di asserzione irrefutabile. Allo scrivente bastano comunque anche pochi morti per porsi domande. Il paragone, avanzato dalla professoressa Montesano, con gli incidenti automobilistici non calza perché, in tal caso, si tratta di inosservanza delle regole della circolazione stradale da parte degli automobilisti, e non dei produttori di auto. Nel caso delle vittime da vaccino “frettoloso” si tratta invece della fiducia tradita da chi comunque – bugiardini a parte (che appunto precauzionalmente “mettono le mani avanti” ma quasi nessuno li legge, per via del loro linguaggio spesso tecnico e della loro lunghezza) – ti aveva garantito attraverso i media, in ogni dove, che tutto era sicuro e senza “troppi” problemi. Anzi il paragone può essere facilmente rovesciato. Se un modello di auto immesso sul mercato, per un qualche difetto tecnico di produzione, causasse incidenti nonostante ogni prudenza dei guidatori, esso sarebbe immediatamente ritirato dal mercato – ed eventualmente riproposto dopo aver corretto il difetto – e nessuno starebbe lì a pontificare con sicumera sulla mancanza di prove di correlazione tra gli incidenti ed il difetto di fabbricazione. Come, al contrario, fanno i virologi, a “libro paga”, che negano anche solo il sospetto di correlazioni benché i malcapitati crepano tutti subito dopo la vaccinazione.
E veniamo, quindi, alla questione del “libro paga”. Cosa significa, chiede la professoressa, parlare di “libro paga”, osservando che quelli dei ricercatori non sono certo guadagni occulti. Quando lo scrivente dice che alcuni ricercatori sono a “libro paga” non fa certo riferimento al normale stipendio universitario legittimamente percepito ma al vezzo, e non si sta affermando cosa ignota, degli incarichi extra ordinem che, per quanti legittimi formalmente e trasparenti ufficialmente, non possono non gettare un’ombra, se non altro per evidente conflitto di interesse, su un docente universitario di virologia o un clinico del servizio sanitario nazionale che, oltre allo stipendio professorale o pubblico, usufruisce anche di compensi da incarichi da parte delle società farmaceutiche. Con questo non si punta il dito contro una intera categoria, nella quale, come in tutte, ci sono onesti e meno onesti, ambiziosi e non ambiziosi, avidi e non avidi. Si fa notare semplicemente che la testimonianza di un soggetto in palese conflitto di interessi non sarebbe mai ammessa in un tribunale. A maggior ragione, poi, il conflitto di interesse si palesa nel caso in cui non di docenti o clinici del sistema pubblico si tratta ma di ricercatori che sono dipendenti di industrie private. Tutto qui. Personalmente sono portato a credere – forse perché “malfidato” – che se percepisci proventi da un produttore non sei troppo credibile quando cerchi di rassicurare il pubblico sulle qualità del prodotto e le virtù del produttore. È una questione di “purezza” della ricerca che, in modo certo sempre imperfetto (la “purezza” assoluta non è di questo mondo), è maggiormente garantita dalle istituzioni pubbliche se fossero adeguatamente foraggiate di finanziamenti, attualmente invece devoluti al privato, e soprattutto se esse non fossero soggette al dominio degli interessi finanziari privati, come purtroppo accade in una forma finora inusitata in un’epoca, la nostra, di totale subordinazione del Politico all’Economico e dell’economia reale a quella finanziaria. A proposito del conflitto di interessi, poniamoci alcune domande, impertinenti rispetto alla narrazione ufficiale, sul potente influsso delle multinazionali del farmaco. Allo scopo rinvio a questi due link, da vedersi in sequenza, nell’ordine proposto, trattandosi di due parti dello stesso documentario, dove possono visionarsi alcuni servizi televisivi – attenzione! – della Rai, quindi di fonte mainstream non accusabile di complottismo o negazionismo, nei quali si indaga sui profitti di Big Pharma ottenuti mediante la “produzione di farmaci per gente sana” ossia tenendo alto nell’opinione pubblica l’eccesso di allarmismo per la salute e contemporaneamente screditando ogni cura alternativa
Per quanto poi riguarda lo Sputnik voglio puntualizzare che non lo ritengo affatto un vaccino perfetto, perché nessun farmaco, nessuna invenzione umana sarà mai perfetta dato che perfetto, come detto, non è l’uomo. La professoressa dice che reazioni avverse sono state registrate anche per lo Sputnik. Pare che il Presidente dell’Argentina, vaccinato con Sputnik, abbia contratto lo stesso il covid. Non sembra tuttavia che le reazioni avverse nell’uso dello Sputnik siano state della stessa quantità di AstraZeneca, o anche di Pfizer, altrimenti sarebbe emerso un caso come quello del vaccino anglo-svedese e non si sarebbe verificata la corsa allo Sputnik proprio in conseguenza delle difficoltà incontrate dal primo. Non basta sospettare di un Paese, la Russia, che non segue modelli politici liberali per supporre che le sue autorità abbiamo celato il numero di incidenti. Infatti Sputnik è usato in tutto il mondo ossia anche in Paesi non controllabili o controllati da Putin. Lo Sputnik sarà pure “difettoso”, come gli altri, ma, guarda caso, la Germania, infischiandosene, a nostra differenza, della “solidarietà europea” (a Berlino l’Ue interessa soltanto nella misura in cui garantisce la sua supremazia economica nel “giardino di casa”), ha attivato trattative separate con la Russia per una massiccia fornitura. Lo Sputnik lo hanno fatto i russi, vero, ma non è questione di nazionalità quanto, questo il punto, come rilevato anche dalle fonti citate dallo scrivente, della sua natura statuale che non piace in Occidente. È dai tempi reaganiani del Washington Consensus che da noi tutto ciò che sa di Stato e di pubblico non è visto di buon occhio.
Dispiace che la professoressa Montesano abbia avuto l’impressione di avere a che fare con un “no vax”. Non lo sono. Né, come detto, sono tra quelli che negano l’esistenza del virus. Il mio “monito” non è contro i vaccini in generale ma contro la visione “messianica” e “salvifica” con cui si sta presentando ai popoli un enorme affare economico delle multinazionali, come dimostra la costante censura e svalutazione delle altre terapie esistenti. Se nel XIV secolo avessero avuto il vaccino contro il batterio della peste avrebbero certo fatto bene ad usarlo, vaccinando l’intera popolazione. Egualmente dicasi per i nostri nonni e bisnonni se avessero avuto un efficace vaccino ai tempi della “spagnola”. Ma in questi casi si trattava di vere pandemie ad alto tasso di mortalità di massa. Cosa che, si ripete, per il covid non è comprovata dai numeri se si distingue tra “morti di covid” e “morti con covid”. Ecco perché, di fronte ad uno scenario di tal genere, il sospetto che si voglia puntare tutto, non casualmente, sui soli vaccini è inevitabile.
Veniamo infine alla questione delle componenti fetali usati per i vaccini. Non è il sito “casiciclici”, cui rimandava il link posto alla fine del mio intervento, che dovrebbe essere preso in considerazione. Esso è stato solo il veicolo di un filmato relativo ad una deposizione ufficiale del dottor Stanley Plotkin. Che è quella che conta, non la sede da cui è stata tratta. Il sito in questione non è frequentato dallo scrivente. È stato soltanto il primo che, nel motore di ricerca, mi è capitato nel rintracciare il filmato della deposizione. Si ribadisce: mero veicolo e non fonte principale che invece è, e resta, il filmato di Plotkin. Il giudizio sulle metodologie sottese alla fabbricazione dei vaccini deve essere formulato sulla base della deposizione dello scienziato. La domanda da me, cattolico, rivolta ai vertici della Chiesa trova motivazione nel fatto che si è registrata, in recenti dichiarazioni mediatiche ecclesiastiche, una qualche incertezza, un qualche tentennamento, o un qualche silenzio – forse per non incappare nell’accusa di sollevare questioni “secondarie” in piena pandemia – rispetto a precedenti posizioni ufficiali contenute nei documenti dei competenti dicasteri vaticani. I fedeli non leggono di certo detti documenti ma ascoltano la televisione, sicché una puntuale chiarezza ecclesiastica anche negli interventi nelle sedi mediatiche non guasterebbe. I meriti scientifici di Plotkin non sono in discussione, valutazioni etiche a parte. In discussione è l’ambiguità di certi atteggiamenti ecclesiastici. Proprio Plotkin nella sua deposizione cerca di presentare come possibilista la Chiesa e di rovesciare, in modo chiaramente sleale, una accusa di “talebanismo” verso coloro che non approvano l’uso dei feti nella produzione dei vaccini. La mia annotazione dell’uso di materiale proveniente dallo scimpanzé in alcuni vaccini (la professoressa dice Astra Zeneca ma lo scrivente non ha fatto aperto riferimento ad esso) era solo funzionale alla differenziazione di questi da quello russo. Quando ho parlato di uso di “feti abortiti vivi” facevo riferimento al fatto che talvolta, anche se non sempre, è necessario ricorrere a feti estratti vivi perché, in taluni casi a detta dei contestatori di tali pratiche, se il prelievo di sostanze biologiche non avviene immediatamente il ritardo potrebbe essere di ostacolo allo scopo. Sembra che la coltivazione in laboratorio dei feti morti non sia sempre, in assoluto, la regola. Il fatto è che per le distorsioni giuridiche attuali – ci sono proposte negli Stati Uniti che puntano ad estendere l’aborto fino al nono mese – il feto non è considerato una persona. Il paragone, proposto dalla professoressa Montesano, con le pratiche autoptiche non calza, al di là delle antiche e superate discussioni sulla loro legittimità, dato che in questo caso siamo in presenza di persone spontaneamente decedute e non di persone vive e soppresse (tale, lo si voglia o meno, è l’aborto ossia la soppressione di un indifeso). Il paragone non regge anche a confronto con la normativa sul testamento biologico che chiede la libera espressione della volontà del donatore per il prelievo degli organi. Che non potrà mai essere fatto, neanche se ciò comportasse benefici, laddove il defunto ha espresso, in vita, la sua contrarietà (benché la normativa più recente mostra la tendenza a considerare tacito assenso al prelievo il semplice fatto che il defunto in vita non abbia espresso formale contrarietà). Un bambino in gestazione non può certo esprimere la propria volontà a consentire o meno, in caso di aborto, la sua dissezione a scopo scientifico e questa sua incapacità, e mancanza di difese, rende il paragone della professoressa Montesano del tutto inappropriato. A meno di considerare il feto una non-persona.
La professoressa Montesano ricorda che pratiche eutanasiche e sperimentali sui disabili e altri soggetti deboli, socialmente o psico-fisicamente, sono state utilizzate fino a anni a noi vicini nelle stesse società democratiche e pertanto contesta come fuori luogo la citazione di Mengele, da me effettuata con intenti comparativi. Orbene, con quella citazione ho voluto per l’appunto sottolineare – nel pezzo era evidente e detto apertamente – che, sotto questo profilo, cade ogni pretesa di superiorità del mondo occidentale, americano in particolare, nonostante esso si vanta di averci liberati dal “male assoluto”. Sappiamo tutti che l’eugenetica e lo stesso razzismo non sono state invenzioni esclusivamente tedesche e che i nazisti non sono venuti dal nulla ma hanno le loro radici ideologiche in certe concezioni che prima di loro e nella loro epoca erano accreditate del crisma della scientificità. In qualche modo il nazismo è anche frutto del maltusianesimo che percorre l’intera cultura occidentale a partire dall’illuminismo. Quindi se è vero che dal punto di vista storico bisogna valutare le pratiche mediche degli anni ’60 nel loro contesto epocale ed anche, aggiungo, “ideologico” – ma questo allora, sempre sotto il profilo storico e quindi indipendentemente da ogni valutazione morale, deve valere anche per Mengele – è altrettanto vero che sotto il profilo etico, che è quello preso in considerazione dallo scrivente, lo scenario cambia e di molto. Perché per quanto anche l’etica subisca il condizionamento storico questo non è vero in senso assoluto, perlomeno se si accetta la prospettiva trans-temporale. Il “non uccidere” nella sua essenza profonda resta tale anche se nel corso dei secoli diverso è stato il modo di modulare o interpretare il principio. Volendo fare un paragone giuridico, si potrebbe parlare di circostanze, attenuanti o aggravanti, ma non di esimente. Laddove, infatti, si voglia prescindere del tutto dalla prospettiva trans-temporale a Plotkin – ma anche, si ripete, a Mengele – nulla, pur con tutte le circostanze del caso, si potrebbe eticamente rimproverare. Tuttavia, in una prospettiva più alta, il fatto che Plotkin abbia indubbi meriti scientifici verso l’umanità nella lotta a certune malattie – cosa che, certo, differenzia il suo caso da quello di Mengele – non può impedire una valutazione di ordine etico sulle prassi che anche lui ha usato, nonostante l’attenuante che esse fossero di uso comune e ritenute scientificamente valide o indispensabili nel loro contesto storico. Non è per questo che facciamo a meno dei vaccini – vero! – ma per un cattolico l’uso di feti o meno nella loro produzione fa una qualche non trascurabile differenza. Ed era questo il senso ed il tono della domanda da me posta ai responsabili ecclesiastici.
Ci sarebbe, in ultimissimo, da fare qualche, non secondaria, riflessione sullo scenario neo-totalitario che si va profilando e sulla repressione o comunque il ricatto in atto verso coloro che si oppongono a certe derive. Insigni giuristi, come Sabino Cassese, hanno sollevato forti dubbi sulla legittimità costituzionale dell’uso di atti amministrativi, i dpcm, in luogo dei decreti legge e delle leggi ma anche sulla pretesa di imporre, benché surrettiziamente con il ricatto, l’obbligo di vaccinazione alla popolazione. In effetti, per molti versi, assistiamo ad una latente coartazione dei diritti costituzionali proclamati da quella che certa retorica ufficiale esalta come “la costituzione più bella del mondo” o come “la costituzione nata dalla resistenza al fascismo” ma che, poi, viene costantemente calpestata dai suoi stessi sostenitori – e non solo in relazione al diritto alla salute e basta pensare al tradimento dei diritti sociali da essa contemplati – per non parlare del fatto della mancanza di una sua adeguata tutelata da parte dai custodi istituzionali. Il discorso sarebbe lungo e ci porterebbe su altri terreni. Pertanto mi limito, qui, a richiamare l’attenzione del lettore sulle amare considerazioni, nel link che segue, di un medico che essendosi opposto con motivazioni scientifiche all’obbligo di vaccinazione per i sanitari è ora sotto procedimento disciplinare e rischia l’espulsione dall’Ordine e di perdere il lavoro
Ora, pare che stia persino nascendo una forma di “resistenza” a questo nuovo totalitarismo. Il sito Blondet&Friends dell’amico Maurizio Blondet (si veda qui https://www.maurizioblondet.it/sanitari-no-vax-sono-18-mila-punirli-tutti/) ha riportato la notizia de “Il Giornale” secondo la quale i sanitari che si oppongono alla vaccinazione obbligatoria sarebbero addirittura 18mila. Cosa che rende impossibile sia il loro licenziamento di massa che la loro sospensione forzata dal servizio attivo o il mandarli obbligatoriamente in ferie. Perché in questi casi ospedali e presidi sanitari resterebbero tragicamente sguarniti di risorse umane e di competenze, anche di quelle che servono per portare avanti il programma di vaccinazione. Questo però dimostra che laddove si forma una opposizione politica e/o sociale compatta ed organizzata anche il potere delle multinazionali potrebbe essere fermato o quantomeno contrastato con una certa efficacia, costringendole a scende a patti con la volontà dei popoli. Ma, qui sta il problema, essi, i popoli, sono addormentati dai media e, soprattutto, perlomeno quelli occidentali, sono spaventati tanto dal covid quanto dal progressivo venir meno, negli ultimi quarant’anni, delle tutele sociali conquistate nella prima parte XX secolo ed in mancanza di una qualsiasi opposizione organizzata finiscono o per farsi irretire dalle élite globaliste egemoni oppure per abbandonarsi alla protesta populista, con tutte le sue buone motivazioni, senza dubbio, ma anche con tutte le sue ambiguità demagogiche.
LA RISPOSTA DI MARINA MONTESANO
Risponderò alle argomentazioni di Luigi Copertino molto brevemente, toccando giusto gli argomenti sui quali sono particolarmente in disaccordo. Con una premessa. Tralascio ulteriori polemiche sugli autori citati, in primis sui pareri di Silvana Di Mari: come si dice, anche un orologio rotto segna due volte l’ora giusta, per cui non voglio nemmeno aprire il link di una persona che le spara così grosse ogni volta che apre bocca e le cui affiliazioni politiche trovo ributtanti. Vale lo stesso per la citazione del video di “casiciclici” perché “è il primo trovato sul web”, dal momento che il video citato è manipolato nella prima parte con l’inserimento di immagini horror poi seguite dall’intervista. È un modo di argomentare che trovo radicalmente diverso dal mio, e questo al di là del poter essere d’accordo su qualcosa. In entrambi i casi il contesto conta eccome, non è neutro e non può essere considerato tale; se una fonte è totalmente di parte e generalmente inaffidabile io, nel leggerla, devo considerarla tale: e questo che si tratti di medioevo o della nostra contemporaneità.
Parto dicendo che la questione se si muore ‘di’ o ‘con’ il covid, tirata spesso in ballo, non è rilevante, e soprattutto non può essere risolta perché nella nostra società rifiutiamo di fare una scala di valori sulle vite più o meno importanti. Nonostante si possa considerare la vita di una persona molto anziana o di un malato grave più vicina alla morte di quanto lo sia quella di un adolescente, alla nostra coscienza ripugna l’idea di dover operare una scelta. È per questo che le metodiche delle quali parla il dottor Plotkin sono per noi intollerabili: chi dice che la vita di un handicappato o di un marginale o di un miserabile o di un carcerato sia più sacrificabile rispetto a quella di un benestante in salute? Di fatto, sappiamo benissimo che il nostro sistema economico rende le loro vite infinitamente più ‘spendibili’ di altre, e lo si vede per il fatto che nei paesi del Terzo Mondo il semplice e vaccinabilissimo morbillo fa strage di infanti ogni anno, però di fatto la somministrazione di un medicinale sperimentale a categorie particolari ci fa orrore (lo fa anche a me, tanto per essere chiari). Detto questo, se il malato di tumore ha ancora una prospettiva di vita di qualche anno, o di qualche mese, ma prende il covid e muore, quei mesi e quegli anni erano tutto ciò che aveva: e il covid glieli ha portati via, dunque per me è morto di covid. Perché non sta a me decidere sulla qualità della vita che avrebbe ancora vissuto, di ciò che avrebbe potuto fare. Questo vale per tutti noi dinanzi alla vita e dinanzi alla morte. Senza contare che l’impatto del covid ha, come sappiamo, peggiorato anche la condizione di malati di altre patologie i quali, senza la saturazione degli ospedali, avrebbero potuto legittimamente aspirare a cure migliori.
Passo alla questione dei vaccini. Se si dovesse somministrare improvvisamente un medicinale qualsiasi contemporaneamente a decine di milioni di persone, penso che qualche decina di reazioni avverse più o meno gravi si registrerebbe, perché è nell’ordine delle cose con i farmaci. Per questo si è cauti anche con medicine come gli anticorpi monoclonali che sono ugualmente una terapia ancora in fase sperimentale. È la stessa ragione per la quale vaccinarsi con AstraZeneca o anche altri prodotti non è obbligatorio (tranne, e giustamente per quanto mi riguarda, per categorie come medici e infermieri): siamo consci di correre qualche rischio e dunque possiamo decidere. Ciò non toglie che la malattia fa comunque più morti del vaccino anche fra persone ancora relativamente giovani. Dunque, ancora una volta, la statistica per me è giustificata e non intacca in alcun modo l’etica. Detto questo, la comunicazione su questi vaccini è stata catastrofica, a partire dall’iniziale negazione che potessero esserci effetti avversi: in una popolazione in parte tendenzialmente scettica, questo non ha fatto che peggiorare la situazione. E tuttavia, se oggi guardando al passato, tutti ci diciamo d’accordo sul vaccino anti-vaiolo e altre malattie poi debellate, all’epoca quel tipo di vaccino era nuovo, ha dato comunque alcune reazioni avverse, ed è stato contrastato anche violentemente da molti. Non torno sulla questione Sputnik, sono sicura che non comprarlo è un puro atto politico, ma allo stesso tempo attiro l’attenzione sulla velocità con la quale la statunitense FDA (e non ho simpatia per il governo americano, ma nemmeno per le mezze verità) è stata velocissima a intervenire sulla questione AstraZeneca, bloccato per non aver fornito sufficienti dati, e su Janssen, bloccato in fase di distribuzione nonostante sia un vaccino interamente made in USA. Semmai si può obiettare sul fatto che gli Stati Uniti seguiti da tanti altri paesi abbiano saccheggiato il mercato dei vaccini preferendo avere riserve immense e lasciando senza altre nazioni: ci lamentiamo della UE, ma pensiamo a ciò che avviene nei paesi del Terzo Mondo.
Infine la questione degli aborti. Il procedimento di sviluppo a partire da quelle cellule è noto al mondo da decenni; le cellule devono essere vive, non il feto, e c’è una bella differenza che non credo di dover spiegare: basta l’enciclopedia. Qui, come già scrivevo, il problema di fondo è etico e non c’è molto da aggiungere: per chi, come me, è favorevole alla libertà di scelta della donna in materia di aborto, la pratica non pone particolari problemi. Evidentemente li pone per coloro che sono contrari, lo comprendo, ma sono opinioni che vanno al di là della questione della sperimentazione scientifica e che mi pare inutile dibattere.
Come dicevo all’inizio, però, c’è una questione più ampia alla quale guardare, ossia il modo generale di affrontare questa pandemia. Ci sono nazioni, penso a molte fra quelle asiatiche, dove l’epidemia è stata combattuta con competenza. Alcune, come la Nuova Zelanda o l’Australia, magari anche grazie alla scarsa densità di popolazione e ad altre questioni che rendono queste nazioni-isole diverse da noi. Però la Cina, la Corea, il Vietnam pure hanno reagito in modo diverso, più efficace, al punto da rendere secondaria la questione dei vaccini. In primo luogo, ha contato la capacità di tracciare-testare-trattare, e qui due fattori hanno contato: una preparazione iniziale del governo, certo, ma anche la volontà della popolazione di attenersi alle indicazioni, che devono essere chiare, imposte dove necessario, comprese e attuate. Tutto quello che da noi è mancato. Poi si può e si deve discutere sulle capacità di cura; in particolare, da noi è mancata totalmente la capacità di curare a casa, lasciando pazienti soli, magari con un’inutile tachipirina, ad aggravarsi e poi congestionare ospedali a quel punto incapaci di trattare casi in stadio già avanzato – per di più trascurando altre patologie pure esistenti. Così come è mancata la capacità di proteggere strutture come le RSA, dense di popolazione fragile: se abbiamo dati di mortalità tanto elevati è anche perché lì è stata una carneficina. Io non sono una ricercatrice in campo medico, posso giusto cercare di leggere riviste appropriate e provare a capirci qualcosa, dunque non so se clorochina e idrossiclorochina sono efficaci e a quale stadio della malattia, se è vero che non le si usa abbastanza perché a buon mercato (dunque poco redditizie), se invece non sono efficaci come altri affermano: vorrei evitare il tifo da stadio e parteggiare per una versione o l’altra solo perché mi piace di più l’idea, dal momento che davvero non ho gli strumenti per giudicare. Tutti quelli che parteggiano invece li hanno? Così come non so se gli anticorpi monoclonali, da noi autorizzati da febbraio, sono effettivamente la soluzione, o vanno usati con molta cautela: ripeto che, al pari dei vaccini, sono sperimentali, e se paiono dare effetti positivi allora ben vengano. Però, confessata la mia ignoranza, mi pare che la pandemia abbia soprattutto messo in luce la fragilità delle strutture sanitarie di molti paesi occidentali, dove i tagli alla sanità, tout court o a favore dei privati, si sono susseguiti per decenni. Ugualmente, ha messo in luce fragilità nelle capacità di governare in senso vero, di prevedere e organizzare piani pandemici, che invece altri hanno avuto. Dinanzi a questa situazione il ‘vacciniamoci tutti’ probabilmente non è la soluzione migliore in assoluto, ma è l’unica che abbiamo. La sposo senza alcun entusiasmo, sapendo che si sarebbe potuto fare meglio di così.