di Alfredo Morganti – 14 luglio 2017
A inizio luglio scrissi questo post su FB, che anche Nuovatlantide pubblicò, in una fase in cui divampava l’antipisapiismo, soprattutto tra chi (a sinistra-sinistra) lo riteneva un leader del tutto inadatto al ruolo (nel migliore dei casi), se non (nel peggiore dei casi) una filiazione renziana o di destra o neoliberista o globalista o reazionaria (fate voi). Quel che era palmare, di un’evidenza stellare, era che Pisapia non si proponeva affatto come leader forte di alcunché, ma amava presentarsi come un federatore, un riunificatore, uno che agiva in termini enzimatici per riavvicinare ciò che appariva disperso (e ciò in funzione antidestra, come lui ha sempre detto e ripetuto). A me era parsa una vocazione nobile quella che, legittimamente, si era autoconferita. Utile, accanto ad altre possibili e auspicabili. E così sarebbe dovuta apparire nella sua sostanza a chi davvero tenesse all’unità della sinistra, senza tante quisquilie. Senza contare che su Pisapia Renzi intendeva costruire il suo ‘recupero’ a sinistra, e invece con SS Apostoli questa strada gli si precludeva.
Scrissi in quel post: “Sono anche certo che Pisapia per primo si ritenga uno strumento di ‘unificazione’, una leva dell’unità, e non la sua unica ragione – e non si percepisca come leader naturale dello schieramento largo che la sinistra deve costruire con le altre forze democratiche, per garantire in Parlamento una buona rappresentanza e condizionare così in positivo le vicende politiche della legislatura (come accade in tutte le democrazie rappresentative, e l’Italia è una democrazia rappresentativa, appunto)”. Ma Pisapia questo lo aveva detto lui stesso, non si era mai presentato come il candidato premier di alcunché, e anche quando Bersani e D’Alema avevano avviato con lui l’operazione ‘Insieme’, con la bella piazza dell’1 luglio, non avevano ‘investito’ anzitempo il leader elettorale (forse lo facevano i giornali e i social, dove le opinioni personali galoppano in scioltezza), quanto una sorta di magnete capace di unificare, di mettere insieme pezzi dispersi. Un utile catalizzatore insomma.
Purtroppo, siamo così berlusconiano-renziani, ormai, da vedere ovunque leader, sempre e solo capi elettorali e di partito, uomini soli al comando, maschi alfa, iradiddio, e null’altro. E non più normali dirigenti politici, o punti di riferimento morali, donne e uomini con spirito di servizio che lavorano alla sintesi generale. La punta della piramide ci affascina e ci attrae ben più della base. Ed è qui che serve davvero una correzione di cultura politica, ma ci vorrà tempo, molto tempo. La cosa paradossale, ma davvero paradossale, sono le parole di chi, dopo il Brancaccio diceva: non vado a SS Apostoli, perché lì è tutto deciso! Ma deciso cosa? Perché si tratta degli stessi che oggi dicono: Pisapia vi ha fregato, si è dimesso da leader! Ma allora non si era deciso niente, se i processi mutano fatti ed eventi! Lo ripeto: il vero salto di qualità sarà quando alla selva di opinioni personali (la cui produzione e diffusione è garantita dai social, e dunque, a essere rigorosi, anche da una escrescenza della globalizzazione neoliberale cosmopolito-tecnologica) si sostituirà un pensiero forte, collettivo, diffuso, un’analisi della fase, il bisogno di contestualizzare e non solo di introiettare, la forza dell’organizzazione, l’intento di fare davvero comunità (non solo dei sentimenti ma delle idee, soprattutto delle idee). Com’era prima, e come dovrebbe essere anche in futuro.