di Alfredo Morganti – 4 luglio 2017
Giuliano Pisapia è un uomo che non ha la statura del leader, almeno nel senso che si intende oggi: una sorta di Maschio Alfa che ci mette la faccia, che esibisce la propria ‘ira’, che fa da ombrello a tutti, che ha la ‘vocazione maggioritaria’ e rilascia dichiarazioni roboanti, tipo: se perdo lascio la politica o vado in Africa. No, Giuliano Pisapia non fa proprio dichiarazioni, o almeno le fa che nemmeno te ne accorgi. Sabato, a SS Apostoli, ha detto cose rilevanti, contro la cancellazione dell’articolo 18 ad esempio, pronunciando varie volte la parola ‘discontinuità’ riferita all’attuale gestione del PD, ma nessuno è sembrato essersene accorto davvero. Il berlusconismo-renzismo che è in noi ci spingeva, lì in piazza e sui social, a misurare invece il tasso di leaderismo di Pisapia, la sua oratoria, il suo piglio e la sua grinta, il tono e i decibel della sua voce, a vedere se la postura fosse quella giusta, se sapesse raccontare barzellette o no, se fosse telegenico, se bucasse il video, se organizzasse cene eleganti o convegni cool. Una cosa è certa, il panda Pisapia non vincerà un eventuale confronto televisivo, né sbranerà il suo avversario, tanto meno lo vedremo gridare più dell’altro, o interromperlo, o fare le ‘faccine’. No, Pisapia non è il leader che pretendono i media e che pretendiamo pure noi, orami imbevuti di medianicità e di personalizzazione a iosa della politica.
Perché parliamo di Pisapia, allora? Perché lo andiamo ad ascoltare e lo esaminiamo così severamente? Intanto perché lui si è proposto, direi pure coraggiosamente, mentre altri non lo hanno nemmeno fatto, forse temendo la sconfitta, o forse perché già sotto l’ala protettiva di Renzi. O, forse, si sono proposti dopo averlo già fatto in altre occasioni diverse da questa, e forse sul palco della Leopolda. Ne parliamo di Pisapia, l’ho detto, da esaminatori di casting, ritenendo peraltro che il renzismo non ci appartenga, e che sia tutto di là dal fosso. Dimentichiamo inoltre che Giuliano Pisapia è stato un uomo sempre addentro alle vicende della sinistra, prima aderendo a Democrazia Proletaria, poi come deputato eletto in Rifondazione Comunista, quindi Presidente della Commissione Giustizia; dimenticando che ha pure difeso in tribunale i militanti sindacali. Ed è stato, come tutti sanno, Sindaco di Milano dopo anni di dominio di centrodestra. Non è uomo di eloquio, ma gode di grandi capacità intellettuali e morali. Insomma, non è il leader che io per primo avrei desiderato, ma intanto prendo atto che attorno a lui, alla sua iniziativa, si sta dipanando un processo unitario che ha già richiamato in piazza, non fosse altro per capirci qualcosa di più!, migliaia di persone. Io, al posto di Renzi e dei suoi, non sottovaluterei questo processo, e credo proprio che loro non lo stiano sottovalutando. Vedrete, girerà attorno a Pisapia come un calabrone. Bravo Bersani, invece, bravo D’Alema, bravo Articolo 1 ad aver fatto la mossa giusta, quando si è deciso di ascoltare cosa avessero da dire Pisapia e il suo Campo progressista, proponendo un percorso comune sui contenuti e sul programma.
Questo vuol dire che Pisapia è il leader che cercavano e che è già stato investito in tale ruolo? No, vuol dire che bisognerebbe essere un po’ più concentrati sui contenuti e un po’ meno sulla forma. Vuol dire che i processi crescono pian piano, che le cose evolvono, che col tempo la nebbia si dirada e le cose sono più chiare. Diamoci tempo, discutiamo, si parli di contenuti, si parta dalla base della piramide, poi si vedrà per la punta. Sono anche certo che Pisapia per primo si ritenga uno strumento di ‘unificazione’, una leva dell’unità, e non la sua unica ragione – e non si percepisca come leader naturale dello schieramento largo che la sinistra deve costruire con le altre forze democratiche, per garantire in Parlamento una buona rappresentanza e condizionare così in positivo le vicende politiche della legislatura (come accade in tutte le democrazie rappresentative, e l’Italia è una democrazia rappresentativa, appunto). Quel che servirebbe è un po’ più di umiltà tra noi, una specie di rivoluzione copernicana rispetto al berlusconismo-renzismo che ha infarcito irrimediabilmente, in questo più che ventennio, anche la nostra cultura. E ci ha reso così bramosi di ‘vittoria’, così sensibili alle ‘personalità’, e meno alla loro cultura, alle loro proposte, alle loro idee, allo stile, all’etica personale, all’animo profondo. L’epoca non è ‘vincere’ sempre, comunque e a tutti i costi, perché sennò si è si è giudicati ‘sfigati’. L’epoca è divenire forti, crescere in potenza, per essere protagonisti in Parlamento e nel Paese, evitando che la destra (in tutte le sue forme) possa spadroneggiare e cancellare senza affanno diritti e tutele. Non è Pisapia il problema, anche se io avrei preferito al suo posto qualcosa di simile a Berlinguer. Il problema vero è la sinistra che giudica con un metro che non è più il suo. E quando si dice perdere l’egemonia, vuol dire proprio questo.