Due guerre e cent’anni di Europa

per stefano01

    di  Stefano Casarino  21 dicembre  2015

CENT’ANNI DALLA PRIMA E SETTANTA DALLA SECONDA

2015: Centenario della Prima Guerra Mondiale

e Settantesimo della Seconda

Il “secolo breve”, cioè l’intero Novecento – anche se per l’inventore di tale definizione, Eric Hobsbawn, l’arco temporale era limitato dal 1914 al 1991, periodo da lui definito “era dei grandi cataclismi”, dal sottotitolo del suo celebre saggio del 1994 – è stato funestato da ben due conflitti mondiali.

Due? Proprio nel testo su citato, Hobsbawn parla di un’unica guerra, durata trentuno anni. Difatti così scrive: Senza la guerra non si capisce il secolo breve, un secolo segnato dalle vicende belliche, nella quale la vita e il pensiero sono stati scanditi dalla guerra mondiale, anche quando i cannoni tacevano e le bombe non esplodevano. La sua storia, e più specificatamente la storia della sua età iniziale di crollo e di catastrofe, deve cominciare con i trentun anni di guerra mondiale.

Tesi interessante, materia di dibattito tra gli storici.

Sia come sia, quest’anno il 2015 è stato un doppio anniversario: cent’anni dalla Prima e settanta dalla Seconda Guerra Mondiale.

Un’occasione importante per riflettere e condividere le riflessioni soprattutto coi giovani, con chi della guerra fortunatamente non ha mai fatto conoscenza, e particolarmente in questi tempi, straziati da tremendi atti di terrorismo.

Più di dieci milioni di morti in guerra il bilancio del primo conflitto, più di sessanta quelli del secondo: e in mezzo, per non dimenticare nulla, altri conflitti e un’epidemia, “la spagnola” – il virus fu portato in Europa dalle truppe statunitensi che dall’aprile del 1917 erano giunte in Francia – che in soli due anni, tra il 1918 e il 1920 uccise circa cinquanta milioni di persone: le guerre uccidono prima, durante e dopo il loro svolgimento, questo ci insegna la storia e sarebbe bene non dimenticarsene.

La Prima fu definita “inutile strage” da papa Benedetto XV nella Lettera ai capi dei popoli belligeranti del 1 agosto 1917, fu chiamata la “Grande Guerra”, iniziò come guerra lampo e si trasformò subito in guerra di posizione, con trincee, filo spinato e assalti alla baionette; la Seconda non gode di nessun aggettivo che la qualifichi, per l’Italia iniziò, come l’altra, un anno dopo rispetto agli altri Stati belligeranti, non coinvolse soltanto i soldati al fronte, ma le intere popolazioni, si svolse con bombardamenti a tappeto e assunse in molti luoghi il carattere di una guerra civile.

Causa scatenante della prima furono la decadenza dei Grandi Imperi e l’insorgere dei nazionalismi (scrive Emilio Gentile che al termine della guerra dalla mappa geopolitica erano stati cancellati tre imperi secolari multinazionali: l’impero asburgico, l’impero russo e l’impero turco. Quattro monarchie erano state abbattute per sempre: in Germania, in Austria, in Russia e in Turchia. In Europa si erano moltiplicati gli Stati e le repubbliche); la seconda deflagrò a causa dei totalitarismi e di folli ideologie razziste, totalitarie e antidemocratiche.

Noi Europei di oggi – nipoti, figli, discendenti comunque di quelle tragedie –abbiamo il dovere del ricordo e della trasmissione degli insegnamenti derivati da ciò: che nulla è più insensato ed “inutile” della guerra, che qualunque guerra è “assassina del mondo”, utilizzando l’espressione impiegata da Roberto Piumini nella sua “Ballata della Grande Guerra”, scritta esattamente un anno fa, il 3 novembre 2014.

E soprattutto di questi tempi dobbiamo meditare su quanto la cattiva retorica, l’uso disonesto delle parole abbia eccitato e continui ad eccitare irrazionalmente gli animi, determinando conseguenze incalcolabili ed irrimediabili.

Agli inizi del Novecento, l’ Écho de Paris del  27 dicembre 1914 fomentava l’odio contro i Tedeschi in questo modo: I tedeschi sono più feroci dei topi di fogna. Non bisogna salire troppo in alto nella fauna. Sono come loro voraci, feroci, pullulanti. Per salvarci dai loro attacchi si impone un radicale sistema di sterminio; poco più di vent’anni dopo in Germania e in molte altri parti d’Europa era tutto un pullulare di slogan antigiudaici, del tipo: “Bastardi Ebrei”; in tempi molto più vicini a noi un giornale italiano, dopo i fatti di Parigi,  ha intitolato “Bastardi islamici”.

È sempre la storia ad insegnarci che da questa retorica dell’odio all’assoluto disprezzo della vita umana il passo è brevissimo.

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Nel primo conflitto mondiale si distinse tristemente il Generale Luigi Cadorna che ripristinò la pratica della decimazione e inventò il concetto di “attacco brillante”: Per attacco brillante si calcola quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all’attacco un numero di uomini superiore: qualcuno giungerà alla mitragliatrice): riabilitato da Mussolini che lo nominò Maresciallo, oggi il suo nome viene tolto da molte vie e piazze di città italiane (la prima è stata Udine nel 2011).

Nella seconda guerra mondiale il perverso dogma della superiorità della razza ariana legittimò la Shoah e nell’Italia occupata dai nazisti si applicò spesso il principio di “dieci italiani per un tedesco”, principio “rimbalzato” ed amplificato nelle (dimenticate?) guerre nell’ex-Jugoslavia degli anni Novanta: Per ogni serbo, cento musulmani uccisi. Da lì ecco, come ovvia conseguenza, il massacro di Srebrenica di musulmani bosniaci, avvenuto esattamente vent’anni fa, nel 1995, e ancora aspettiamo che venga definito genocidio.

Oggi gli slogan sono da una parte: “è bello versare il sangue degli infedeli” (video jihaista del 2014), dall’altra: “morte agli islamici” (basta girare sul web per incontrarli).

Basta, per favore, con parole dettate dalla più assoluta e stupida ignoranza: contro questa sì che è lecito ogni forma di odio e di lotta! E la prima lotta potrebbe, dovrebbe essere quella di tornare a studiare bene, con cura ed umiltà, la storia: lei è davvero un’ottima maestra, siamo noi che troppo spesso siamo alunni distratti ed incapaci di fare tesoro delle sue dolorose lezioni.

shoa

   

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