Fonte: La Stampa
Draghi, l’Europa disunita e la sponda di Washington
Si muovono i pezzi da novanta in vista delle prossime Europee e mossa di grande significato è certo quella di Macron nel “candidare” di fatto Mario Draghi a capo della futura Commissione. Essa può anche essere letta in chiave tattica, ma certo solleva problemi e prospettive di valore strategico per l’intero Occidente, oggi più che mai soltanto “americano”. È anzitutto evidente che se le forze politiche che attualmente governano l’Unione europea si presentassero unite intorno al nome di Draghi alle prossime elezioni, le loro chance di sopravvivenza aumenterebbero straordinariamente. Anche per il “turbamento” che tale nome provocherebbe in ampi settori del fronte avversario, frantumandolo in qualche caso, come senz’altro avverrebbe in Italia.
Non è infatti sempre stato così, anzi. La geo-politica americana non ha mai favorito alcun processo tendente a un’Europa politicamente unita. Tantomeno trattandosi di un’ Europa il cui “federatore”, fino alle ultime “emergenze”, non avrebbe potuto essere che la Germania. La guerra in Ucraina ha messo fuori gioco questa, già allora remota, possibilità. Si può forse così aprire un’altra strada, che garantisca maggiormente l’egemonia atlantica sulla costruzione unitaria europea, senza però impedire o frenare ulteriormente quest’ultima. Una strada di autonomia e quindi di difesa dei propri specifici interessi, che non faccia sorgere alcun dubbio sulla fedeltà europea alla strategia geo-politica globale degli Stati Uniti. Se questa è l’idea che guida oggi il Grande Gioco, Draghi è l’uomo giusto.
Quale Europa? Qui il Draghi politico rimane da scoprire. Le sue esperienze si sono svolte tutte all’interno di organismi centralistico-burocratici per loro natura – all’interno di esecutivi per antonomasia. Che oggi egli parli di Stato europeo la dice lunga – e preoccupa. Il modello della sovranità politica continua a essere statolatrico. Quanto di più lontano si possa immaginare non solo dalla storia e dalla cultura d’ Europa, ma anche dalle possibilità reali dell’azione politica.
L’Europa può concepirsi soltanto come federazione. Ma come? Una confederazione di Stati sovrani, quand’anche eleggessero insieme un Presidente, vivrebbe sotto la costante minaccia di secessioni e priverebbe di qualsiasi “scettro” qualsiasi esecutivo. A meno non possedesse un fondamento mitico-etico così forte, così “organico” da superare ogni conflitto – fondamento che non sussiste nella “famiglia” europea. All’opposto, un federalismo inteso come semplice decentramento di funzioni sostanzialmente amministrative non supererebbe quel “dogma nefasto della sovranità assoluta”, deprecato da Luigi Einaudi, e aggraverebbe nazionalismi e sovranismi.
Draghi vuol essere il “federatore” d’Europa? Si accinga a lavorare intorno all’idea di federalismo e indichi la sua. E non parli, per carità, di Stato o di Stati Uniti d’Europa, e meno che meno di decentramento. Ideologie astratte e pragmatismi amministrativi costituiscono i due pericoli complementari e opposti. In questo quadro, l’élite che lo candida dovrà anzitutto pronunciarsi sulle riforme da compiere nell’assetto complessivo dell’Unione.
E qui, se si vorrà fare sul serio, si aprirà la lotta con l’Europa degli Stati (genitivo possessivo: Europa nelle mani dei vari staterelli): dal superamento della regola dell’unanimità nel Consiglio, ai poteri della Commissione e del Parlamento, all’unità nella politica estera e sul grande tema dell’immigrazione. Potranno cultura e politica europee produrre un tale contraccolpo, dopo anni di assenza di ogni autonomia sulla dimensione geo-politica e di processi decisionali ridotti alla pura dimensione economico-finanziaria? Il nome di Draghi indica la volontà almeno di provarci? E noi proviamo almeno ad augurarcelo.