DRAGHI BOLLINATO DAI “POTERI FORTI”

per mafalda conti
Autore originale del testo: Lanfranco Turci
DRAGHI BOLLINATO DAI “POTERI FORTI”
(Ho messo insieme questa riflessione che mi conferma che noi siamo più bravi a parlare degli altri che di noi stessi)
La borghesia che conta ha messo definitivamente la sua bollinatura su Draghi con l’editoriale del Corriere di oggi. Il direttore del giornale Carlo Verdelli così riassume le caratteristiche dello stile di DRAGHI che già egli vede come avvio di una nuova epoca : “A caratterizzare quest’epoca, oltre a una capacità di decisione-azione già diventata metodo e marchio, c’è anche una invisibile ma percepibile intercapedine tra esecutivo vero e proprio e la parte abbondante del Parlamento che lo sostiene”. Da qui fa discendere una originale definizione dell’attuale governo, che egli non vede né come un governo di unità nazionale, né come un governo di scopo, bensì come “governo di affidamento personale”. Non a caso Ernesto Galli Della Loggia aveva evocato nei giorni scorsi la figura di De Gaulle.
Ora senza voler scomodare figure così imponenti, non c’è dubbio che la determinazione con cui Draghi ha proceduto sul PNRR, sul green pass e su altri capitoli, la condizione di irrilevanza in cui ha messo i partiti che lo sostengono, a cominciare da Salvini, la “intercapedine” robusta costruita fra Parlamento e Governo, fino a far parlare di semipresidenzialismo, fanno giustizia di tutte le chiacchiere sul tecnico prestato alla politica. Draghi sta interpretando con grande efficacia il ruolo che, se esistesse, avrebbe disegnato per lui il club dei poteri forti. Dunque il suo progetto non è quello di un banchiere Cincinnato, bensì quello di finale ristrutturatore in senso elitario ed euro-atlantico del sistema politico italiano. Dopo la sbornia populista tornare sulla strada della stabilità. con partiti sempre più ridotti a ologrammi televisivi e una direzione sempre più affidata a tecnocrazie italiane ed europee, espressioni dei poteri economici e mediatici.
Ma come può proseguire su questo cammino, che richiede tempi più lunghi delle scadenze del ’21 e del ’23? Se fosse nel regime francese la tentazione più naturale sarebbe quella di fare una operazione à la Macron. Ma costruire un proprio partito nel sistema italiano, lo abbiamo già visto con Monti, non è un’operazione facile. E non è nelle sue corde. Il Corriere di oggi fa sua espressamente la richiesta che Mattarella tenga il posto del PdR in caldo per qualche anno, per passarlo successivamente a Draghi, dandogli il tempo di consolidare il suo progetto. Anche un osservatore intelligente e conservatore come Wolfgang Munchau faceva notare nei giorni scorsi che non basterebbe neppure arrivare al ’23 per dare certezza al progetto, soprattutto per l’attuazione delle riforme neoliberali ulteriormente richieste dalla UE. Ma in un modo o nell’altro chi coltiva quel disegno dovrà passare per le elezioni politiche al più tardi nel ’23.
Chi l’ha detto che saranno per forza basate su uno scontro bipolare, centro-destra contro centro-sinistra? In che cosa il PD con un segretario che si definisce il più fedele seguace di Draghi, si differenzierebbe dal suo progetto? Per lo Ius Soli o per il Disegno di legge Zan? Suvvia non scherziamo!
E perché le forze della borghesia che conta dovrebbero incoraggiare un asse di destra Meloni-Salvini malvisto in Europa?
E perché non pensare che Draghi arrivato al ’23 in forza di questo “affidamento personale”, possa accettare di essere indicato come il leader di una grande coalizione di centro-centro-sinistra che vada dal Pd e dai 5stelle di Conte fino a pezzi della Lega desalvinizzata?
In fin dei conti questo sarebbe il più logico sviluppo del Governo Draghi e l’espressione più vicina agli attuali equilibri europei, forse anche a quelli che usciranno dalle prossime elezioni tedesche.
P.S. Inutile aggiungere che con questo scenario la sinistra non avrebbe nulla a che fare. Forse però sarebbe indotta a ripensarsi nei termini di un soggetto popolare alternativo a questa terza repubblica. E magari capace di interpretare le tensioni sociali che il riassetto post pandemia sta già facendo emergere. GKN docet!
P.S.2: mi è stato fatto notare giustamente che Carlo Verdelli non è il direttore del Corriere. Questo riduce il valore simbolico che io ho attribuito al suo editoriale. Ma la linea del Corriere e degli ambienti che rappresenta resta comunque quella che ho riassunto nel post.
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