Com’è possibile una vita in comunità se ognuno vuole realizzare la sua individualità? Il tema è sempre attuale in momenti in cui si compie l’anniversario della guerra e si moltiplicano schieramenti, anatemi e censure. Si crede che l’individualita’ sia possibile solo se i membri della comunità seguono un codice comune di comportamento e di idee. Ma la vita reale lo smentisce continuamente. Enigma insolubile? Di quali codici parliamo? Ha senso affidarsi a regole tacite che supponiamo solide e condivise, oppure l’individulita’ esula da tali strettoie sentendole come barriere?
L’individulita si basa invero su tutt’altro, con la sua positiva tensione che spinge a interpretare il proprio destino e compito di vita. Su cosa basarsi allora? Lo strumento a disposizione è il pensare depurato. Delle tre attività dell’anima il pensare è quella che conosciamo di più nella nostra coscienza da svegli. Ci sentiamo vivi nei pensieri. Il passo da compiere è sviluppare le potenzialità del pensare allontanandolo dal mondo delle percezioni per arrivare al sapere basato sull’intuizione. Questa la via maestra.
Va senza dire che il pensiero difettoso e atrofizzato ci limita nella vita, ci rende gregari e ci allontana dal realizzare la nostra individualità. Le potenzialità del pensare vanno quindi riconosciute e sviluppate. Ora, una vita in comunità si basa su azioni collettive e individuali. Motivi generali di azione possono essere di tenore egoistico miranti al massimo piacere o profitto, anche per ottenere una ricompensa o riconoscimento mentre si aspira al benessere altrui. Altri motivi possono basarsi su un contenuto autonomo, quando si fonda l’agire sulla base di norme precedenti e di principi morali. Questi principi possono regolare la vita e l’agire senza che ci si preoccupi dell’origine di tali norme. Laddove cioè la condivisione è data per scontata. In questi frequenti casi obbediamo a tali principi come a un comandamento. La eventuale giustificazione rimane a carico di chi esige obbedienza e a cui ci sottomettiamo ovvero capo di famiglia, Stato, clan, etnie, Chiesa, convenzioni sociali. Il principio esterno può anche divenire voce interiore che agisce come coscienza morale.
Si ha un progresso verso l’individualita’ quando non si esegue ciecamente una norma esterna o interna, ma si aspira a conoscere la ragione per la quale va fatto o no questo o quello. È il passaggio dalla morale autoritaria alla morale basata sulla comprensione di ciò a cui si aspira. Può essere la pace, il benessere sociale, il progresso culturale e spirituale. Magari insieme. Il principio supremo nasce dall”intuizione pura senza basarsi all’inizio sulle percezioni immediate, e solo posteriormente relazionando con la vita. Quello che va fatto non si deduce dalla vita trascorsa né tanto meno da abitudini mentali ma in base a nuove domande rivolte al cuore e a nuove risposte. Ciò che conta è l’intuizione concettuale dove brilla come motivo il contenuto ideale. Il prerequisito di questo agire è quindi la capacità di fare le domande giuste e di avere intuizioni morali. Chi non si prepara a godere di questa facoltà non sarà capace di agire di forma veramente individuale e libera da abitudini.
A chi rivolgere la domanda? È motivo di un nuovo prossimo articolo.