Dal fattore K al fattore S. Una riflessione notturna sul tema delle riforme elettorali.
Stamane mi son destato storto e il pensiero è corso alla mia amata Westheimer Road, una lunga via che si dirama ad ovest di Houston fino al mondo piatto esteso oltre la metropoli. E sulla quale ebbi modo di soggiornare per un certo periodo. Grandi ricchi, classi medie, marginali e devianti. Un crogiuolo di razze segregate e locali d’ogni tipo. Ristoranti per tutti i generi, librerie e night. Residences, casupole, grandi ville, parchi e molto desolato maggese urbano. Centri commerciali, chiese, puttane, spacciatori, cliniche, gommisti, venditori di auto usate e compratori d’oro. Un caos, una metafora vitale. Tenuto insieme da una strada a sei corsie interrotta ogni quarto di miglia da un semaforo. E come conseguenza mi è venuto da pensare al sistema elettorale e al modello Westminster. Che con Westheimer non centra nulla, se non per il fatto che la percezione del caos inclina come rimedio al pensiero astratto, se non schematico.
Ordunque. Il sistema proporzionale era consustanziale all’impianto costituzionale della Repubblica e alla forma parlamentare. Tanto è vero che alla Costituente si rasentò l’eventualità di metterlo in Costituzione. Il sistema ha funzionato egregiamente sino a che è si è avvalso di due condizioni strutturali. Partiti ideologicamente assettati e plasmati come nomenclatura di interessi sociali, ovvero orientati all’integrazione. Requisito della stabilità della rappresentanza. In secondo luogo il cleavage internazionale, cioè la divisione in blocchi geopolitici contrapposti, al riparo della quale era definita a priori la questione della governabilità. Il ‘fattore k’, cioè, ex negativo, il requisito della stabilità del governo. Da una parte i partiti abilitati a governare coalizzati attorno alla fedeltà atlantica. Dall’altra parte una opposizione inibita a governare per il vincolo posto dalle alleanze internazionali.
Tuttavia, mentre la frattura internazionale imponeva la conventio ad excludendum, il carattere parlamentare-proporzionale del sistema garantiva necessari margini di flessibilità. Pur esclusa dal governo al centro l’opposizione poteva influire sull’agenda politica e assumere funzioni di governo nelle periferie locali. L’economia aveva un carattere ‘misto’ e malgrado l’asprezza dello scontro ideologico e sociale l’esistenza di un ‘arco costituzionale’ permetteva di partecipare alla redistribuzione delle risorse. Era il cosiddetto ‘consociativismo’ che irrorava molti aspetti della governance.
I critici del sistrema proporzionale, ovvero i sostenitori del modello maggioritario hanno sempre attaccato il carattere ‘consensuale’ e intermediario del sistema proporzionale, giudicandolo foriero di trasformismo e inquinamento morale, per privilegiare l’alternanza di governo garantita dai sistemi maggioritari. Gli unici in grado di consegnare lo ‘scettro’ della governabilità nelle mani dei cittadini. Ma anche tali sistemi hanno funzionato sotto particolari condizioni: basse fratture ideologico-culturali e, soprattutto, una condivisa appartenenza al campo ‘occidentale’, cioè l’assenza di una realtà politica interna solcata dal cleavage internazionale. Non per caso il passaggio al maggioritario in Italia è avvenuto dopo l’89. Se il bipolarismo coalizionale all’italiana si è retto sull’attivazione berlusconiana del residuo ideologico dell’anticomunismo nondimeno è stato reso possibile dalla rimozione della frattura internazionale. Inoltre le diversità dell’insediamento territoriale dei partiti ereditate dalla storia proporzionale tenevano al riparo da distorsioni ipermaggioritarie. Il maggioritario è comunque entrato in tensione con l’ordinamento, a maggior ragione quando il sistema premiale del ‘porcellum’ ha sostituito il sistema uninominale del ‘mattarellum’, Entrambi i poli hanno tentato, a fasi alterne e secondo la convenienza, di dar corpo a riforme di sistema orientate al rafforzamento dell’esecutivo. Di fatto le mutevoli leggi elettorali si sono risolte in tentativi di cambiare la forma costituzionale del sistema politico. Fortunatamente senza successo, sino all’ultima prova della riforma Renzi.
Oggi la riforma imposta dal M5S con la riduzione del numero dei parlamentari impone una revisione del disgraziatissimo ‘rosatellum’ (escogitato dal Pd renziano in combutta con la destra, per marginalizzare i 5S e impedire il sorgere di un concorrente a sinistra). Coerenza vorrebbe il ripristino del proporzionale per evitare gli effetti perversi che si avrebbero sulla rappresentanza. Resterebbe comunque in piedi una contraddizione: garantire il contenuto rigido della Costituzione con una legge ordinaria in sé transeunte ed esposta ai rovesci dei rapporti politici. A parte questo delle due condizioni che sorreggevano il proporzionale una è venuta meno: l’esistenza di partiti strutturati ideologicamente e socialmente radicati. Cosa che vale soprattutto per le formazioni che si distinguono dalla destra: un coacervo di partiti assai diversi.
E’ però vero che si è ripristinato sorprendentemente un nuovo cleavage riferito alla politica estera. Quello fra europeismo e sovranismo nazionalista. Fedeltà/ostilità all’Europa. La dinamica politica più recente è tutta segnata da questo passaggio. La legislatura attuale si è aperta all’insegna di una coalizione a base parlamentare sostenuta dal populismo anti-élite ed è poi evoluta drasticamente, dopo la rottura del ‘contratto’, in una soluzione parlamentare che ha il proprio fuoco nella dislocazione europea. Si sono invertite le parti. Oggi è la destra a porsi come partito anti-sistema e c’è da pensare che questa frattura perdurerà nel tempo. A questo proposito, proprio come nella prima fase repubblicana, il sistema proporzionale è sicuramente il meglio indicato per gestire la scissura. La stessa eterogeneità delle forze pro-europa le rende difficilmente componibili in uno schema rigido e aprioristico di coalizione. Essenziale diventa la mediazione parlamentare lasciando libero il gioco della rappresentanza. Non per caso è la destra sovranista che si fa paladina del maggioritario uninominale, anche in ragione delle forti basi territoriali che la garantiscono. Il ritorno alla vocazione ‘maggioritaria’ da parte del Pd sarebbe un errore esiziale. Aprirebbe tensioni ancora più violente nella forma politica repubblicana e non bastasse la stupidità del rosatellum sarebbe l’ennesimo gratuito favore servito a una destra più pericolosa che mai. Del resto, come l’esperienza dimostra, il taccheggio dei piccoli partiti personali e altre ciurme e congreghe di politicanti agirebbe anche con una legge uninominale. Solo ex-ante anzichè ex-post. E i trasformismi e i cambi di casacca sono immanenti a qualsivoglia sistema di selezione della rappresentanza. Non si può immaginare una democrazia governante senza i faux frais della mediazione e delle umane impurità.