Dopo Genova, la sinistra

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alessandro Gilioli
Fonte: L'Espresso

di Alessandro Gilioli – 17 agosto 2018

A me sembra che – depositata la polvere della tragedia e possibilmente anche quella dello scazzo partitico – questa debba essere un’occasione di profonda riflessione e di totale cambiamento.

E ho detto debba, non possa.

Questa riflessione, a cui la sinistra è oggi obbligata, non può che partire dalle parole di Nadia Urbinati, su Repubblica: «Quello di Genova è l’esito di una politica radicale di privatizzazioni del patrimonio pubblico che dalla fine del secolo scorso ha segnato tutti i governi che si sono succeduti, al di là delle sigle e delle maggioranze». Una politica «più radicale negli esiti di quel che è avvenuto in altri paesi, perfino quelli che come la Gran Bretagna hanno guidato la strada alla privatizzazione dello stato sociale».

La dico altrimenti, probabilmente andando oltre Urbinati: in Italia la sinistra, dopo la caduta del Muro di Berlino e dagli anni Novanta, non solo ha sposato la linea delle privatizzazioni ma ha anche iniziato a flirtare più o meno apertamente con grossi gruppi imprenditoriali e bancari, così diventando parte integrante di una rete politica-economica di potere.

Questo è avvenuto in alcuni casi nel modo peggiore, cioè (anche) attraverso scambi di favori tra gruppi privati e partiti.

In altri casi, è avvenuto invece in buona fede, in base alla convinzione che in un’economia di mercato il rapporto stretto tra politica e imprenditoria – l’intreccio tra pubblico e privato – potesse consentire nel contempo vantaggi al primo e profitti al secondo.

Comunque sia, la sinistra ha rinunciato al suo modello fondante – lo Stato come regolatore esterno, in condizione di consentire, obbligare o vietare nell’interesse sociale – e ha sposato un modello diverso: i poteri dello Stato come collaboratori e referenti degli interessi privati.

Che questo passaggio sia avvenuto per complicità e guadagno di partito oppure per reale convinzione che fosse la scelta politica migliore (l’unica scelta, “finita la Storia”) è un dettaglio certo rilevante per quanto riguarda il giudizio etico sulle persone che l’hanno compiuto, ma tutto sommato insignificante per i suoi esiti politici: alla fine, la sinistra di governo è in ogni caso diventata un pezzo dei poteri economici privati, anziché un suo contraltare, un suo inflessibile regolatore esterno.

Quello che è accaduto alla vigilia di Ferragosto, cito ancora Urbinati, «impone di rivedere il rapporto tra pubblico e privato, per restituire al pubblico una funzione direttiva e di controllo diretto».

Oddio: personalmente avrei preferito che a questa svolta si fosse arrivati senza cinquanta morti, ma dopo Genova sarebbe politicamente delittuoso non arrivarci.

Così come sarebbe politicamente delittuoso non rimettere in discussione tutto l’approccio con cui il centrosinistra – sinistra compresa – si è posto in questi ultimi due o tre decenni rispetto alla questione del rapporto tra politica e imprenditoria, tra lo Stato (che di mestiere deve fare l’interesse della collettività) e i vertici delle aziende e delle banche – che di mestiere devono fare gli interessi dei loro azionisti.

E no, non è detto che gli interessi della collettività e quelli degli azionisti di una corporation coincidano sempre. A volte sì, a volte no: e lo Stato è lì appunto per decidere quando sì e quando no.

A questo proposito, c’è un articolo della Costituzione che parla abbastanza chiaro: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

A me sembra lunare (lunare) che la sinistra in Italia si sia dimenticata di fatto di questo articolo.

È, questa, la sinistra che non c’è più. Nel doppio senso del termine: che non è di sinistra e che così va verso l’estinzione.

O lo capisce al più presto – trasformandosi radicalmente rispetto al suo recente passato – o questa sparizione sarà rapida e inevitabile.

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