Donne nel Sessantotto

per Gabriella
Autore originale del testo: Francesca Rigotti
Fonte: doppiozero
Url fonte: http://www.doppiozero.com/materiali/donne-nel-sessantotto

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DONNE NEL SESSANTOTTO – di AA.VV. – ed. IL MULINO

recensione di Francesca Rigotti

I colori del Sessantotto

Se la foto sulla copertina di questo libro (AA. VV., Donne nel Sessantotto, il Mulino, Bologna 2018, pp. 292) fosse a colori, si coglierebbe subito una caratteristica dell’abbigliamento sessantottino o appena successivo; che era per tutti, soprattutto per ragazze e ragazzi, colorato e variopinto, altro che le poche sfumature di nero e grigio che ci si mette addosso ora, neonati compresi. Le ragazze della foto portano camicette a fiori, a quadretti, in tinta unita, giacche, giacchette e pantaloni di cui si possono immaginare i vari colori. I loro corpi non sono più inamidati nei terribili «completini», composti da golfino a maniche corte e girocollo sotto, sopra un cardigan coi bottoncini, indossati su gonna immancabilmente a piegoline, insomma il look di una ragazza che frequentava un liceo classico milanese a 16-17 anni. Dopo il ’68 anche questo cambia, perché il ’68 fu anche la libertà di vestirsi in maniera spontanea, comoda, fantasiosa, colorata e meno rigidamente divisa per sessi (lo insegna qui il saggio di Paola Cioni su Mariuccia Mandelli detta Krizia dal nome di personaggio di un dialogo socratico). Fu la possibilità per noi adolescenti di allora di mettere pantaloni non soltanto in vacanza o per fare sport ma anche a scuola, indossandoli sotto il funereo grembiule nero che toccava esclusivamente alle femmine. Discriminazione contro la quale avevamo iniziato a protestare già al ginnasio, al canto di inni protofemministi sulle musiche del film Mary Poppins (sic!). Nel maggio del ’68 la mia compagna di banco Silvia e io ci accordammo per andare a scuola coi pantaloni. La cosa non passò inosservata e poco dopo il nostro ingresso nell’austero edificio del Ginnasio-Liceo Alessandro Manzoni di via Orazio a Milano venimmo convocate in presidenza. (Pare che anche Matteo Salvini abbia frequentato quella scuola, ma forse era assente quando venne spiegata la storia dei Meli o la posizione di Trasimaco). Il preside, che non era un feroce tiranno, ci fece una bella ramanzina raccomandandoci di tornare vestite in maniera appropriata. Col risultato che dal giorno dopo si videro sempre più ragazze coi pantaloni a scuola. Nella foto di classe del ’68-’69 le ragazze portano ancora la gonna ma già qualche grembiule nero è assente. Nel ’69-’70 la metamorfosi è compiuta e le palandrane nere delle femmine sono scomparse; alcune portano i pantaloni e siedono per terra a gambe incrociate (per es. io, accovacciata sotto l’adorata prof. di Storia e filosofia con i libri e il registro in mano).

Passaggio d’epoca

Insomma il ’68 fu un passaggio d’epoca ANCHE in questo, oltre che in molte altre cose sicuramente più serie e importanti, per tutti e anche per le donne, e chi volesse capire tanto in breve tempo sulla stagione del ’68 e sul suo significato per le donne legga la bellissima introduzione al libro scritta da Maria Serena Palieri: «Ce n’est qu’un début. E le donne hanno fatto il resto». E continui poi a leggere i sedici capitoli successivi, dedicati ognuno a una donna che in quegli anni c’era e che li rappresentò in maniera emblematica, magari uno o due per sera, seguendo il consiglio di una delle autrici, Eliana Di Caro, che qui presenta Rossana Rossanda anch’ella allieva del Manzoni. Sono i capitoli scritti dalle donne del gruppo Controparola, che da diversi anni porta avanti la biografia del paese Italia ricordando che non è soltanto di e per uomini, cosa che le celebrazioni tendono a dimenticare.

Dopo Donne del Risorgimento, Donne nella Grande Guerra e Donne della Repubblica, Controparola presenta le Donne nel Sessantotto. Ecco l’elenco completo affinché non uno di questi nomi vada perduto, né i nomi delle protagoniste né quelli delle loro biografe: Franca Viola di Claudia Galimberti; Elena Gianini Belotti di Cristiana di San Marzano; Amelia Rosselli di Mirella Serri; Carla Accardi di Linda Laura Sabbadini; Mira Furlani di Francesca Sancin; Carla Lonzi di Chiara Valentini; Letizia Battaglia di Dacia Maraini; Giovanna Marini di Lia Levi; Rossana Rossanda di Eliana Di Caro; Margherita Cagol di Chiara Valentini; Annabella Miscuglio di Chiara Galimberti; Patty Pravo di Paola Cioni; Tina Lagostena Bassi di Cristiana di San Marzano; Perla Peragallo di Paola Gaglianone; Crazy Krizia di Paola Cioni; Emma Bonino, di Claudia Galimberti.

Alcuni di questi nomi di donne del e nel Sessantotto mi erano, allora e fino a prima di incontrarli in queste pagine, sconosciuti. Altri mi erano ben noti ai tempi, ma non li avrei mai associati a protagoniste del ’68. Penso a Patty Pravo: certo che conoscevamo La bambola o Ragazzo triste, ma non andavamo mica nelle discoteche a ballare, noi studentesse politicamente impegnate quali divenimmo dopo tante manifestazioni e occupazioni (ma le ragazze, di nuovo, non potevano rimanere a dormire a scuola, figurarsi: la vicenda di Franca Viola che si ribellò al suo stupratore e all’intero codice penale – spiega qui Claudia Galimberti – aveva sì scosso le coscienze ma fino a un certo punto). Frequentavamo invece riunioni politiche piene di fumo e di parole roboanti (come l’«agibilità politica» che bisognava «riempire di contenuti» affinché non rimanesse lì «come una pentola vuota»); e se sentivamo o facevamo musica, era quella di Joan Baez o di Giovanna Marini (di cui racconta Lia Levi); potrei ancora cantare I treni per Reggio Calabria ma la trovavo un po´ greve, preferivo i canti popolari tradizionali, magari il magnifico e struggente O Gorizia tu sei maledetta, o Sento il fischio del vapore, che si cantava la sera a casa di una delle autrici di questo libro, Chiara Valentini, in un gruppo di persone tra i venti e i trent’anni (quelli al di sopra di questa età erano già sospetti). Una sera poi ci si trasferì persino dalle parti di Brera a casa della mitica Elena Gianini Belotti, autrice del grandioso manifesto di liberazione femminile Dalla parte delle bambine (di cui scrive qui Cristiana di San Marzano), e c’era anche Camilla Cederna, giornalista dell’Espresso e critica del sistema. Ma siamo già nel 1973, eravamo cresciute, io andavo all’università e i miei ricordi di politica militante ma silente (a parlare erano solo i ragazzi, leader e leaderini) si mischiano con quelli delle prime sedute di autocoscienza e della partecipazione alle manifestazioni di donne, quelle sì divertenti, con gli zoccoli e le gonne lunghe a gridare: «Tremate tremate le streghe son tornate!».

Dall’esterno dell’interno

Torno al libro, scusandomi del fatto che, se fatico a mantenere lo sguardo dall’esterno, è perché ero all’interno anche se su un bordo quasi esterno. Cerco di tornarci dall’interno, quando frequentavo Filosofia alla Statale di Milano e c’erano i gruppi e anche il Movimento Studentesco di Mario Capanna che sentivo più consono, e studiavo Hegel facendo esami con Mario Dal Pra (ottimo docente) e così venni attratta da un titolo dissacrante, Sputiamo su Hegel, un libretto verde che lessi e capii ben poco, mentre non capii per nulla La donna clitoridea e la donna vaginale. Invece leggendo in questo libro il pezzo di Chiara Valentini su Carla Lonzi si capisce tutto e poi nel frattempo ho studiato e ho vissuto e tante cose mi si sono chiarite.

Ma il mio sessantotto, il ’68 di una liceale col completino passata a indossare i pantaloni coincide proprio con la sovrapposizione di piani così acutamente percepita e esposta in questo libro: l’impegno a scuola, in prima persona, contro l’erudizione e il nozionismo e l’autoritarismo; l’eco avvertita della lotta politica degli operai, l’autunno caldo, il sindacato e i volantinaggi, e quella ragazza coi capelli lunghi, biondi e lisci – che invidia – che apostofava al megafono gli operai e poi era Susanna Camusso, scoprii, e poi io vado all’estero e tutto diventa lontano e sfocato; ma prima faccio in tempo a vivere la lotta civile per il divorzio e l’aborto – e il nome è quello di Emma Bonino qui nelle parole di Claudia Galimberti – e le manifestazioni di giubilo dopo quelle vittorie, che ci sembrava di cambiare il mondo e di scrivere la storia, e lo facevamo davvero, mentre il femminismo, in cui vedevi che la piccola battaglia che combattevi in casa rifiutandoti di sparecchiare la tavola se non l’avesse fatto anche tuo fratello, diventava un’azione collettiva, un’azione e una speranza generalizzate.

Stavamo facendo la storia sì. Una storia di richiesta di parità e democrazia reale, ma anche di liberazione dall’imperialismo statunitense e dall’oppressione sovietica. Ricordo bene, siamo nel gennaio del 1969, seconda liceo classico, la notizia che arrivò fino in classe del ragazzo ceco che si era bruciato per protesta contro il soffocamento della Primavera di Praga, Jan Palach. Per lui scrissi una canzone, l’unica della mia vita.

*(P. Cioni, E. Di Caro, P. Gaglianone, C. Galimberti, L. Levi, D. Maraini, M.S. Palieri, L.L. Sabbadini; F. Sancin, C. di San Marzano, M. Serri, C. Visentini, Donne nel Sessantotto, il Mulino, Bologna 2018, pp. 292)



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