L’ articolo che state per leggere è stato scritto da Neviana Canzolari, attivista femminista e donna transessuale. La transessualità è una sfida che destabilizza i pregiudizi, le convinzioni o le certezze che abbiamo sul corpo, il sesso e il genere. In ogni caso, il modo in cui le donne trans affrontano questa sfida è lo stesso di chiunque altro. Cioè, hanno tutti i tipi di opinioni su cosa significhi essere una donna, su ciò che renda una persona una donna, su come sia stato costruito il genere. Ci sono donne trans che credono che la transessualità abbia a che fare con la biologia e ve ne sono altre che non lo pensano, che pensano ben altro. Ci sono alcune che mettono in discussione il genere, come molte femministe, e altre che riportano posizioni essenzialiste sul genere. Mi sembra anche importante non pensare di poter richiedere alle persone di sfidare i pregiudizi di genere nel modo in cui noi stessi non siamo in grado di farlo. Non sono obbligati a farlo. Se vi sono donne trans che fanno attivismo riaffermando il loro genere, hanno lo stesso diritto di farlo come chiunque altro.
Le femministe combattono il genere, sì, ma lo riaffermiamo anche ogni giorno con il nostro comportamento, il nostro aspetto e anche la nostra stessa soggettività, inevitabilmente attraversati da esso. Sfidare il genere è una scelta, non può essere un obbligo per nessuno.
C’è una specifica lotta trans, sì: essere considerati esseri umani con pari dignità e diritti, e poter condurre una vita libera dalla violenza. Questa è la base della loro lotta in quanto è la base di quasi tutte le lotte di emancipazione. Non tutte le lotte trans riguardano tutte le femministe allo stesso modo, così come il femminismo mantiene anche differenze importanti su alcune questioni. Come non tutte le femministe, ci sentiamo sfidate allo stesso modo da tutto ciò che è incluso sotto il termine di “lotta femminista”. Non sono d’accordo con molti approcci dei movimenti trans. Ma mi sembra ovvio che c’è una parte di quella lotta trans che è strettamente correlata al femminismo, nella misura in cui ha a che fare con cose che ci riguardano particolarmente, come la decostruzione del genere, le problematiche rigardo alla differenza sessuale, le contraddizioni riguardo al corpo-sessuato, la violenza patriarcale, la lotta alla tratta, etc. Ci sono molte trans femministe e attive in entrambe le lotte. Ricordiamolo, la lotta delle lesbiche non è sempre stata la lotta di tutte le femministe. Eppure le lesbiche hanno dato grandi ed ineguagliabili contributi al femminimo.
Maddalena Celano
DONNA. E POI?
di Neviana Calzolari
In ogni essere vivente risiede una spinta naturale al cambiamento generativo di sé, all’evoluzione che porta allo sviluppo e alla morte.
Vivere in sintonia con la propria physis significa pertanto, innanzitutto, proiettarsi non in un ricordo nostalgico del passato, non in un appiattimento sul presente, ma in una prospettiva che guarda al futuro.
Un femminismo che si propone di migliorare le condizioni di vita delle donne, il loro benessere, non può esimersi dal fare riferimento a questo concetto, ma purtroppo il movimento femminista nel suo complesso sembra avere smarrito questa tensione generativa di sé verso il futuro.
Il femminismo di oggi è prevalentemente stagnante in un appiattimento sul presente, incapace di darsi una propria agenda di priorità che non siano, anche solo per semplice contrapposizione simmetrica, quelle dettate da mass-media in mano a un’oligarchia di potere economico-finanziario nella più assoluta scomparsa della politica come dimensione autonoma rispetto alle lobbies.
Così come gran parte del femminismo si produce sui social con narrazioni ossessive sempre appiattite sull’evento del momento, senza mai creare una storia sociale con un suo spessore e una sua prospettiva.
I social e i mass media sono la tomba di un pensiero strategico di cambiamento rivolto al futuro e il femminismo italiano nel suo complesso c’è finito dentro.
La prima domanda che un femminismo realmente capace di cambiamento dovrebbe porsi è quindi: che futuro vogliamo per noi donne? Come ci vediamo tra 5 anni? Cosa vogliamo per noi e per il mondo?
Ma in questo momento il femminismo più avanzato è capace soltanto di arroccarsi rigidamente sulla difensiva e di costruire una propria identità non su dei sì ma su dei no: no alla GPA, no al transfemminismo, ecc.
Risultato: siamo in uno stagno.
Ne possiamo uscire soltanto ponendoci questa domanda sul nostro futuro: non si può realizzare un cambiamento se non siamo prima in grado di visualizzarlo e di rappresentarcelo, ma ancora prima pertanto dobbiamo pensare in termini positivi e non semplicemente in termini di difesa da un nemico rincorrendone la sua agenda e le sue priorità.
Potrà aiutarci in questo compito di raffigurarci il futuro la consapevolezza che dobbiamo liberarci dalla tossicità dovuta alla introiezione di modelli di pensiero che sono alla base dell’apologia del capitalismo liberista assimilato anche dalla cosiddetta sinistra progressista e dal femminismo che si ispira ad esso: e cioè i falsi miti dell’autodeterminazione e dell’autosufficienza.
Questi miti non esistono nella realtà ma vengono proposti come qualcosa che sta ad indicare il mondo migliore possibile, quando invece proprio la realtà è fatta necessariamente di dipendenza, di interdipendenza, di condizionamenti oggettivi con i quali, volenti o nolenti, dobbiamo fare i conti.
Siamo talmente intossicati da questi concetti che quando parliamo di non autosufficienza si pensa in automatico a una condizione patologica di fragilità, di mancanza di autonomia tipica di anziani e disabili, quando invece la non autosufficienza è un dato di realtà che è costitutivo dell’esistenza degli esseri umani in ogni fase della loro vita, compresa quella adulta.
Così come quando parliamo di autodeterminazione lo si fa in modo astratto e senza considerare che è impossibile che essa esista in realtà, dato che in qualsiasi situazione gli esseri umani sono comunque condizionati da variabili sociali e ambientali che sono fuori dal loro controllo. Non si può mai parlare di autodeterminazione ma semmai di autonomia intesa come scelta consapevole di ciò che è possibile, tenendo conto delle ricadute sociali del proprio agire e di una visione onesta e reale del mondo come di un bene le cui risorse sono limitate; visione tale per cui bisogna pure porsi, su un piano politico ed economico, una strategia di contenimento, se non di eliminazione, delle forme di sfruttamento e di privazione che determinano una distribuzione squilibrata delle risorse stesse.
Venendo specificamente al femminismo, declinare queste considerazioni significa iniziare a fare i conti con la constatazione che non si costruirà mai niente di buono se si parte da una visione degli altri: uomini, persone transessuali in generale, persone che si autodefiniscono non binary (anche se è un concetto che non vuole dire niente), come nemici e non come interlocutori con cui dobbiamo trovare delle mediazioni anche se possono essere (più o meno consapevolmente) complici di un sistema di potere economico e culturale patriarcale.
Tenere conto del concetto di physis significa considerare sia le nostre potenzialità di cambiamento sia tenere al tempo stesso ben presenti i limiti del possibile cambiamento ed evitare i deliri di onnipotenza che, se ci pensiamo bene, sono alla base del patologico modello di vita che si ispira a un capitalismo e a un familismo patriarcale: la visione che noi possiamo fare del mondo ciò che vogliamo, che possiamo incrementare le nostre risorse in modo illimitato, che gli altri ( e in particolare le donne) siano risorse sfruttabili a proprio piacimento.
Se il femminismo comincerà a porsi obiettivi sul proprio futuro con questa visione ispirata alla physis, non rimarremo più bloccate come ora , facendo riferimento al titolo di questo articolo, alla discussione ossessiva e difensiva di cosa significhi essere donna, ma cominceremo finalmente a mettere un punto dopo tale termine e a porci il problema di che cosa ne vogliamo fare di noi e del mondo in cui ci siamo ritrovate a vivere.
Cosa vogliamo veramente dagli uomini per quello che riguarda il rapporto tra i sessi, dando per scontato (che piaccia o no) che ne esisteranno sempre due fintantoché vi sarà la specie umana?
Cosa vogliamo veramente dal rapporto con le persone transessuali, dando per scontato che non sarà l’odio di alcuni uomini e donne transfobici ad eliminarle?
Cosa vogliamo mediare con il disagio di persone che si definiscono transgender nonbinary e che pensano di potersi definire prescindendo dalla loro identità sessuale effettiva? Comunque queste persone continueranno ad esistere anche se vi saranno uomini e donne che, prese da un delirio di onnipotenza in negativo, penseranno di poterle eliminare dalla faccia della terra con la loro aggressività e violenza culturale.
Donna. E poi?
Cominciamo intanto a porci le domande che potrebbero servirci a fare dei cambiamenti positivi.
Soltanto dopo si potrà almeno tentare di trovare delle risposte che siano all’altezza di dare una dignità e un senso adeguati al nostro vivere.