Fonte: Il Fatto Quotidiano
Domenico De Masi ha un’idea chiara: “Non c’è alternativa. I Cinque Stelle devono darsi un paradigma preciso, un modello di società egualitaria per cui battersi. Devono per forza guardare a sinistra. C’è un mondo immenso senza rappresentanza”.
Archiviato il Campo Largo, pensa possa nascere una forza popolare di sinistra alla Mélenchon?
Guardo agli elettori, non agli eletti. Nella massa di coloro che hanno diritto di voto c’è un numero gigantesco: 5 milioni e 700 mila poveri assoluti. E un altro ancora più grande: circa 7 milioni di poveri relativi. Non sto parlando di clochard, di senza fissa dimora, ma dei nostri figli che la sera consegnano le pizze. Magari laureati, con un master, un periodo all’estero e tuttavia disoccupati o sottoccupati. Questa massa di quasi 13 milioni di persone, a ottobre potrebbe diventare di 14 o 15 milioni. È l’unico segmento sociale che non ha un partito di riferimento. L’ultimo è stato il Pci di Enrico Berlinguer.
Lei crede che il Movimento di Conte sia un interlocutore credibile per queste persone?
I Cinque Stelle hanno provato a comunicare con questi settori della società e sono forse gli unici, in qualche modo, a essersi ricordati di loro: penso al decreto Dignità e al Reddito di cittadinanza. Non si possono definire un partito di sinistra, ma ci sono alcuni spiragli: giovedì ho ascoltato con attenzione i discorsi dei senatori a cui sono stati affidati gli interventi conclusivi, Licheri e Castellone; hanno pronunciato parole di grande interesse sulla volontà di rappresentare la crisi sociale.
Il Campo Largo è sepolto per sempre?
Il Pd ha deciso chiaramente di spostarsi al centro. Se uno lo confronta agli altri partiti dell’area, come quelli di Calenda, Di Maio e Renzi, per certi versi il Pd è addirittura più a destra: ha posizioni più nette sulla guerra e convinzioni più solide sulle politiche neoliberiste. È stato il partito più draghiano di tutto il Parlamento.
Le elezioni sono davvero nelle mani di Meloni e Salvini?
Non riesco a immaginare come possa non vincerle la destra. Guardando gli ultimi sondaggi, il Partito democratico è attorno al 22%, l’area degli altri partiti centristi, tutta insieme, potrebbe raccogliere una cifra vicina all’11%. Il “grande” centro quindi si ferma al 33%. Lega e Fratelli d’Italia insieme valgono circa il 37%, poi c’è Berlusconi con Forza Italia, che potrebbe oscillare tra questi due poli, ma sembra aver optato definitivamente per la destra, e vale altri 7 o 8 punti. I rapporti di forza mi sembrano chiari. Ma pure se in qualche modo dovesse vincere l’area raccolta attorno al Pd, non riuscirei a non considerarla una vittoria della destra. La linea di frattura è tra politiche neoliberiste e socialdemocratiche: tutti i partiti di cui ho parlato sostengono le prime. La destra è forte, il centro esiste, la sinistra no.
Con queste premesse, a quali prospettive dovrebbero lavorare i progressisti?
C’è da intraprendere la lunga marcia verso il 2027, bisogna gettare le basi per la legislatura successiva. Conte chiami Mélenchon, lo coinvolga, anche come fatto simbolico. E magari provi a coinvolgere le residue energie che si muovono a sinistra, i pochi che ancora promuovono uno sforzo intellettuale: c’è un’area attorno a Michele Santoro, per esempio, o a Luigi de Magistris. Non so se il Movimento si darà una struttura definitivamente di sinistra, non sarà facile, ad esempio, se dovesse rientrare Alessandro Di Battista, ma penso davvero sia l’unica strada da percorrere.
Il richiamo al voto utile, da parte del Pd, contro il “pericolo fascista” di Meloni, sarà un fattore importante?
Di sicuro ci sarà una campagna del genere, ma non credo avrà efficacia: a quei 15 milioni di poveri non interessa. Anzi, presso di loro Meloni potrebbe avere più credibilità di Letta.