Fonte: Dielle magazine
Url fonte: http://diellemagazine.com/2015/06/20/divisi-da-una-moneta-comune/
dal Blog di Yanis Varoufakis, traduzione di Nicoletta Rocchi
La sua relazione a una iniziativa della Fondazione Hans Bockler e della Humbold-Viadrina Governance Platform (Berlino l’8 giugno 2015)
Greci e tedeschi, insieme agli altri europei, sono uniti fin dalla fine della guerra. Siamo uniti malgrado le lingue diverse, le culture diverse, i temperamenti distintivi. Nel processo per stare insieme avevamo scoperto, con grande gioia, che le differenze tra le nostre nazioni erano inferiori alle differenze osservate all’interno delle singole nazioni.
Poi è arrivato il disastro finanziario globale del 2008 e, un anno dopo, i popoli europei che sono stati fino ad ora così splendidamente uniti, hanno cominciato a dividersi sempre di più, a farsi dividere da una moneta unica – un paradosso che sarebbe anche divertente se non fosse così gravido di pericolo. Pericolo per i nostri popoli. Pericolo per il nostro futuro. Pericolo per l’idea di una prosperità europea condivisa.
A giudicare dal modo in cui si ripete, la storia non sembra abbia il gusto della farsa. La guerra fredda è cominciata non a Berlino ma nel dicembre 1944 nelle strade di Atene. Anche l’euro-crisi è cominciata nel 2010 ad Atene, innescata dai problemi del debito greco. La Grecia è stata, per un caso del destino, il luogo di nascita sia della guerra fredda che della crisi dell’euro. Ma le cause sono più ampie, diffuse in tutto il continente.
Quali sono state le cause dell’euro-crisi? I media e i politici amano le storie semplici. Come ad Hollywood, adorano i racconti morali in cui ci sono coloro che offendono e le vittime. La favola di Esopo della formica e della cicala ha avuto grande e immediato successo. Dal 2010 in avanti, la storia è più o meno questa: le cicale greche non hanno fatto il loro compito a casa e un bel giorno la loro estate alimentata dal debito è brutalmente finita. Allora hanno invocato le formiche per essere salvate. Adesso, ai tedeschi viene detto che le cicale greche non vogliono ripagare il loro debito. Vogliono un altro pò di vita facile, più allegria nel sole e un altro salvataggio per finanziare tutto ciò.
E’ una storia potente. Una storia che sostiene le dura posizione di molti contro la Grecia e il suo governo. Il problema è che essa è ingannevole e proietta una lunga ombra sulla verità. E’ un’allegoria che sta mettendo una orgogliosa nazione contro l’altra. Con perdenti ovunque. Eccetto, forse, i nemici dell’Europa e della democrazia.
Recuperare un’unione monetaria
Mi si consenta di cominciare con un una ovvia verità. Il debito di una persona è l’asset di un’altra. Analogamente, il deficit di una nazione è il surplus di un’altra. Quando una nazione o una regione è più industrializzata di un’altra; quando produce la maggior parte dei beni commerciabili ad alto valore aggiunto mentre l’altra si concentra su beni non trattabili a basso rendimento e basso valore aggiunto, l’asimmetria è forte. Si pensi non sola alla Grecia in relazione alla Germania. Si pensi anche alla Germania dell’est in relazione a quella dell’ovest, al Missouri in relazione al vicino Texas, all’Inghilterra del nord rispetto alla grande Londra – tutti casi di squilibri commerciali con impressionante capacità di resistenza.
Un tasso di cambio che si muove liberamente, come quello tra il Giappone e il Brasile, aiuta a tenere gli squilibri sotto controllo a spese della volatilità. Ma quando, per dare più certezza al business, si stabilisce un tasso di cambio fisso (o, più potentemente, quando si introduce una moneta comune), accade dell’altro: le banche cominciano a ingrandire surpluses e deficits. Gonfiano gli squilibri e li rendono più pericolosi. Automaticamente. Senza chiedere agli elettori o ai parlamenti. Senza neppure che il governo nazionale ne prenda nota. E a questo che riferisco la tossicità del debito e del riciclaggio dei surpluses.
E’ facile vedere come avviene: un surplus commerciale tedesco sulla Grecia genera un trasferimento di euro dalla Grecia alla Germania. Per definizione!
Questo è quanto precisamente avveniva nei vecchi bei tempi – prima della crisi. Gli euro guadagnati dalla aziende tedesche in Grecia e altrove nella periferia, si ammassavano nelle banche di Francoforte. Questo denaro aumentava l’offerta di denaro della Germania abbassandone il prezzo. E qual è il prezzo del denaro? Il tasso di interesse! Per questo i tassi di interesse in Germania erano così bassi relativamente agli altri stati membri dell’eurozona.
Improvvisamente, le banche del nord avevano un motivo per prestare di nuovo le loro riserve a greci, irlandesi. spagnoli – le nazioni in cui i tassi di interesse erano considerevolmente più alti poichè, nelle unioni monetarie, il capitale è sempre più scarso nelle regioni in deficit.
E così questo è stato uno tsunami del debito, fluito da Francoforte, dall’Olanda, da Parigi verso Atene, Dublino, Madrid, non più interessate dalla prospettiva della svalutazione della dracma o della lira poichè tutte condividevano l’euro ed erano adescate dalla fantasia del rischio senza rischio; una fantasia che è stata seminata a Wall Street dove la finanziarizzazione ha alzato la sua brutta testa.
Messo in termini diversi, il flusso del debito in luoghi come la Grecia è stato l’altra faccia della medaglia dei surpluses commerciali tedeschi. Il debito della Grecia e dell’Irlanda verso le banche private tedesche ha mantenuto le esportazioni tedesche verso la Grecia e l’Irlanda. Questo è simile a comprare un’auto da un venditore che ti fornisce anche un prestito in modo che tu possa permettertela. Il termine usato è Vendor financing.
Potete vedere il problema? Per mantenere i surpluses commerciali di una nazione all’interno di un’unione monetaria, il sistema bancario deve accumulare debiti crescenti sui deficit delle nazioni. Si, lo stato greco è stato un irresponsabile accumulatore di debiti. Ma, signore e signori, per ogni irresponsabile indebitato c’è un corrispondente prestatore. Si prendano Spagna e Irlanda e si confrontino con la Grecia. I loro governi, a differenza del nostro, non sono stati irresponsabili. Ma poi i settori privati irlandese e spagnolo hanno finito per contrarre debito extra, cosa che non hanno fatto i loro governi. Il debito totale della periferia è stato il riflesso dei surpluses del nord, delle nazioni in surplus.
Per questo non conviene pensare al debito in termini morali. Abbiamo costruito un’unione monetaria asimmetrica con regole che hanno garantito la generazione di un debito insostenibile. La abbiamo costruita così. Ne siamo tutti responsabili. Congiuntamente. Collettivamente. Come europei. E abbiamo tutti la responsabilità di sistemare la situazione. Collettivamente. Come europei. Senza puntarci il dito contro, l’uno con l’altro. Senza recriminazioni.
Prima del 2009, i media greci erano così orgogliosi che la Grecia crescesse più della Germania. Sbagliavano. Era una crescita “Ponzi”, piramidale, alimentata dal debito. Quando sono scoppiate le nostre bolle, la stampa tedesca ha accusato i cittadini della periferia di essere sregolati, cattivi europei, di avere avuto quello che si erano meritati. E’ stato il turno della stampa tedesca di essere in errore. I debiti esorbitanti della periferia, dato il problematico sistema di riciclaggio di cui disponevamo, basato sulle banche, sono stati essenziali per la prosperità dei sistemi bancario e industriale della Germania e della Francia.
In sintesi, il riciclaggio dei surpuses dell’eurozona è stato il cuore del problema. Grecia e Irlanda hanno subito un duro colpo a nome di un’eurozona che non era stata progettata bene. Abbiamo preso un colpo per salvare le banche che hanno fatto così malamente tutto il riciclo. Per salvare un’eurozona economicamente incapace di assorbire le onde d’urto di una grande crisi finanziaria prodotta dal suo progetto sbagliato e politicamente priva della volontà di ridisegnare il nostro meccanismo di riciclo dei surpluses.
Ormai da cinque anni, l’Europa e tre diversi governi greci pretendono di risolvere la crisi allungandola nel futuro, supponendo che la bancarotta della nazione potesse essere gestita con sempre maggiori prestiti condizionati da ulteriore austerità, la quale indeboliva il reddito e la capacità della nazione di restituirli. Nella Grande Depressione che ne è conseguita, il centro politico è imploso, i bambini svengono a scuola per la malnutrizione e i nazisti sono usciti allo scoperto.
Come ho già detto: è veramente senza senso fare il gioco della colpa . Di chi è stata la colpa della crisi? Siamo tutti colpevoli. Abbiamo creato un’eurozona con un meccanismo di riciclo dei surpluses che con precisione matematica ha portato a una crisi con vittime ovunque. Più tempo impieghiamo a rendercene conto, più grave sarà la nostra colpa collettiva.
Esopo rivisitato
Prima ho fatto riferimento alla favola di Esopo che ha prodotto tanto danno alla comprensione e all’apprezzamento reciproci della relazione che lega i nostri popoli e all’apprezzamento reciproco. Mi sia consentito di raccontarla di nuovo, adattandola meglio alle circostanze economiche dell’eurozona.
Per cominciare, spero che sarete d’accordo con me che sarebbe piuttosto comica l’idea che tutte le formiche vivono nel Nord Europa e tutte le cicale sono concentrate al sud, nella periferia. Sarebbe comica se non fosse offensiva e distruttiva del nostro condiviso progetto europeo.
Ciò che è accaduto in Europa dopo la costituzione dell’euro, durante i tempi buoni, è stato che le formiche lavoravano ovunque, in Germania e in Grecia. E trovavano difficile sbarcare il lunario: sia in Germania che in Grecia. Per contro, in entrambi i paesi, le cicale facevano festa, alimentata dalla finanza.
Il flusso di denaro privato dalla Germania alla Grecia ha permesso alle cicale del nord e a quelle del sud di crearsi un’enorme ricchezza di carta a spese delle formiche – sia tedesche che greche. Poi, quando la crisi ha colpito, sono state le formiche del nord e soprattutto quelle del sud, della Grecia, ad essere chiamate a salvare le cicale di entrambe le nazioni.
Questi salvataggi sono costati cari alle formiche. Specie le formiche greche hanno perso il lavoro, la casa, le pensioni, mentre le formiche tedesche si sentivano prese in giro, sentendo parlare di tutti i miliardi che andavano ai greci mentre i loro standards di vita non riuscivano a risalire malgrado i loro sforzi produttivi. Quanto alle cicale greche, anche qualcuna di loro ha sofferto, ma quelle grosse e grasse non hanno avuto nulla di cui preoccuparsi: hanno portato i loro denari mal guadagnati a Ginevra, Londra o Francoforte. E ridevano per tutta la strada verso le banche straniere.
Questo è stato sbagliato nei salvataggi. L’errore non sta nel fatto che i tedeschi non hanno pagato abbastanza per i greci. Anzi, hanno pagato anche troppo, ma per ragioni sbagliate. Il denaro, piuttosto che aiutare i greci è stato gettato nel buco nero dei debiti insostenibili mentre ovunque, le persone soffrivano. Abbiamo chiuso il cerchio: dalla crescita alimentata dal debito, al debito che alimenta l’austerità.
E’ per porre fine a questo circolo vizioso che il nostro governo è stato eletto.
La trappola dell’austerità e le richieste delle istituzioni
Dal 2010 il nostro partito e io personalmente ci siamo opposti ai salvataggi che accumulavano nuovo debito su quello in essere, già insostenibile, nuovo debito condizionato da austerità stringente, tesa a ridurre tutti i redditi e pertanto destinata a spingere sempre di più la Grecia nell’insolvenza, nella depressione, nella miseria. Avevamo avvertito che era pura follia spostare il debito pubblico greco dai libri della banche private alle spalle dei contribuenti europei. Ciò avrebbe messo una nazione contro l’altra senza fare nulla per affrontare l’insolvenza della Grecia.
Gli ultimi 5 anni hanno dimostrato che avevamo ragione. E per questo siamo stati eletti. Dal primo giorno in carica, ho fatto una proposta semplice ai nostri partners nell’eurogruppo e altrove: dato che siamo stati eletti per sfidare il programma in cui voi credete e a cui volete noi ci conformiamo, i negoziati saranno lunghi. Trattiamo in buona fede. Ma intanto concordiamo, il più presto possibile, su un certo numero di riforme da tutti ritenute indispensabili ma che il precedente governo si è rifiutato di applicare. Facciamo tre o quattro leggi, condivise tra di noi, che affrontino l’evasione fiscale, mettano in atto un’autorità fiscale indipendente, diano un colpo alla corruzione, riformino il codice fiscale, regolino e tassino i canali televisivi ecc ecc. Realizziamo immediatamente tali riforme mentre va avanti il negoziato “più ampio e complessivo”.
La risposta che abbiamo ricevuto è stata inequivocabile:”No! Non dovete portare nulla in Parlamento prima che sia stata completata con successo una revisione completa del Programma Greco. Qualsiasi intervento legislativo da parte vostra sarà considerato un atto unilaterale e nuocerà alle vostre relazioni con le istituzioni.” E così le trattative sono andate avanti, assorbendo le nostre energie mentre l’economia ristagna, e intanto importanti riforme ancora attendono di essere legiferate.
Mi è stato chiesto spesso: “Ad ogni modo, perchè non hai concluso le trattative con le istituzioni? Perchè non hai concordato con loro rapidamente?” Per tre ragioni.
Primo, le istituzioni insistono su cifre macroeconomiche insostenibili. Si considerino queste tre cifre cruciali per i prossimi 7 anni: il tasso di crescita medio, il surplus primario medio e la dimensione media delle misure fiscali (cioè nuove tasse, o tagli delle prestazioni sociali o delle pensioni). Le istituzioni ci hanno proposto numeri reali tra di loro incoerenti. Cominciano assumendo che la Grecia dovrebbe realizzare un tasso di crescita di circa il 3%. Questo è buono e bello. Ma poi, al fine di rimanere coerenti con l’obiettivo di raggiungere un rapporto debito/PIL pari al 120% entro il 2020, ci chiedono surpluses primari di più del 3% con ampie misure fiscali per ottenerli. Il problema qui è che se conveniamo su questi numeri e imponiamo alla nostra debole economia tali surpluses fiscali altamente recessivi, non realizzeremo mai l’incremento del 3% del tasso di crescita assunto. Il risultato finale di un accordo con le istituzioni su queste insostenibili cifre fiscali è che la Grecia non sarà di nuovo in grado di realizzare i promessi obiettivi di crescita con effetti pesanti sulle persone e sulla nostra capacità di restituire i debiti. In altre parole, lo spettacolare fallimento degli ultimi 5 anni si proietterà nel futuro. Come potrebbe il nostro governo acconsentire?
Secondo, possiamo anche essere un governo ideologico di sinistra radicale, ma, purtroppo, sono le istituzioni ad avere le fissazioni ideologiche che rendono impossibile raggiungere un accordo. Si prenda per esempio la loro insistenza perchè la Grecia si trasformi in una zona labour protection-free. Due anni fa, la troika e il governo di allora annullarono tutti in contratti collettivi. I lavoratori greci sono stati lasciati a loro stessi nella contrattazione con i datori di lavoro. I diritti del lavoro che abbiamo conquistato in più di un secolo sono stati distrutti in poche ore. Il risultato non è stato un aumento dell’occupazione e un mercato del lavoro più efficiente. Il risultato è stato un mercato del lavoro in cui più di un terzo del lavoro retribuito non è dichiarato, condannando in tal modo i fondi pensione e il fisco a restare in crisi permanente. Il nostro governo ha fatto una proposto molto sensata: portare la materia all’OIL e farsi aiutare a definire una legge moderna, flessibile, business-freindly che rimetta la contrattazione collettiva al posto che è giusto abbia in una società civilizzata. Le istituzioni hanno respinto la proposta, accusandoci di “volere rimettere in discussione le riforme fatte”.
La terza ragione per la quale non siamo stati in grado di raggiungere un accordo con le istituzioni sono state le misure socialmente ingiuste su cui esse insistono. Per esempio, le pensioni più basse in Grecia sono di 300 euro, di cui più di 100 sono costituiti da quella che è conosciuta come “pensione di solidarietà”, o EKAS. Le istituzioni insistono che dobbiamo eliminare l’EKAS e contemporaneamente ci propongono di portare la tassa sul valore aggiunto dei prodotti farmaceutici dal 6% al 12% e quella sull’elettricità dal 13% al 23%. In parole povere, nessun governo che abbia una parvenza di sensibilità verso i più deboli dei cittadini potrà mai convenire con tali proposte.
Potrei andare avanti, facendo la litania delle richieste inaccettabili dei nostri creditori. Non lo farò. Ne avete già un’idea. Ne sono sicuro.
Qualcuno mi chiede se siamo pronti al rischio della grexit qualora non firmassimo le richieste delle istituzioni. La nostra risposta è che sarà un triste giorno per l’Europa quello in cui la sua integrità diventerà un pallone da calciare in una gara il cui obiettivo è costringere un popolo sovrano ad accettare un accordo impossibile. In ogni caso, se tale terribile accordo deve essere imposto al nostro popolo, almeno non avverrà con la nostra firma. Immanuel Kant ci ha insegnato che la maestà del dovere non ha niente a che fare con il calcolo dell’opportunità. E’ un’ironia che sia un governo greco a ricordare all’Europa la frase del grande filosofo tedesco.
Tornando alle riforme di cui la Grecia ha bisogno, ciò che il nostro governo sta chiedendo ai nostri partners è di darci una chance per le riforme. Di fare i compiti a casa. Please, fateci riformare profondamente la Grecia. Se continuate a insistere su cifre logicamente incoerenti, su fissazioni ideologiche e su misure sociali ingiuste non potremo portare il popolo greco sul sentiero delle riforme di cui il paese ha bisogno. La Grecia resterà irriformabile se prevarranno le istituzioni. E’ così semplice.
Per ricapitolare, dobbiamo concordare su appropriate, giuste riforme e dobbiamo collocarle in un pacchetto più ampio, un accordo più grande che ponga fine alla crisi greca una volta per tutte. Accanto a riforme profonde, gli altri due elementi di un accordo più ampio devono essere il meccanismo per rendere sostenibile il debito pubblico greco (senza haircut e senza nuovo denaro per lo stato greco) e un pacchetto di investimenti che dia il calcio di avvio all’economia e favorisca l’investimento privato.
La ristrutturazione del debito -Debt swaps
La crisi greca è cominciata con l’insostenibilità del debito pubblico. Finirà solo quando il debito pubblico diverrà nuovamente sostenibile. Ecco le nostre proposte:
La Grecia si assume ora un nuovo debito di 27 miliardi nei confronti dell’ESM che ci consente di ricomprare dalla BCE i vecchi SMP bonds (security market program bonds) che la BCE ha comprato nel 2010 e il cui valore facciale è precisamente 27 miliardi e li ritiriamo immediatamente. Quindi la BCE sarà ripagata per intero del debito restante della Grecia. Il risultato sarà l’eliminazione del nostro gap di finanziamento a breve e l’opportunità per i titoli greci di partecipare al programma di QE della BCE, in tal modo consentendoci di ritornare sui mercati finanziari al fine di eliminare in futuro il bisogno di ulteriori prestiti del settore ufficiale. Una volta ripagati i titoli SMP della BCE, questa restituirà alla Grecia, come è stato già concordato, i profitti (approssimativamente 9 miliardi di euro) realizzati per averli acquistati inizialmente al di sotto della parità (come dagli aggiustamenti esistenti per restituire alla Grecia i “profitti” del programma SMP della BCE). La Grecia usa questa somma per ripagare in parte il restante debito con il FMI (19.96 miliardi). Il restante debito verso il FMI (approssimativamente 11 miliardi) sarà rifinanziato attraverso il riconquistato accesso al mercato.
Un’obiezione ovvia a questo swap è che, mentre la Grecia non riceverà alcun denaro fresco, l’ESM dovrà assumere una nuova obbligazione e, per questa ragione, è necessario un nuovo set di condizioni. E’ vero. Ma c’è una soluzione semplice: le stesse condizionalità, cioè il pacchetto di riforme, che concorderemo per completare l’attuale programma possono servire anche come condizionalità per il nuovo arrangiamento con l’ESM. Un set comune di condizionalità, che il nostro parlamento approvi, come base per concludere il programma attuale e cominciare quello nuovo. In questo modo, nè Mekel nè Tsipras dovranno andare due volte di fronte al nostro parlamento. E’ perciò possibile una soluzione semplice ed efficace.
La crescita guidata dagli investimenti
La gestione del debito è condizione necessaria ma non sufficiente per mettere fine alla crisi greca. L’economia della Grecia deve essere messa in condizione di ripartire. Mentre la ripresa di lungo termine dovrà essere finanziata privatamente, per avviare il flusso degli investimenti servirà una spinta iniziale, un veicolo per gestire efficacemente i voluminosi prestiti in sofferenza che attualmente bloccano il sistema creditizio. Qui c’è una proposta di merito:
Il Consiglio europeo dà il via libero alla Banca Europea degli Investimenti (EIB) perchè avvii un programma per la Grecia finanziato completamente da EIB bonds emessi allo scopo (rinunciando al requisito del co-finanziamento nazionale), cui la BCE fornisce copertura al mercato secondario (nel contesto del QE program) – amministrato della EIB e dall’EIF(european investment fund) in cooperazione con una nuova Banca pubblica per lo sviluppo, in collaborazione inoltre con l’EFSI (european fund for strategic investments), l’Hellenic Investiment Fund, l’EBRD (banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo), il KfW(banca di investimento tedesco) ed altri veicoli europei di investimento in congiunzione con nuove privatizzazione (es. i porti, le ferrovie).
Il grande merito di questa proposta è che non avrà costi per i creditori della Grecia. L’EIB opera su criteri puramente bancari e, in questa occasione, punta ai risultati positivi di una rapida crescita economica greca e dell’inevitabile crescita dei prezzi degli asset. Proprio “l’effetto annuncio” di questo pacchetto di riforme, di gestione del debito e di investimenti EIB raccoglierà consistenti investimenti anche prima che sia fornito alcun finanziamento degli investimenti stessi. In tal modo potremo cominciare a vedere la fine della crisi greca.
Ifigenia versus Antigone
Con la crisi greca alle spalle, l’Europa avrà ancora necessità di guardarsi allo specchio e di decidere come consolidare la nostra unione monetaria in modo da assicurare che la prossima crisi non sia anch’essa di tipo esistenziale.
Chiaramente abbiamo bisogno di unione politica. Ma di che tipo? Non dobbiamo dimenticare che l’Unione Sovietica è stata un’unione politica sebbene non del tipo che noi vogliamo imitare. No, quello che serve all’Europa è un’unione politica democratica che coinvolga i suoi popoli.
Gli europei devono porsi una domanda importante: vogliamo un’unione politica liberale che si impegni con quelli (come il nostro governo) che sono critici sulle attuali politiche europee ma sono impegnati verso l’Unione Europea? O vogliamo un’unione politica che non ha tolleranza per il dissenso verso le politiche neo-liberiste e che cerca di spegnere “inconvenienti” come il governo di Syriza a spese della democrazia europea? Permettetemi di prevedere che se l’Europa opterà per quest’ultima soluzione, finirà per essere dominata dagli anti-europei che odiano l’Europa e tutto quello che rappresenta e che vogliono riportarla indietro al tribalismo nazionalistico che, nei secoli, ha causato così tante perdite umane.
Purtroppo alcuni di coloro che guidano l’Europa pensano che sacrificare la Grecia come Ifigenia aiuterà il resto a da andare verso l’unione politica sotto un regime di disciplina di ferro forgiata dalla paura che la Grecia ha messo nei cuori e nelle menti degli altri europei. Temo che questo sarebbe l’assunzione di un modello insostenibile attraverso gradi crescenti di autoritarismo e macroeconomia recessiva. Alla fine, l’unione si spezzerebbe con costi umani ed economici indicibili.
Mi sia consentito di suggerire un’altra eroina del repertorio dell’antica tragedia ateniese: Antigone. Antigone simboleggia la giusta sfida alle regole ingiuste; alle regole che si scontrano contro i principi fondamentali della proprietà e della giustizia. Non era un’anarchica. Credeva nelle regole. Tuttavia, credeva che quando si avevano di fronte regole ingiuste, che erano di detrimento alla condizione umana, fosse nostro dovere sfidarle e sostituirle con altre regole più adatte agli intenti umani.
Secondo voi, cosa è meglio per il progetto europeo? La strategia di Agamennone di sacrificare Ifigenia? O l’inclinazione di Antigone per regole migliori? L’idea che la Grecia dovrebbe essere amputata dall’eurozona al fine di disciplinare il resto? O l’idea di avvicinare tutti sulla base di politiche buone, sensate, umanistiche?
Il problema principale che abbiamo di fronte è che questa crisi ha annullato la volontà politica di avvicinare le nostre economie all’interno dell’asimmetrica unione monetaria, nel rispetto delle sovranità nazionali. I cittadini, comprensibilmente, volteranno le spalle all’unione monetaria e cominceranno a rinculare non dietro la sovranità nazionale, bensì dietro lo sciovinismo nazionalista.
Così, la domanda diventa una grande domanda: è possibile dare ai popoli della nostra asimmetrica unione monetaria più sovranità introducendo un efficace e finalmente non tossico meccanismo di riciclo del surpluses?
Penso di si. Ma ci vorrebbe un’altra riunione per discuterlo compiutamente.
Speech of hope
Il 6 settembre 1946, il segretario di stato US James F. Byrnes andò a Stoccarda per fare il suo storico discorso della speranza (speech of hope). Esso marcò il cambiamento di atteggiamento americano nei confronti della Germania e dette alla nazione caduta una chance per ricominciare ad immaginare la ripresa, la crescita e il ritorno alla normalità.
Prima che il discorso sulla speranza diffondesse l’ottimismo in tutta la Germania occupata, gli alleati erano d’accordo nel volere che la Germania si trasformasse “…in un paese essenzialmente agricolo e pastorale”. Il discorso di Byrnes segnalò ai tedeschi un’inversione della linea punitiva della deindustrializzazione che, alla fine degli anni ’40 aveva portato alla distruzione di più di 700 impianti industriali.
La Germania deve la sua ripresa e la ricchezza post-bellica al suo popolo, al suo duro lavoro, all’innovazione, all’impegno verso un’Europa unita e democratica. Tuttavia senza il discorso della speranza non avrebbero mai avuto l’opportunità di mettere in atto la magnifica rinascita post-bellica.
Prima del discorso di Byrnes e anche un pò dopo, gli alleati dell’America non erano disponibili a ridare speranza agli sconfitti tedeschi. ma una volta che Washington aveva deciso di riabilitare la Germania, non ci fu alcun ripensamento. La sua rinascita è sulle carte, facilitata dal Piano Marshall, dalla remissione del debito sponsorizzata dagli US nel 1953, così come dall’infusione di lavoro migrante dall’Italia, dalla Iugoslavia e dalla Grecia.
L’Europa non si sarebbe potuta unire in pace e democrazia senza quel cambiamento. Qualcuno aveva messo da parte obiezioni moralistiche e guardato spassionatamente a una nazione chiusa in circostanze che avrebbero potuto riprodurre solo discordia e frammentazione in tutto il continente. Gli US, emersi dalla guerra come l’unica nazione creatrice, fecero precisamente questo.
Settanta anni dopo, un’altra nazione è chiusa in una trappola paurosa che sta mandando onde in tutta Europa e da cui non può sfuggire senza una variante del discorso della speranza di Byrnes: la Grecia! Le obiezioni moralistiche abbondano e stanno dando al popolo greco una spinta per raggiungere la velocità di fuga. Viene richiesta più austerità a un’economia che è già in ginocchio a causa della più pesante dose di austerità che una nazione abbia mai sopportato in tempo di pace. Nessuna offerta di riduzione del debito. Nessun piano per spingere gli investimenti. E certamente nessun discorso della speranza per il suo popolo caduto.
Il governo greco ha costruito una lista di proposte per riforme profonde, per la gestione del debito così come per un piano di investimenti che farà ripartire l’economia. La Grecia è pronta e vuole fare un accordo con l’Europa che sradichi le metastasi responsabili del fatto che è stata la Grecia il primo tassello del domino a crollare nel 2010. Siamo pronti a giocare la nostra parte nel costruire uno schema di riciclo appropriato e sostenibile per l’eurozona, a fare il nostro compito a casa e a rimanere strettamente aderenti alle regole di cui saremo coautori con i nostri amici tedeschi.
Ma per realizzare tali riforme con successo, i Greci hanno bisogno di un ingrediente che ancora manca: la speranza!
Un discordo della speranza per la Grecia è perciò, precisamente, quello che farebbe ora la differenza.
Un discorso della speranza per la Grecia sarebbe benefico anche per i suoi creditori, poichè la nostra rinascita eliminerebbe la probabilità di un fallimento.
Cosa dovrebbe comprendere? Un discorso della speranza non è di contenuto tecnico. Dovrebbe semplicemente marcare un cambiamento epocale, una rottura con gli ultimi 5 anni di prestiti che si sommano ad altri prestiti su un debito già insostenibile e a condizione di maggiori dosi di austerità punitiva.
Chi dovrebbe fare questo discorso? Secondo me, la cancelliera tedesca.
Dove? Ad Atene, in Tessalonica o in un’altra città greca a sua scelta.
Potrebbe usare l’opportunità per avviare un nuovo approccio all’integrazione europea che parte dal paese che ha sofferto di più, vittima dell’erroneo disegno monetario dell’Europa e dei suoi stessi fallimenti.
Come nota pratica, signore e signori, vorrei informarvi che nella parte centrale abbiamo oggi un mio grande amico e collega, James Galbraith – il figlio del vero autore del discorso della speranza di Byrnes, John Kennet Galbraith. Se ce ne fosse bisogno, sono certo che potrebbe aiutarci a preparare un discorso che potrebbe cambiare l’Europa proprio come fece il discorso di Byrnes nel 1946.
Conclusioni
Mi sia consentito di concludere con una nota personale
Uno dei ricordi più duraturi della mia prima infanzia è stato il suono gracchiante delle trasmissioni radio Deutche Welle. Erano gli anni bui ella nostra dittatura,tra il 1967 e il 1974 quando Deutsche Welle era il più prezioso alleato greco contro i terribile potere dell’oppressione di stato.
Mamma e papà stretti insieme, vicino al wireless, talvolta coperto con una coperta per essere sicuri che i nostri vicini non avrebbero avuto la possibilità di chiamare la polizia segreta. Notte dopo notte, questi programmi radio “proibiti” portavano a casa nostra un refolo di aria fresca da un paese, la Germania, che era fermo accanto ai democratici greci. Ero troppo giovane per capire cosa dicesse la radio ai miei ipnotizzati genitori, e allora la mia immaginazione di bambino identificava nella Germania una fonte di speranza.
Ed è ancora qui per voi. Finisco questo discorso con una nota, un tributo agli amici tedeschi che mantengono vive le memorie dei suoni gracchianti della DW radio. Memorie pertinenti e sempre ispiratrici.