Disoccupazione: balletto delle cifre e la realtà dimentica dal governo Renzi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 10 agosto 2015

Questa battaglia mensile sulle cifre del mercato del lavoro che Renzi e i renziani di complemento brandiscono mensilmente è ormai stucchevole. Che cosa voleva dimostrare il premier? Che riducendo la tutela sul lavoro oppure sgravando di un terzo circa gli oneri fiscali sulle retribuzioni sarebbero aumentati i contratti cosiddetti ‘stabili’, quelli cosiddetti a ‘tempo indeterminato’? Be’ non ci voleva Einstein per prevederlo. Se io fossi un imprenditore che dà lavoro precario, non ci penserei un attimo a caricare sulla collettività un terzo degli oneri fiscali che pago per ogni singolo dipendente, né ci penserei un attimo ad assumere i miei lavoratori a contratto o a ‘nero’ nelle forme previste dal jobs act, sapendo che posso licenziare quando voglio quello stesso dipendente.

Detto ciò, il punto è capire che linguaggio parliamo, e cosa intendiamo con le parole che utilizziamo. L’altro ieri sul manifesto Adriano Giannola, Presidente dello Svimez, ha spiegato una differenza essenziale: “La crescita è un concetto statico, lo sviluppo è dinamico, è una trasformazione strutturale”. Traduco: incrementare numeretti agendo su meccanismi di corto respiro (jobs act e sgravi fiscali) non è la stessa cosa che avere una visione e un’idea forte dello sviluppo, così da attirare capitali e puntare alla creazione di un consistente capitale sociale, non solo movimenti aleatori di cifre sulle tabelle dell’Inps o del Ministero del Lavoro. Per essere più chiari in merito, lo stesso Giannola sottolinea come “al premier manca un’idea alternativa” al progetto tedesco in Europa, “Il nostro Paese non cresce né si sviluppa”, piuttosto “va avanti a vanvera”.

Per essere ancora più chiari, e specificare cosa voglia dire andare a vanvera, Giannola dice: “Non c’è bisogno di comunicare di avere 100 miliardi, basterebbe dire su cosa si interviene e con quali tempi”. Insomma, ‘comunicare’ quantità di miliardi, ossia cifre, è parlare “a vanvera” – dire, invece, dove indirizzare questi soldi, coerentemente a una visione salda, è invece fare politica e governare per puntare allo sviluppo. L’abuso di comunicazione è parlare ‘a vanvera’; la politica, invece, deve indicare il senso di un’azione di governo efficace e non ideologica o propagandistica. Tutta qui la differenza tra un tweet, due numeri, una tabella, vagoni di ideologia (da una parte), e un governo serio (dall’altra). Ma si sa, siamo un Paese ormai poco sensibile ai dipinti e molto di più alle cornici. Un Paese di esteti, di comunicatori, di consumatori incalliti. Altro che capitale sociale. Tutta qui, anche, la differenza con i tedeschi.

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