I disastri economici del populismo di governo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
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di Michele Prospero – 5 febbraio 2016

Come era prevedibile, la realtà torna a rivendicare i propri diritti e lo fa con lo spettro di procedure di infrazione pronte ad abbattersi sull’Italia per le sue questioni strutturali irrisolte. Sembrano tornati i tempi poco rassicuranti della finanza creatrice di Tremonti. E anche il Corriere della Sera, sinora soldato fedele del renzismo, comincia a storcere il naso dinanzi alle prove di un esecutivo che ogni giorno perde credibilità in Europa e deve inventare miracoli per rinviare le assai costose clausole di salvaguardia.
Il governo della narrazione aveva costruito un mondo di pure chiacchiere. Ma l’immensa fabbrica della falsificazione cognitiva a nulla è servita. Due anni perduti, anzi dannosi. La crescita non c’è, le stime già pessimistiche di ripresa vengono riviste in negativo. E i vantaggi congiunturali irripetibili (costo del petrolio, elevata circolazione della moneta, euro indebolito rispetto al dollaro) sono sfumati, senza alcuna capacità di approfittarne.
I poteri forti cominciano a tremare dinanzi alla prospettiva di una crisi pronta a esplodere senza controllo. Il sistema bancario vacilla. I fondamentali dell’economia sono tutti in sofferenza. La produzione industriale in Europa in questi anni è crollata del 31 per cento rispetto alla fase precedente la grande crisi. Mentre però la irraggiungibile Germania ha recuperato il 27,8 per cento della sua ricchezza (la Gran Bretagna il 5,4, la Francia l’8 e anche la malandata Spagna il 7,5), l’Italia accumula ulteriore ritardo risalendo di appena 3 punti dalla recessione. Il governo che ha sposato il programma della Confindustria non serve per la ripresa, anzi è un fattore di disturbo.
Solo un illusionista poteva pensare di governare la più grave crisi economica e sociale degli ultimi ottant’anni con un personale politico inesperto, selezionato nel magico triangolo dell’Etruria. Il trasloco da Rignano a Palazzo Chigi, dall’amministrazione cittadina al governo di un grande paese d’occidente, si rivela sempre più un viaggio della speranza, cioè un fattore di impedimento alla ripresa. Non si può governare con efficacia una grande crisi dimenticando il linguaggio della verità.
E, invece di prendere i fatti per quelli che sono, Renzi continua ad occultare le difficoltà, a imboccare vie di fuga poco redditizie. Adesso gioca la carta disperata dello scontro con l’Europa matrigna. Si fa paladino dell’interesse nazionale e dichiara di voler spezzare le reni alla teutonica cancelliera se rifiuta di concedere ancora flessibilità, ovvero possibilità di nuovo debito (ha previsto 17,9 miliardi in deficit). Con queste pratiche donchisciottesche, concepite per avere spiccioli da destinare alla conquista clientelare di voti, l’Italia diventa sempre più vulnerabile dinanzi a speculazioni e agguati di potenze pronte ad infilzare la spada nelle sue croniche debolezze.
Quello di Renzi è l’unico governo che usa il deficit, e le eterne scorciatoie del debito pubblico, per finanziare i ricchi. In due anni di governo la tassazione è scesa di 19,4 miliardi. Ma tutto a favore di imprese (13,1 miliardi per azzeramento Irap sul costo del lavoro e sugli incentivi per le assunzioni, decontribuzioni, Imu su terreni agricoli), banche (600 milioni), proprietari di immobili (3,7 miliardi). Si vanta di aver incrementato dello 0,9 l’occupazione giovanile. Ma, in una già solida Germania, il miglioramento è stato del 2,7 per cento, in Gran Bretagna del 4,2 e persino in Spagna di1,9 punti.
Il governo dei “senza retroterra” ha dilapidato i sacrifici fatti in questi duri anni di austerità e tagli, incollando il debito pubblico al 133 per cento. Il populismo di governo si rivela un disastro. Renzi ha bloccato i rinnovi contrattuali perché intendeva essere solo lui il benefattore che dal palazzo regalava 80 euro tolti dalle entrate statali e quindi dai servizi pubblici. Ha dirottato i soldi europei destinati al Sud per coprire i miliardi regalati alle imprese del Nord con la misura delle decontribuzioni dorate.
Disorientato, combatte contro la dura realtà che lo incalza inesorabile e dice che solo con lui è finito il tempo dei capi di governo italiani che si recavano a Bruxelles con il cappello in mano e pronti solo a ricevere comandi. Forse è vero, non serve il cappello dell’elemosina da esibire ad ordine eseguito, anche perché, dopo lo scalpo del sindacato e il commissariamento del regime parlamentare non rimane altro da sbandierare per ottenere liquidità per la compravendita del consenso. Il cappello però sarà sempre più utile alle èlite italiane per coprirsi il volto dopo la caduta drammatica di autorevolezza che certe uscite del giglio magico producono.
Come già accaduto a Firenze, in occasione di un incontro di Renzi con una delegazione araba, anche nei Musei Capitolini l’ordine di Palazzo Chigi è stato di oscurare le nudità delle statue alla vista dell’ospite islamico, trattato come un primitivo in fatto di estetica. In un tempo di dramma, all’Italia è toccato in sorte un ceto di governo esperto solo nella commedia che, per coprire il regalino di 500 euro ai diciottenni, precipita in una grottesca dichiarazione di guerra alla vecchia Europa dei burocrati dello zero virgola. E tutti a dire che a questa scomposta recita a soggetto non ci sono alternative.

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1 commento

filippo crescentini 6 Febbraio 2016 - 23:58

bravo Prospero, come sempre.

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