Fonte: facebook
di Alfredo Morganti – 1 febbraio 2016
Lo dico subito per evitare equivoci: sono assolutamente a favore delle Unioni Civili e penso che se una coppia di esseri umani, comunque costituita, esprime amore e rispetto reciproco, questo amore e questo rispetto non possano che cadere a pioggia sui figli, naturali o adottati che siano. Detto ciò, fatemi dire che noto una profonda discrepanza. Da una parte l’onda forte e crescente dei movimenti che sostengono i diritti civili (nella fattispecie quelli delle coppie omosessuali, ma non solo), tanto che oggi, sul manifesto, Alessandro Santagata scrive che siamo “di fronte a una galassia [quella del fondamentalismo cattolico] che si sente sempre più minoranza, un segmento della società civile che ha perso la sponda del governo e perfino la sintonia con il pontefice romano”. Ma, dall’altra, un arretramento corposo in fatto di diritti sociali, con i tagli alla spesa pubblica, la riduzione delle tutele sul lavoro (jobs act) e la flebile medicina del governo a colpi di zero virgola. Due binari che, invece di marciare paralleli, divergono, con effetti nefasti. Come definire una società che consente, com’è giusto che sia, agli omosessuali di conseguire parità e diritti, ma abbassa sempre più le tutele, e dunque, la dignità e le risorse di chi lavora? Forse i diritti civili hanno più legittimità degli altri? È il caso di chiederselo.
Modificare le ‘forme’ (che pure sono essenziali) lasciando però inalterata (o peggiorando) la ‘sostanza’, quanto cambia davvero le cose? Se i servizi pubblici e sociali perdono in quantità e qualità, se la precarietà avanza (benché denominata “contratto a tutele crescenti”), se il lavoro è meno tutelato, cosa cambia davvero? Certo, c’è chi acquisisce finalmente diritti nuovi, adeguati ai tempi, ma al di fuori di essi le sue condizioni di vita non mutano. Semmai, al contrario, dopo un primo stupore, ci sarà una rivincita della realtà, e si tornerà precari, disoccupati, e quando si cercherà un asilo nido lo si troverà a pagamento, e si attenderanno i mezzi pubblici invano, e l’aria sarà appestata dal PM10, e il lavoro resterà una specie di manna del cielo, un effetto della provvidenza da tenere stretto anche quando, com’è accaduto a Suno (Novara), si sono messi alla gogna pubblica i presunti assenteisti e nessuno ha fiatato. Ma è la legge a stabilire che la malattia produce il diritto sociale ad assentarsi in modo giustificato dal lavoro. Nonché, certo, a garantire il diritto al controllo da parte del datore di lavoro. Eppure i lavoratori assenti per malattia sono trattati da ladri e fannulloni, e pure additati al ludibrio dei colleghi e a quello della opinione pubblica, la quale fa il tifo per chi lotta per un diritto civile, ma schifa sempre più chi chiede che debbano essere parallelamente rispettati dei diritti sociali.
La nostra è ormai una società a due velocità: da una parte si spinge sui diritti individuali, dall’altra si frena sui quelli sociali. Una società dove il neoliberismo consente solo una omogenea liberazione individuale, ma non quella sociale. Capisco l’interesse a questo esito da parte di chi tiene il bastone. Meno quello di chi questa doppia velocità invece è costretto a subirla. Ma un mondo così asimmetrico, diseguale, liberale con gli individui e duro verso la società, non può giovare ai più deboli e ai più disagiati, che resteranno inevitabilmente tali e quali. E nemmeno a chi oggi gioisce per un eventuale stepchild in più, ma non calcola affatto l’asilo nido in meno.