Difendiamo l’ora legale

per Luca Billi
Autore originale del testo: Luca Billi
Fonte: i pensieri di Protagora...
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di Luca Billi  27 ottobre 2018

So che ormai è molto impopolare e che tra poco sarà certamente abolita, ma io voglio difendere l’ora legale: forse perché – come me – è un vecchio relitto del Novecento.

A dire la verità un’idea simile si può trovare alla fine del Settecento negli scritti del filosofo e scienziato illuminista Benjamin Franklin, uno dei padri degli Stati Uniti, che – oltre a partecipare attivamente alla stesura della Dichiarazione d’indipendenza e della Costituzione – è stato il primo ambasciatore degli States nella Francia della Rivoluzione e il primo direttore del servizio postale di quel grande paese. E per tutto questo ha meritato di essere raffigurato sulla banconota da cento dollari. Franklin era preoccupato per l’eccessivo uso delle candele e per la spesa che questo comportava e quindi fece alcune proposte affinché i cittadini degli Stati Uniti regolassero la propria vita seguendo il sorgere e il calare del sole. La proposta di Franklin non venne accolta con particolare favore, anche perché comportava, tra le altre misure, una tassazione sulle persiane e il posizionamento di un cannone in ogni strada che svegliasse i cittadini tutti alla stessa ora.

Fu la prima guerra mondiale a cambiare le cose. Il conflitto spinse i governi a cercare ogni sistema per risparmiare sull’energia e nel 1916 il parlamento del Regno Unito introdusse il british summer time, ossia lo spostamento di un’ora delle lancette dell’orologio nei mesi estivi, per sfruttare al massimo la luce solare. E in quello stesso anno un provvedimento analogo fu preso da tutti gli altri paesi belligeranti, Italia compresa. Poi si tornò a introdurre questo provvedimento durante la seconda guerra mondiale e infine fu definitivamente sancito con la crisi energetica della seconda metà degli anni Sessanta, nell’ambito di quella che i nostri genitori chiamarono austerity. Davvero l’ora legale è così intrinsecamente legata alla storia del Novecento che a me sembra un peccato toglierla.

Certo quello spostamento di un’ora, avanti e indietro, due volte l’anno può provocare qualche piccolo fastidio, come quello di dover andare a casa della nonna per regolare il vecchio orologio attaccato al muro, ma credo sia uno sforzo che si possa fare, tanto più che ormai tutti i nostri i dispositivi si aggiornano automaticamente, togliendoci quell’incomodo.

Anzi non solo non dovremmo abolirla, ma dovremmo riflettere sul motivo per cui era stata introdotta. Ricordare che c’è stato un tempo – non troppo lontano – in cui ci si svegliava con il sole – e si andava a letto con le galline – non credo ci faccia poi così male. Specialmente nella nostra società in cui non distinguiamo più il giorno dalla notte – e crediamo che in queste ore di buio si debba fare tutto quello che si fa quando c’è la luce, compreso andare a fare compere – e non distinguiamo più l’estate dall’inverno, perché bastano poche ore di aereo per stare al caldo anche a gennaio.

Abbiamo dimenticato che la natura ha i suoi ritmi, che questa sfera schiacciata ai poli gira su stessa e contemporaneamente segue un’orbita ellittica intorno al sole. E che tutto questo ruotare e girare provoca il giorno e la notte e il succedersi delle stagioni. E che noi, come gli altri animali, viviamo seguendo questi ritmi. O almeno non dovremmo tentare continuamente di inventarci dei nostri ritmi, a danno della natura.

Il termine latino hora viene direttamente dal greco antico: questa parola indicava le tre parti in cui gli antichi dividevano l’anno: la primavera, la stagione delle messi, ossia quelle che noi distinguiamo in estate e autunno, e infine l’inverno. E i greci chiamavano Ore tre divinità antichissime, più antiche di Zeus e degli olimpii, sorelle delle Moire, e come queste definivano quanto ciascun uomo era destinato a vivere, così le prime tre erano le custodi dell’alternarsi delle stagioni. E siccome l’ordine delle stagioni è anche ciò che presiede alla vita degli uomini, ciò che di buono c’è nella nostra società, le Ore si chiamavano, Eunomia, Dike ed Irene, ossia rappresentavano l’equità, la giustizia e la pace. Per i greci l’ora era sempre legale.

E questa antica parola ha la stessa radice che ritroviamo in oros, che significa limite. Un limite che evidentemente noi ormai abbiamo già violato. Forse in maniera tragicamente definitiva.

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